8 Novembre 2130

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Caro Di,

ieri sono rientrata a scuola. L'unica cosa che ho perso è stata la cena con i miei genitori, dato che sabato e domenica sono dovuta rimanere in casa per la mia influenza. Da una parte è un bene che non mi abbiano vista, quando sto male creo loro sempre un grande dispiacere, e io non voglio che si preoccupino così tanto, voglio che mi vedano forte e tranquilla. E in realtà sto abbastanza bene, non ho mai avuto la febbre, ma l'infermiera che mi ha visitato ha voluto comunque farmi un tampone e delle analisi del sangue per controllare che non avessi nulla. Questi tipi di controlli sono normali in casi del genere. Quando del personale medico accede ai dormitori si crea sempre una sorta di malessere generale, perché abbiamo questa paura così radicata di ammalarci seriamente, una paura infusa da anni e anni di studio delle malattie in classe, e i loro possibili effetti gravi sul nostro corpo.

L'ago ha trapassato la mia pelle diafana e ho osservato la cannula colorarsi di rosso scuro. Incredibile che io possa avere quel colore lì dentro.

Alyssa e Cristiana mi sono state a debita distanza in questi giorni. Prima di andare dalle loro famiglie, mi hanno parlato solo dalla porta. Hanno portato la loro cena nei piatti appoggiandoli sul pavimento.

"Tanto sono solo piadine al prosciutto." Faceva Alyssa, grattando sulla porta per sistemarsi piatti e tovaglioli il più vicino possibile a me. Mi avevano lasciato una tisana alle erbe aromatiche con dei biscotti al burro fatti da loro. Adoro i biscotti. Poi loro si erano zittite. La ricetrasmittente aveva cominciato a vibrare sopra il letto. Una voce leggermente metallica dall'altra parte. E non era servito a nulla infilarmela sotto il maglione. Loro sapevano.

"È ancora lui?" ha chiesto Cristiana dall'intercapedine della porta. Non mi era piaciuto quel tono.

L'ho ignorata e ho risposto a Lorenzo.

Poi però ho sentito chiaramente la voce di Alyssa che diceva a Cristiana: "Forse dovremmo parlarle."

"Ma se non le sa da sola queste cose, perché dovremmo immischiarci?"

"Per cosa non dovreste immischiarvi?" mi sono avvicinata alla porta di camera, sedendomi a gambe incrociate, di spalle al legno, addentando un biscotto.

Cristiana ha detto che quella sera sarebbero andate al rifugio. Volevano di nuovo ascoltare la musica. Ho sentito una morsa alla pancia. Avrei voluto essere lì insieme a loro.

"Sai cosa mi ha detto Giacomo? Ed era anche piuttosto scocciato?"

"Cosa, Alyssa?"

"Che Lorenzo non verrà stasera."

"Sta male?" ho buttato lì.

Lui voleva restare a casa per parlare con me, quella sera. Parla sempre con me, tutte le sere, e per tutta la notte, se è necessario. E io chi sono per dirgli di no?

Perché Giacomo sarebbe stato scocciato? Perché, mi chiedevo e mi chiedo, ci sentiamo spesso osservati da loro in un modo insistente?

"Regina, stamattina, come ogni sabato, è spuntato un nome accanto al suo. Sul tabellone." Mi sono pulita la bocca dalle briciole dei biscotti. In attesa che Cristiana proseguisse. "Non sei tu. È un'altra." Mi sono alzata, togliendo la ricetrasmittente dall'elastico dei pantaloni e buttandola sul letto, raggiungendola con un tonfo sordo a pancia in giù.

"Mi dispiace." Ha fatto. "Ma non è la prima volta che succede. Lo dico per te. Non funziona questa cosa, di voi che continuate a sentirvi e tutto il resto. Io non voglio sapere niente, eh. Ma l'idea che tu, ora, ti stia prendendo tutti i rischi per qualcosa che assolutamente non ha senso, mi sta mandando fuori di testa. Se stasera fosse venuto al bunker gliel'avrei detto anche a lui in faccia." Mi era scappata una risatina, immaginandomi quella conversazione.

"E tra l'altro, tu, ora, hai anche le prove di atletica da affrontare. Ci sono i giudizi di fine anno. Quelli che nel Ventunotrentuno ti inseriscono nelle categorie. Insomma, vacci piano." Alyssa aveva appena appena aperto la porta per farsi sentire meglio. Così, di tutta risposta, ho azionato la ricetrasmittente, facendomi ben vedere e sentire da lei. La mia aria di sfida non le piacque. "Ciao, ci sei ancora?" ho detto, aspettando la risposta di Lorenzo, guardando Alyssa dritta negli occhi.

Lo so che hanno ragione. Ma sabato sera sono andate ad ascoltare la musica.

Domenica sono rientrate poco prima del coprifuoco, la mia porta di camera era aperta. I risultati dei test erano negativi, nessun pericolo per loro. Sono entrate e ci siamo abbracciate. Solo due giorni chiusa lì dentro, due schifosi giorni di tosse e moccio.

E mi ero sentita terribilmente sola, non sarei sopravvissuta senza la voce di Lorenzo.

Penso al suo match. A Lorenzo non interessano queste cose. Sono sicura che nemmeno se n'è accorto. Ho deciso che anch'io farò finta di non essermene accorta.

Gli ho appena detto che domani notte sarò di nuovo giù con loro, con i ragazzi abbiamo deciso di dare una sistemata alle stanze, di renderle più nostre. E poi voglio ascoltare della musica.

Quando ci siamo salutati dall'altra parte della ricetrasmittente, ho tenuto quel marchingegno proibito tra le mie mani, sul mio petto. Sperando di riuscire ad addormentarmi, sperando di trattenere quel poco della sua voce ancora un po' lì vicino a me.

"'Notte." Mi sono sentita dire tenendo il pulsante acceso. Ho sollevato il pollice e aspettato.

"'Notte. Di nuovo." l'ho sentito ridere dall'altra parte. Ho riso anch'io.

Poi ho chiuso gli occhi e ho provato a immaginare qualcosa che non era ancora accaduto, così, dal nulla. Un abbraccio vero, sentire un peso vero su di me. Di un corpo. Il caldo era insopportabile, stavo cominciando a sudare ma non potevo fermarmi, la mano che sentivo non era più la mia, era la sua.

Mi sono bloccata solo quando mi sono risvegliata, nel buio della notte, con le mutande umide. E un grosso senso di disgusto e colpa che non riuscivo a spiegarmi.

Buona notte, caro Di. Ti saluto un po' prima del solito, tu sai perché.

R. 

Ventunotrentuno - I figli dell'albaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora