Alzai gli occhi al cielo e rimasi in silenzio a fissare il cielo dal finestrino della sua auto, mentre lui sfrecciava sull'asfalto accelerando sempre di più.
C'erano poche macchina, dopotutto era notte inoltrata, e noi viaggiavamo da almeno mezz'ora su quelle strade asciutte e vuote.
Non conoscevo la nostra meta, ma non volli neanche chiederglielo notando la sua fronte corrucciata e le sue dita che stringevano forte il volante fino a far diventare bianche le nocche delle mani.
Parcheggiò in un'area deserta, davanti ad un piccolo edificio da cui alcune stanze emanavano una luce soffusa, segno che qualcuno era già dentro.
-Scendi, fai subito- mi ordinò aprendo la portiera dell'auto.
-Arturo, ma cosa sta succedendo?-
-Niente, bambina, ti spiegherò tutto quando sarà chiaro anche a me-
Cercai una risposta, ma riuscii soltanto a sbruffare e appoggiarmi all'auto ormai spenta.
-Io non mi muovo da qui. Cos'è questo posto? Non ci voglio neanche stare- mi impuntai quasi come una bambina piccola, ma se era questo il modo per farlo parlare lo avrei fatto altre cento volte.
-Senti, stronza, o ti muovi o ti lascio qui tutta la notte, e ti avverto: i miei amici non saranno molto contenti di trovare un'intrusa nella nostra casa-
Sapevo che non mi avrebbe mai lasciata sola con altri uomini, quindi rimasi lì incrociando le mani al petto.
Arturo sbruffò.
-Ho capito- disse avvicinando pericolosamente a me. Protese le mani verso di me e in un attimo mi ritrovai sospesa in aria tra le sua braccia forti, mentre lui camminava verso l'entrata dell'edificio lugubre.
Bussò due volte prima che la porta venisse aperta dall'interno, e riuscii a scorgere i lineamenti di un ragazzo giovane, con un accenno di barba scura che gli incorniciava il volto.
-Lei chi è?- disse senza salutare, rimanendo immobile sull'uscio della porta.
-È mia, sta alla larga da lei Alvaro-
-Non toccherò la tua puttana, ho già la mia- disse quando una ragazza bionda si avvicinò a quello che doveva essere il famoso Alvaro Morata palpandogli il petto.
Arturo, senza dire una parole, mi poggiò a terra e lo spinse verso la parete dell'ingresso, avvicinando pericolosamente il suo volto a quello del ragazzo.
-Non chiamarla più così, stronzo- ringhiò tra i denti prendendo per il colletto la maglia di Alvaro. La bionda emise un gemito sommesso e silenziosamente si allontanò da quella scena di cui adesso ero l'unica spettatrice, purtroppo.
Alvaro cercò di annuire con difficoltà e Arturo allentò la presa, avvicinandosi di nuovo a me cingendo i miei fianchi con nervosismo.
-Scusa amico- disse affannosamente il ragazzo.
Si sistemò la maglia ormai stropicciata e ritornò serio.
-È meglio che vieni in salotto, i ragazzi ci stanno aspettando-
-Devo preoccuparmi?- chiese il mio compagno.
-Parleremo in sala- rispose fermo l'altro, e Arturo si girò verso di me dando le spalle ad Alvaro.
-Sali le scale ed entra nella prima amerà a destra, ti raggiungo appena finirò la riunione-
Capii di non poter fare storie come avevo già fatto fuori dall'edificio e annuii immediatamente dirigendomi verso le scale poco distanti da me.
Salii frettolosamente cercando di levare dalla mente l'immagine dura di Arturo che minacciava il suo amico per me: certo, non era stato carino nel chiamarmi in quel modo, ma d'altro canto lui non conosceva la nostra "storia".
Molto probabilmente però Alvaro aveva ragione, potevo definirmi la sua puttana per via ti quello stupido patto che avevo stretto con lui. Aveva ragione Claudio, dovevo stare alla larga da lui, ma ormai c'ero dentro fino al collo.
Entrai nella prima camera a destra che trovai dopo aver salito la lunga rampa di scala, così come mi aveva detto Arturo, ritrovandomi in una stanza molto simile a quella che Arturo aveva in casa sua, solo leggermente più piccola.
Il letto, però, era perfettamente ordinato, e una pila di foto riempiva lo spazio sul materasso.
Timidamente, quasi per paura che mi potesse vedere, allungai la mano verso un fascio di foto ordinatamente poggiate accanto al cuscino.
Alcune di quelle raffiguravano un Arturo più giovane, con un pallone in mano e una maglia stracciata che usava come divisa; in un'altra foto c'era anche Claudio, che abbracciava il mio uomo alzando al cielo una di quelle coppe che riesci a trovare facilmente in un negozio per ragazzi, probabilmente di plastica; in un'altra ancora Arturo stringeva la mano ad un uomo vestito elegante, mentre con l'altra mano metteva in mostra un riquadro con alcune scritte che non riuscii a decifrare.
Probabilmente erano i classici tornei di calcetto che si organizzano nei paesi.
Riposi tutte le foto nell'ordine in cui le avevo trovate e rivolsi l'attenzione verso la sua scrivania, dove erano poggiate alcune coppe simili a quelle che avevo visto in foto.
-Cosa stai facendo?- la voce di Arturo interruppe i miei pensieri facendomi sobbalzare dallo spavento.