🌹 7. E lo persi per sempre 🌹

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"Una frase,
detta per caso,
può cambiare
per sempre le sorti
della propria vita?"
#chiara_artemozioni

«Camilla, che dici rientriamo?»

Cosa? Alzo lo sguardo dal caffè prima di rendermi conto che Luca, uno dei miei colleghi a pranzo con me, stava cercando di attirare la mia attenzione con questa domanda. Solo adesso mi accorgo che Alex e gli altri ormai se ne sono già andati e siamo rimasti soltanto io e lui. In tutto questo tempo credo di essere rimasta a fissare il bicchiere ormai mezzo vuoto senza parlare con nessuno. Ero assente e fantasticavo sul primo incontro con questo ragazzo che mi sta facendo perdere la testa. Cosa mi sta succedendo? Non è da me.

«Sì» mi affretto a rispondere pur di non destare maggiori sospetti.

Camilla che hai? La smetti di pensare sempre a questo ragazzo? La smetti!

«Sei parecchio silenziosa in questi giorni e non è da te. Tutto ok?» mi chiede Luca finché usciamo dal ristorante.

«Tutto ok, non ti preoccupare. Andiamo dai, altrimenti facciamo tardi»

Tardi...ma che dico? Ad ogni modo ci sono riuscita, Luca ha smesso di guardarmi e sta raggiungendo gli altri. Lo seguo e lo saluto appena arrivo la macchina di Alex che dopo avermi visto mi fa un'occhiolino alquanto bizzarro. Cosa cerca di dirmi?

Finalmente posso smettere di preoccuparmi dei miei colleghi e dei loro sorrisini, mi siedo e appoggio i gomiti sulla scrivania del mio ufficio. Guardo il cellulare un attimo, prima di riprendere a lavorare e vedo la miriade di messaggi di Pamela che mi ammonisce di smettere di pensare ad Alberto. Ma chi ci sta pensando più? Ormai è un lontano ricordo...il vero problema è questo ragazzo...che non riesco a dimenticare.

Cerco invano di focalizzarmi sulle e-mail che mi sono arrivate oggi ma non c'è niente da fare, appena incappo su una di quelle inviate da un collega del suo team, la mia testa ritorna inarrestabile a quella serata.

Mi ascoltava con attenzione quando parlavo e rispondeva a qualsiasi mia domanda. Sembrava pendesse dalle mie labbra eppure ci eravamo appena conosciuti. Era successo solo una manciata di minuti prima. Non riesco a ricordarmi quanto tempo passammo a parlare, ridere e scherzare prima di uscire dall'ufficio, sembrava volasse sotto ai miei piedi. Si era fermato tutto intorno a me ed esisteva solo lui e le sue parole, i suoi occhi e suoi sorrisi celati da quella mascherina nera che gli copriva gran parte del volto.

Ci ritrovammo quasi d'incanto davanti alla macchinetta del caffè, non so per quale strano motivo. «Vuoi dell'acqua?», mi chiese dal nulla. Scoprii solo in seguito che il suo era un escamotage per farmi togliere la mascherina.

Era curioso anche lui e capii dal lungo sguardo che pose sul mio viso che era interessato a scoprire quella parte del mio volto nascosta dalla mascherina.

«No» risposi, decisa a non dargli questa possibilità. Perché non lasciarlo sulle spine ancora per un po'?

«Ora vado» aggiunsi «passo al sushi ad ordinare da asporto. Ho tutta l'intenzione di guardarmi un bel film in hotel. Il lavoro mi ha decisamente ucciso oggi.»

«Ma che dici?», mi disse di colpo quasi a sottolineare che la mia fosse un'idea assurda. «Non puoi andare a mangiare da sola.»

Non posso e perché no? Pensai un istante prima di domandargli con fare piuttosto scherzoso: «E...questo sarebbe il tuo modo di invitarmi a cena? Non puoi farlo direttamente? È troppo difficile?»

Non so cosa mi prese, ma le parole mi uscirono di bocca all'improvviso. Di getto. Una dopo l'altra e non riuscii a fermarle. Non mi sentii a disagio neanche per un momento. Ero felice di averglielo chiesto, altrimenti chissà se lui lo avrebbe mai fatto. Avevo trovato in me un coraggio che credevo di non avere. Se non ci fossi riuscita probabilmente me ne sarei ritornata all'hotel da sola, passando al ristorante per un take-away al volo prima di ritrovarmi sistema sul letto a vedere quel film che tanto desideravo poco prima di conoscere questo ragazzo alquanto buffo e interessante allo stesso tempo.

Alla fine andammo a cena insieme al ristorante di sushi in cui mi sono ritrovata solo poco fa con i miei colleghi. Questa analogia per fortuna mi riporta al presente appena in tempo per prendere la mia agenda e il laptop e correre alla riunione per il nuovo progetto che mi ha affibbiato il mio capo proprio qualche ora fa. Mi ritrovo così a dover prendere pagine e pagine di appunti su qualcosa che fino a qualche minuto prima di entrare in quella sala nemmeno sapevo che esistesse.

Al termine della riunione sono esausta e decido di raccattare tutte le mie cose e correre di filato in hotel. Ho sonno e credo di aver proprio bisogno di una serata da sola, meglio se mi predispongo a scegliere qualcosa da ordinare e farmi portare in stanza, scelto il film da guardare. Sarà una serata misera all'insegna dell'essere una single malinconica.

Lui... sempre lui nei miei pensieri, ma non ho voglia di rispondere alla sua domanda, ormai sono troppo arrabbiata perché non si è fatto più sentire, eppure la prima sera che passammo insieme fu una delle poche in cui mi sentii me stessa fin dall'inizio. Risi a crepapelle per tutta la serata e passai dei momenti indimenticabili. Lo lasciai parlare. Non volevo interromperlo per niente al mondo. Ero catturata dal suo modo di esprimersi e dalla sua loquacità. Era la prima volta nella mia vita che non intervenivo costantemente nel discorso, stavo apprezzando le sue parole, i suoi gesti, i suoi occhi e le sue storie.

Mi resi conto che era una delle poche persone che apprezzavo e stimavo nonostante lo avessi appena conosciuto. Nemmeno con Alberto mi era successo.

Le sue labbra mi fecero sussultare nel momento stesso in cui decise di togliersi la mascherina all'arrivo del primo piatto di Hurakami. Cercai di distogliere lo sguardo da quella bocca così carnosa e invitante, riuscii con difficoltà a concentrarmi sui piatti che ci avevano portato. Mi soffermai ripetutamente ad ammirare i suoi sorrisi.

Il suo viso, le sue labbra e i suoi occhi mi avevano stregato.

Quando decidemmo di alzarci dal tavolo eravamo ancora carichi dalla serata appena passata insieme, sembrava fosse stata breve, ma l'orologio non ci diede ragione: segnava già l'una di notte eppure io non volevo andarmene. Stando con lui non sentivo nemmeno la stanchezza della serata.

Non potevo crederci. Ero stata insieme a lui ben più di cinque ore!

Un tempo record considerando le ultime uscite con i ragazzi che avevo avuto nei mesi precedenti: se riuscivo a stare mezz'ora a parlare con loro, era già un miracolo.

Mi riaccompagnò alla macchina e, dal nulla, me ne uscii con una frase bizzarra proprio mentre mi stava salutando.

Era al volante con il finestrino abbassato e gli occhi sognanti.

Mi fissava ancora euforico per la serata e io, con una sola domanda, riuscii a spezzare l'incantesimo in cui eravamo caduti entrambi: «Scusa», gli dissi, «com'è che ti chiami?». E lo persi per sempre.

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Angolo autrice:
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Chiara
#chiara_artemozioni

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