NOVE.2

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Raggiunsero il porto sopra una di quelle macchine elettriche dove ogni mattina era costretta a salire Regina. Lorenzo rimase in silenzio per tutto il viaggio, ancora intontito per le scariche ricevute dalla barriera, un po' per non dover dare soddisfazione a Costantino che aveva stampato in faccia un ghigno divertito da quando si erano incontrati.

Una volta giunti al porto, da dove partivano le barche per raggiungere gli uffici centrali, caricarono il ragazzo su di un motoscafo, mettendolo seduto su una poltroncina davanti ad un tavolino lucido alla cui estremità si accomodò Costantino, che non la smetteva di fissarlo compiaciuto. Lorenzo sentiva i muscoli delle braccia tirare dietro la schiena e le manette segargli i polsi. Alzò gli occhi verso quel viso da rettile del vigilante.

"Che cazzo hai da guardare?" gli sputò in faccia parole di disprezzo. Fanculo alle manette e al resto. La lingua non avrebbero potuto tagliargliela.

Costantino sorrise tranquillo, posando le mani coperte dai guanti incrociate sul tavolo davanti a loro.

"Mi fa piacere che tu abbia ancora tutta questa voglia di parlare. Ne avrai bisogno tra poco."

"Io non ho proprio bisogno di un cazzo di niente." A parte spaccarti la faccia brutto pezzo di merda. Questo glielo lasciò intendere dai suoi occhi che non lo mollavano un attimo.

Costantino si sfilò i guanti lentamente, dito per dito, lasciando la lingua schioccare sul palato. Lorenzo continuava a fissarlo negli occhi senza muovere un muscolo. Poi anche Costantino lo guardò, prima di alzarsi, passandogli accanto, cercando di spettinargli i capelli con un gesto che voleva essere di affetto. Ma Lorenzo scansò la testa con un movimento repentino del collo.

"Oh, sì che ne avrai." Sghignazzò andandosene, lasciando il ragazzo da solo per il resto del viaggio.

Gli uffici dei pillars erano completamente bianchi. Mura bianche, pavimento di mattonelle lucide e bianche, soffitti altissimi e bianchi. Mentre Lorenzo veniva trasportato per il lungo corridoio silenzioso si guardava intorno, cercando di non lasciar trasparire il timore che sentiva crescere dentro di sé. Fu condotto in una stanza, anch'essa bianca, con un tavolo di metallo al centro e soltanto allora gli tolsero le manette dai polsi arrossati. Davanti a sé le pareti erano spoglie, fatta eccezione per una completamente ricoperta da un grosso specchio, al di là del quale un gruppo di scienziati, così detti pillars, appunto, i pilastri di questa società pura e malata allo stesso tempo, erano pronti a valutare il soggetto. Loro e una delle Regie al comando. Bruno guardava suo figlio con occhi terrorizzati e un buco allo stomaco.

Lorenzo guardò la sua immagine riflessa nello specchio, le occhiaie profonde e violacee gli circondavano gli occhi stanchi e spenti. La pelle era di un grigio malandato, le guance infossate. Era uno straccio. Ma non poteva mollare, non adesso.

La porta alle sue spalle si spalancò lasciando entrare Costantino.

"Ci rivediamo." Sghignazzò scrocchiando le dita delle mani.

"Ma che fortuna." Rispose piatto Lorenzo, cercando l'appoggio del tavolo alle sue spalle con le mani.

"Cosa ci facevi là fuori?" chiese il vigilante, saltando i preamboli e muovendo un passo verso il ragazzo.

"Facevo una passeggiata." Lorenzo si allontanò all'indietro, seguendo il bordo del tavolo con la mano, senza staccare gli occhi dal suo aguzzino per non perdere nemmeno una sua mossa.

"Eri da solo?" continuò pressante.

"Non amo la compagnia." Rispose sprezzante alzando il mento. Non come te, avrebbe voluto aggiungere. Ma non poteva tirare in ballo lei. Non poteva rischiare di farsi fregare dalle emozioni.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Feb 04 ⏰

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