Il Popolo della Goccia

Canto 5 - Il palazzo di marmo nero (Terza parte)

Circondato era da identiche sagome

di sé stesso, ma già molte iniziarono

a cambiar rapide, mutare aspetto,

mostrando la sua immagine in contesti

vari e diversi, memorie affiorarono,

ma si svelarono anche desideri,

che s'impressero saldi sugli specchi.

Ecco i ricordi della prima volta

a cavallo, provata aveva ebbrezza,

la sua passione era nata, la svolta

nella sua vita era stata portata.

Pure un riflesso Alman nell'eccellenza

mostrava, di corse e gare campione,

rivestito di immensa gloria e fama,

rappresentava la sua aspirazione.

Ma scialbo era il riflesso, poco vero,

non rifletteva Alman, ma il suo successo.

Eppur ne era egli attratto, assai rapito

da tal possibile di svolta evento.

Ma si girò e scorse un altro destino

steso sul vetro, era Alman un esperto

e celebre fantino, ora era un maestro,

una importante scuderia gestiva,

molti allievi attorno il suo insegnamento

seguivano, lo tenevano in stima

grandissima e ciò molto lo appagava.

Ma apparve un nuovo e discorde riflesso,

raffinate sculture in liscio legno

erano esposte a un pubblico entusiasta,

che ben le rimirava, e pur lodava

l'artista che aveva saputo crearle.

E il luccichio di infiniti riflessi

sorprese Alman, un insieme di scene

diverse e frastornanti, amalgamate

eppure separate, sì distanti.

Fra le impressioni si trovò sospeso,

stretto nel proprio molteplice aspetto,

rincorso da memorie soffocanti,

con desideri a assediarlo tiranni,

diviso fra quei ruoli totalitari

che i riflessi qual sol via gli intimavano,

quale più gli s'addicesse non sapendo.

Pien d'angoscia le mani si osservava,

ma con quelle riflesse le confondeva,

più riconoscersi Alman non sapeva,

dentro era vuoto e nel vuoto vagava,

su un baratro di specchi stava in bilico

la sua identità in frantumi, in un limbo.