- Kᥲριtᥱᥣ sιᥱbzᥱhᥒ -

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Era una cazzata, lo sapeva bene.

Erano già passate due ore da quando Norja aveva lasciato l’Europacenter e lasciato Tom con un palmo di naso in balia del proprio destino.

Era davvero stupido pensare che lei fosse veramente lì al Ritz e ancora più stupido era illudersi che sarebbe riuscito a ottenere una conversazione decente con lei.
Però valeva la pena di tentare.

Pagato il taxi, Tom scese dall’auto, trascinandosi dietro una cosa non di certo sua che però, in un modo o nell’altro, aveva con sé da ormai un anno.

Entrò nella hall dell’hotel a passo sicuro, ma con un tale tumulto nascosto dentro che a stento si sentiva in grado di mettere insieme una frase di senso compito.

Era nervoso, e arrabbiato, ed era tutta colpa di Norja.

Quando lo vide arrivare, l’uomo che stava al bancone della reception ebbe un fugace attimo di stupore, che mascherò rapidamente con un sorriso cordiale:

«Buonasera.»

«Salve» ricambiò Tom, indeciso sul da farsi.

Non era riuscito ad elaborare un vero e proprio piano durante il tragitto dall’Europacenter a lì.
Tutto quel che sapeva era che voleva trovare Norja.

«Ehm… Forse lei si ricorda di me. Sono Tom Kaulitz, alloggio spesso qui con la mia band. Un anno esatto fa eravamo qui.»

«Né io né il mio personale di pulizie lo abbiamo dimenticato.» rispose l’uomo, con un bagliore ilare negli occhi.

«Senta, so che le sembrerà strano, ma… La vede questa?» sollevò la cosa che teneva in mano per fargliela vedere bene. «È la stessa giacca che avevo con me l’anno scorso e dovrei proprio restituirla alla proprietaria.»

L’uomo assunse un’espressione incredula.

«Lei se ne va in giro da un anno con questa giacca e non è ancora riuscito a restituirla?»

«Lo so che può sembrare strano, ma è così.»

Stranamente, diversamente dall’anno prima, questa volta il direttore sembrava disposto a collaborare.

«Il nome della signorina, prego?»

«Kelly.» rispose Tom, soddisfatto di conoscere finalmente la risposta giusta a quella maledetta domanda. «Kelly Devenpeck.»

L’uomo parve quasi dispiaciuto di sentire quel nome, come se fosse una conferma a un timore che già aveva.

«Mi dispiace, ma la signorina ha liberato la stanza due ore fa.»

Fu come se il mondo, da lucente e colorato e pieno di belle speranze, fosse improvvisamente precipitato nell’oscurità assoluta.

No, no, no, no, cazzo!, imprecò fra sé, già preso dal panico.
Vaffanculo, brutta stronza!

«Ha detto di essere Tom Kaulitz?»

«Sì» boccheggiò Tom, a malapena conscio di ciò che gli era stato chiesto.

Con una faccia seria, l’uomo si voltò verso la mensola dietro di sé e prese qualcosa.

«La signorina Devenpeck ha detto che probabilmente sarebbe passato.»

Tom restò immobile per un momento, letteralmente pietrificato.
Non sapeva esattamente come si stesse sentendo, se più ferito, o offeso, o furioso, o deluso.

Tu lo sapevi, sbottò mentalmente contro Norja. Sapevi che sarei venuto, e te ne sei andata lo stesso.

Forse lo sapeva come si sentiva: preso in giro.

«Ha lasciato detto qualcosa?» domandò poi Tom, la bocca insopportabilmente asciutta.

«Veramente no. Però mi ha pregato di darle questo.» e gli porse una busta bianca.

Perplesso e morbosamente curioso al tempo stesso, Tom, con la mano tremante, afferrò il biglietto ripiegato in quattro e lo aprì.

Sei prevedibile, SNF.
Spero che tu non ti sia fatto idee strane su stamattina.
Volevo solo rivederti, nient’altro.
Ammetto che ogni tanto mi manchi, ma il mio lavoro a maglia mi tiene abbastanza sana di mente
(astieniti da commenti simpatici, per favore) da non farmi perdere la connessione con la realtà.
Per quel che vale, mi dispiace davvero per come mi sono comportata con te,
un anno fa.
Che tu ci creda o meno, mi è sempre rimasto l’amaro del rimpianto in bocca,
da allora.
Grazie dell’autografo, a proposito, a te e al resto della banda Disney.

Ah, piccola nota cultural-grammaticale:
Kels si scrive senza H.
Ad ogni modo, statemi bene tutti quanti.
Magari ci si rivede, qualche volta.’

Tom non seppe cosa lo trattenne dallo scoppiare. Aveva appena scoperto di essere in grado di provare una gamma di emozioni contrastanti infinitamente più vasta di quel che aveva sempre creduto.

«Tutto qui?»

L’occhio destro dell’uomo ebbe un fremito impaziente.

«Signore, questo è un hotel, non un’agenzia di pubbliche relazioni.»

Tom sospirò, chinando la testa impotente.

Sì, sì, ho capito…

«Ho sentito l’uomo che era con lei che parlava di qualche appuntamento ad Amburgo,» gli riferì una donna sulla settantina che sedeva a uno dei tavolini della hall con un caffè in mano, assieme ad un paio di amiche. «Ho avuto l’impressione che dovessero prendere un treno.»

Tom si rianimò in un attimo, ma la situazione non era poi migliorata di molto

Un treno.
C’erano un’infinità di stazioni ferroviarie a Berlino.
Non sarebbe mai riuscito a trovarla in tempo.

«Cazzo!»

«Non sia volgare, giovanotto!» lo rimproverò un’altra delle signore.

«Non sgridarlo, Gerta!» intervenne la terza. «Non vedi che il ragazzo è innamorato?»

Tom si sentì sbiancare, uno strano ronzio sordo nelle orecchie.

Cos’è che sono?

La donna si voltò verso di lui con un enorme sorriso rugoso.

«Ho sentito che dicevano al tassista di andare a Friedrichstraße, caro!»

Friedrichstraße…
Non aveva la minima idea di dove fosse. O forse ce l’aveva ma non riusciva a ricordare.
Ma non aveva importanza, avrebbe comunque preso un taxi per arrivarci.

Forse c’era ancora una speranza.

«Grazie!» disse alle signore, stritolandosi il foglio lasciato da Norja tra le dita.

«Però faresti meglio a sbrigarti,” lo avvertì la prima vecchietta. «Sono partiti un’ora fa!»

Merda!

Hιᥒtᥱr dᥱᥒ Mᥲskᥱᥒ - Tom KaulitzDove le storie prendono vita. Scoprilo ora