Capitolo due.

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Il primo giorno di lavoro di ogni persona in questo mondo dovrebbe essere, non solo perfetto e pianificato nei minimi dettagli, ma anche tranquillo e privo di inconvenievoli.

Ci si aspetta di alzarsi puntuali, magari con qualche minuto prima che la sveglia -programmata la sera prima centinaia di volte- suoni così da potersi svegliare rilassati senza il suo fastidioso ronzio che, alla maggior parte delle persone -se non tutte- causa una forte rabbia che è in grado di spaccare anche la sveglia stessa.

E, dopo che il sottoscritto si è alzato dal letto e si è recato in bagno per lavarsi il volto e, perchè no, anche una doccia veloce se si ha tempo, si aspetta di trovare la colazione già pronta in cucina dalla propria migliore amica o parente; e, quando ci si è riempiti lo stomaco di prelibatezze -non tanto che se no al lavoro si potrebbero avere dei, hum, problemi- ci si va a preparare, indossando il vestito che la tua migliore amica ti ha stirato la sera prima e, perchè no, farsi prestare qualche giacca da abbinare sopra e qualche cosmetico.

E, quando finalmente si è pronti per uscire e ad andare al primo giorno di lavoro, ad aspettarti fuori dalla porta non c'è niente di meno che il tuo migliore amico con la sua auto -nel caso non si possedesse un auto come la sottoscritta- e ci si rechi al lavoro senza difficoltà e, perchè no, anche con quindici minuti d'anticipo.

Sarebbe tutto quanto fantastico, tutto perfetto.

Solo che questo non è il mio caso.

Il caso ha voluto che la mia sveglia, quella mattina di settembre, decidesse di andare all'altro mondo e di starci definitivamente -nemmeno suonando- così mi ritrovai in piedi alle 8:17 -la mia sveglia era prevista per le sette- e, dopo che corsi fuori dal letto e per casa come una posseduta e strillando come una pazza che ero in ritardo, mi accorsi che, la mia fantastica migliore amica, non mi aveva preparato la colazione ed il tavolo in cucina era totalmente, letteralmente vuoto e di lei nemmeno l'ombra.

L'unica cosa che trovai fu un bigliettino sul tavolo che mi avvisava che Emily -il suo capo nonchè segretaria del vice presidente- l'aveva chiamata alle sei avvisandola che alle sette avrebbero avuto una riunione importante e che lei doveva precipitarsi li e, alla fine del post-it, mi augurava buona fortuna per il mio primo giorno di lavoro.

Buona fortuna un cazzo.

Accartocciai il fogliettino con rabbia e lo buttai sul pavimento e mi diressi in bagno, pronta ad infilarmi il vestito che Vanessa avrebbe dovuto stirarmi ma, il caso volle anche quella volta che il mio bellissimo vestito fosse tutto forchè stirato e piegato ordinatamente: era esattamente una pallottola di stoffa sopra il ripiano da stiro -segno che Vanessa lo aveva messo li e non lo aveva stirato- ed era tutto forche' bellissimo in quel momento.

In quel momento avrei voluto piangere disperata in un angolo del bagno, davvero.

Chiusi gli occhi e mi presi un momento per pensare e riordinare le idee mentre mi massaggiavo le tempie con le dita: avevo esattamente venticinque minuti per essere dentro alle Industrie Styles, le quali distavano quindici minuti più o meno da qua in auto -senza traffico e, conoscendo New York, era un po difficile non trovarlo- e ancora non ero vestita visto che il mio vestito era un ammasso di pieghe inguardabili ed in più il mio aspetto in quel momento -potevo solo immaginare- era disgustoso.

Che dire, stava andando tutto una meraviglia.

Fu un in quel momento che, mentre stavo cercando di lisciare il vestito con le mani -non avevo tempo per accendere il ferro ed aspettare che si scaldasse e poi stirare- il mio telefono prese a squillare dall'altra stanza e, con una gambe dentro il vestito stropicciato e l'altra fuori, zampettai fino in camera mia ed afferrai il telefono, senza nemmeno guardare chi mi stesse chiamando, in fondo cosa poteva andare ancora peggio di così?

Imperfection - [ Harry Styles ]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora