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"Non voglio crederci" – mi viene da ridere. Ma che dico, sto proprio ridendo. Non capisco come faccio a mantenere un aplomb di questo tipo, anche se ho difficoltà a capire la sensazione che sto provando in questo momento – "Annie, ma hai visto anche tu che roba? Cose da matti, scommetto che se andassi a raccontarlo in giro nessuno mi crederebbe".

Ma certo, mi è appena successa una di quelle cose che se non hai un video, o una foto, a testimoniarlo ti prenderebbero tutti per pazza. 

Che ridere ragazzi, neanche avessi sentito la battuta più divertente del mondo.

"E adesso cosa facciamo? Mh?" – le chiedo. Cerco il biberon, è ancora rovesciato con la bocca in direzione dello scolo del lavandino. 

Ormai tiepido, lo afferro e lo lancio con forza sul ripiano del seggiolino, facendo trasalire Annie e provocandole un pianto palesemente diverso.

Questa volta non è la fame a parlare, ma la paura.

"Forza!" – grido portandomi alle spalle di Annie e afferrando la seduta per lo schienale – "Fammi vedere quanto sei brava a gridare!" – la incito agitando con forza il seggiolone – "Cosa credi? Che adesso io mi metta a fartene un altro, magari?" – torno a guardarla in faccia – "Come se non fossi stata tu a mettermi sotto pressione? A farmi rovesciare il biberon? AH?". 

Alcune gocce di saliva volano dalla mia bocca alla sua faccia, sulla sua fronte per la precisione, ma il suo continuo gridare, e piangere, mi ricorda che sto parlando con un essere che dovrà ancora crescere un altro paio d'anni prima di essere in grado di avere una minima conversazione con me.

Perspicace.

Rimango in piedi davanti ad Annie, e più la guardo, più sento di stare per scoppiare.

"Si può sapere cosa diavolo di prende?! Non hai mai fatto così! Perché continui a piangere??" – la prendo da sotto le ascelle, afferrandola per quel minuscolo busto che si ritrova, e la sollevo in aria – "Smettila Annie! Stai zitta! Basta!" – grido agitandola con forza, ma Annie caccia un altro urlo e si nasconde il viso dietro le sue stesse mani.

Decido di rimetterla di peso sul seggiolone. È una guerra persa. La guardo e mi vengono le lacrime agli occhi. Non ce la faccio più. 

"Basta Annie, per favore" – poggio le mani sul tavolo e mi fermo un attimo sperando di riuscire a calmarmi, di far smettere quella dannata pressione dietro gli occhi che mi fa venir voglia di spaccarmi la testa contro lo spigolo del tavolo. 

Ma ad ogni respiro profondo che faccio, la testa continua a farmi male, a girarmi sempre più velocemente come un cazzo di tornado.

Intanto Annie piange, piange e continua a piangere. 

Piange così tanto da farmi crollare definitivamente.

"Non ce la faccio più" – sospiro tra un singhiozzo e l'altro – "Voglio che tutto questo finisca, e lo voglio adesso".

Sento la frustrazione impossessarsi di ogni centimetro del mio corpo. Un'energia indescrivibile, che se potesse distruggerebbe tutto quello che mi circonda. Sento che se non mi sfogo adesso, sarei capace di implodere su me stessa. 

Do un pugno al tavolo, lancio bicchieri per terra, rovescio le bottiglie e mi assicuro che si crei quanto più rumore possibile. 

Voglio sentire il mio corpo muoversi in mezzo al vetro che si frantuma, in mezzo alle grida di Annie, alle mie di grida, miste a risate insensate dietro una visione sfuocata della cucina dovuta alle lacrime.

Ma non importa. 

Voglio distruggere tutto.

Voglio che tutto vada in pezzi come il mio cazzo di cervello.

Sogni d'oro AnnieDove le storie prendono vita. Scoprilo ora