31 Ottobre 2130

95 6 71
                                    

Caro Di,

sto tenendo il conto delle ore che mancano. Sono appena le sei di sera, oggi dalla finestra della mia camera vedevo uscire un debole sole, sbatacchiato e offuscato dal vento che fischiava e ululava come un lupo feroce. Le mani mi tremano. Guardo il mio riflesso sul vetro, ma distolgo subito lo sguardo: non mi piace la mia espressione, è l'espressione di una che ha paura.

Non so davvero descrivere come mi sento, ma ci proverò, perché in realtà non ho paura, c'è qualcos'altro. Mi guardo di nuovo sul riflesso che mi restituisce la finestra: guance pallide e rotonde, occhi grandi e sgranati, labbro tremolante.

Partirò da molto lontano, come amo fare.

È strano da dire, ma qualche giorno fa stavo sfogliando questo diario, e quelli che sono venuti prima di te, scrivo praticamente da una vita. Da quel giorno in cui mia madre, mentre mi aiutava a fare la valigia, mi ha detto "Tieni, questo è il tuo regalo di compleanno, un po' in anticipo". Mi ricordo quel sorriso commosso, le guance rigate dalle lacrime.

"Cos'è?" le avevo chiesto, mentre scartavo con cura il pacchetto. Sono sempre stata una bambina molto cauta fin da piccola. Cauta e diffidente. Non avevo fretta di scoprire le cose, avevo bisogno di riflettere e poi decidere il da farsi. La delusione era arrivata praticamente subito. Era un libro, ma con i fogli bianchi dentro.

"Questo, tesoro mio, è l'inizio delle tue storie meravigliose. Appena imparerai a scrivere, potrai finalmente creare e mettere nero su bianco tutte quelle incredibili storie che mi racconti."

"Cioè?" ricordo che l'avevo guardata confusa. Ma la mia mamma mi aveva abbracciato in quel modo così dolce e tenero, sfiorandomi le lunghe trecce che mi ricadevano dietro la schiena, e mi aveva guardata con i suoi grandi occhi color nocciola. Quegli occhi così uguali ai miei adesso. Occhi tristi.

"Ci saranno molte notti in cui io e te non saremo insieme, ricordi? Io e papà te ne abbiamo parlato. Le notti che abbiamo passato sul lettone a raccontarci storie..." guardava altrove, adesso, da qualche parte. Guardava lontanissimo. Io mi ero abbassata a sfogliare quelle pagine bianche, a toccare con le mie piccole dita le increspature della copertina in pelle. Mi piaceva quell'odore di pelle e carta.

"Non perdere questa fantasia, amore mio. Scrivi tutto. Scrivi le tue fantastiche storie. Quando ci rivedremo me le leggerai, così mamma e papà non perderanno un minuto della tua immaginazione. Hai capito?"

Stavo per compiere sei anni, ma avevo capito che da quel giorno la mia vita non sarebbe stata più la stessa.

All'inizio il diario era rimasto lì, sotterrato da altri quadernoni e libri. C'erano i compiti, c'erano delle cose più importanti, adesso, da fare. Facevo fatica, imparare a scrivere per me era un dovere terribile: avevo imparato velocemente a leggere, a distinguermi in classe per la mia memoria, quando recitavo le filastrocche e le poesie, ma impugnare la penna e tracciare quei segni grafici era un'attività che mi metteva solo ansia.

Poi un giorno, quasi non ci pensavo, l'anno scolastico era quasi alla fine, ricordo distintamente la voce di una piccola Alyssa che diceva: "Dovresti iniziare a scrivere qui dentro, sai?"

Avevo preso il diario, ancora nuovo, dalle sue manine, e detto solo: "Ok." Mi sentivo terribilmente sola. Mi mancava vedere i miei genitori tutti i giorni, avevo tanta voglia di mettere indietro l'orologio a quando da piccola mi sedevo sullo sgabello, davanti al piccolo tavolo rettangolare di cucina, e ascoltavo la mia mamma canticchiare qualcosa sottovoce, certa che non la sentissi. Mi mancavano le piccole cose, mi mancava l'odore dei miei genitori, così rassicurante.

Di notte, sotto le coperte, respiravo lentamente per non piangere. Gli occhi pizzicavano un po', ma poi pensavo a tutte le cose nuove che avrei imparato il giorno dopo a scuola, a tutte le altre bambine che condividevano questa stessa esistenza: allora mi addormentavo.

Ventunotrentuno - I figli dell'albaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora