7. Cantami una canzone

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Dopo un'ora da quando era stato attaccato, divenne piuttosto evidente che Alistair non si sarebbe trasformato in uno zombie. Il che fu un sollievo, ma fece emergere anche parecchie domande: come si inseriva questa scoperta nella trama della storia? Qual era il ruolo del suo personaggio in quell'universo?

Per quanto fossero importanti quelle riflessioni, Alistair fu costretto ad accantonarle quando Griffin gli rovesciò mezzo barattolo di igienizzante sulla ferita aperta.

«Oh merda—!» Alistair non era tipo da imprecare spesso, ma in quel caso fu una necessità quasi fisica. Avrebbero potuto amputargli il braccio e sarebbe stato molto meno doloroso.

«Scusa!», squittì Griffin, affrettandosi a premere una benda intorno alla ferita. «Ecco, così dovrebbe andare. Per fortuna non sono necessari dei punti.»

«Le piccole consolazioni della vita...»

Si erano rifugiati in una caffetteria abbandonata, al riparo dalla pioggia e da altri attacchi, per permettere a Griffin di curarlo. Questi non rispose al suo sorriso, evitando di guardarlo: c'era un pensiero che imperversava nei suoi occhi mentre osservava incupito la benda intorno al suo braccio. «Alistair... perché l'hai fatto?»

«Uh? Che vuoi dire?»

«Lo sai che voglio dire. Potevi morire. Potevi trasformarti in uno zombie. Perché mi hai fatto da scudo?»

Alistair lo fissò come se non capisse il senso di quella domanda. «Perché... altrimenti saresti morto tu. Davvero, mi sembra molto semplice.»

Griffin serrò la mascella. «Non è semplice. Noi non ci conosciamo. Non hai motivo di essermi così fedele.»

Alistair abbassò lo sguardo. Se Griffin non credeva alla sua storia lui non aveva modo di convincerlo, poteva solo sperare che a furia di insistere i ricordi sarebbero riemersi da sé. «Consideralo un pagamento, allora. Tu mi hai salvato da quello zombie quando ci siamo incontrati: ora siamo pari.» Diede a Griffin un colpetto con la spalla, regalandogli un sorriso. «Inoltre, siamo gli ultimi esseri umani rimasti in tutta Londra. Dobbiamo guardarci le spalle, no?»

«Tipo... come partners?»

«Puoi chiamarci così, se vuoi.» Gli tese la mano, che rimase sospesa in mezzo a loro. «Che dici?»

Griffin fissò quelle dita a lungo, la fronte corrucciata. Sembrava... confuso. Come chi cerca di ricordarsi un sogno senza però riuscire pienamente ad afferrarlo. Esitò a stringergli la mano e in quell'attimo di esitazione Alistair lesse tutto ciò che doveva sapere: il Griffin di quell'universo si sentiva profondamente, terribilmente solo; eppure era riluttante a riempire quel vuoto perché tutte le persone che amava gli erano state strappate via in modo orrendo.

Tuttavia... quel poco tempo trascorso insieme doveva aver contato qualcosa, perché nel pesare le due opzioni sulla bilancia venne fuori che la solitudine fu più pesante della paura. Griffin afferrò la sua mano e la strinse, titubante.

«Come ti pare», borbottò, evitando di guardarlo negli occhi per nascondere l'imbarazzo.

Alistair gli regalò un sorriso smagliante.

Forse, in fin dei conti, aveva ancora qualche motivo per sperare.

☆☆☆☆☆☆

Iniziò così il loro viaggio verso l'aeroporto di Manchester. Sul finire del primo giorno riuscirono a raggiungere il confine di Londra, non senza prima fermarsi a fare scorta di pallottole per potersi difendere da altri eventuali attacchi. E dato che Alistair prendeva molto sul serio il suo ruolo di partner, si impegnò attivamente perché Griffin non avesse mai un momento di noia nel corso della giornata: ciò naturalmente comportava tartassarlo di chiacchiere e comportarsi in quel modo che Griffin avrebbe definito "da schizzato".

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