- Kᥲριtᥱᥣ fᥙ̈ᥒfzᥱhᥒ -

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Se n’era andata.

Norja se n’era andata via, e lui non l’aveva fermata.
Non aveva fatto niente.
Niente di niente.

A quello aveva pensato Tom per tutta la durata del concerto, senza un secondo di tregua. Aveva suonato con quell’ossessione in testa, arrabbiato e offeso, demoralizzato e pieno di domande.

L’aveva lasciato così, senza spiegazioni o ragioni valide, chiedendogli soltanto – ‘per favore’ – di non andare da lei.

Il comportamento di Norja nei suoi confronti era stato un susseguirsi di contraddizioni fin dal primo istante in cui si erano incontrati, un oscillare continuo tra l’ostilità e la confidenza, e lui più confuso di così non sarebbe potuto essere.
Il suo modo di rapportarsi con il genere femminile era di norma molto semplice ed elementare: uno scambio equo di favori a breve scadenza, e il nulla dopo.

Con Norja, per qualche strano motivo, non aveva funzionato.
Lui aveva cercato in ogni maniera di trovare un contatto con lei, ma ogni volta che ne avevano stabilito uno, lei aveva sempre trovato il modo di interromperlo e rovinare tutto.

C’era qualcosa, tuttavia, che lei si era tenuta gelosamente dentro, rifiutandosi di condividerlo con lui.
Era una sensazione che Tom aveva avuto fin da subito, ma che si era consolidata man mano che la aveva conosciuta.
Che cosa fosse, poi, quel qualcosa, non sapeva immaginarlo.

Probabilmente non lo avrebbe mai nemmeno scoperto.

Non c’era molta gente per strada a quell’ora tarda. Era anche stato complicato trovare un taxi a mezzanotte passata, ma alla fine ce l’aveva fatta.
Davanti a lui, l’insegna scarlatta del Crimson illuminava di bagliori rossi le fitte e finissime gocce di pioggia che scendevano dal cielo.

Sapeva che non avrebbe dovuto trovarsi lì, ma era stato più forte di lui.
Non pretendeva molto: solo un saluto decente – un addio decente – nient’altro.

Voleva solo parlare con lei un’ultima volta.

Era cosciente che le sarebbe apparso patetico: lui, un ragazzino di poco più di vent’anni, che si ostinava a rincorrere lei, più grande di ben quattro anni, più intelligente e matura, più seria, più professionale, più…

No, non ci credeva nemmeno lui.
Per quanto provasse a convincersi che Norja non era adatta  a lui, il ricordo del pur esiguo tempo trascorso con lei era una dimostrazione fin troppo concreta dell’esatto contrario.
Non sarebbe arrivato fin lì, contro gli ordini di Norja stessa, se non avesse avuto la certezza che ne valesse la pena.

Entrò, le gocce di pioggia che gli colavano lungo la giacca impermeabile, e fu inondato da un gradevole sbuffo di calore.

Non era mai stato lì: era un locale buio, con luci e colori sui toni caldi del fuoco, divanetti in pelle nera e tavolini circolari di vetro, musica jazz dalle casse sparse ovunque.
Non esattamente il suo club ideale.

Iniziò a guardarsi intorno, un po’ spaesato dalla folla borbottante, ma di Norja nessuna traccia.
Fortunatamente nessuno sembrava far caso a lui.

«E tu che diavolo ci fai qui?»

Una scheggia di ghiaccio trapassò il cuore di Tom. La voce era quella giusta, quella che aveva sperato di poter risentire, ma il suo tono era duro come mai avrebbe pensato potesse essere.

Ma Tom non si perse d’animo; si voltò, sicuro di sé e delle proprie ragioni, e le sorrise.

«Te l’avevo detto che sarei passato a salutarti, no?»

Fece fatica a parlare con disinvoltura, perché vederla lo lasciò senza fiato, e non in senso lusinghiero.
Non sembrava nemmeno lei.

«E io ti avevo espressamente chiesto di non venire. Devi andare via. Non ho tempo per te.»

Hιᥒtᥱr dᥱᥒ Mᥲskᥱᥒ - Tom KaulitzDove le storie prendono vita. Scoprilo ora