6) In questo stupido hotel

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Simone aveva passato la mattinata a lavoro, il giorno seguente a quel messaggio, con una concentrazione pari a zero. Voleva solo che arrivasse la pausa pranzo, e non perché gli importasse pranzare ma perché Manuel lo aveva preceduto con l’invio di un indirizzo alle 8 del mattino.
Gli aveva scritto il nome di un hotel e l’orario, nient’altro.

Adesso è lì davanti, nel dubbio ha perfino chiesto un permesso di un paio d’ore perché non aveva idea di quanto si sarebbe trattenuto; scrive: -Sono qui-.

Aspetta una risposta che arriva subito dopo: -Puoi entrare e fare il check in, ho prenotato io anche a nome tuo-

Non si fa troppe domande, prende solo un grande respiro e si avvicina alla reception di questo hotel in cui non era mai stato, lontano sia dal suo lavoro e sia dall’azienda in cui lavora Manuel.

Appena si trova davanti alla stanza 312 bussa, schiarendosi la voce con un colpetto di tosse.

“Sono io”, si affretta a comunicare.
La porta si apre, e un Manuel totalmente in stato d’ansia gli appare davanti. Entra, chiudendosi la porta alle spalle.

“Non bastava un bar?” chiede.
“No, qui è meglio. Non ci vede nessuno”

Simone annuisce. Avrebbe dovuto pensarci prima, che il motivo fosse questo.
Non ha pensato a tante cose, però, anche alla possibilità che Manuel potesse essere davanti a lui a fissarlo senza dire nulla.

“Ok… parliamone” fa lui il primo passo, rendendosi conto che dall’altra parte non ci sarebbe stato.
Come risposta, però, Manuel abbandona ogni freno, ogni ansia, ogni respiro trattenuto fino a quel momento e si lancia su di lui, sulle sue labbra.
Le schiude, permettendo alla lingua di Manuel di entrare nella sua bocca; impazzisce, a quel contatto, soprattutto per quelle mani che lo toccano ovunque.

“Manuel…”
Sembra non avere la capacità di razionalizzare e calmarsi, per questo lo fa lui. Con sofferenza, con l’eccitazione alle stelle e il cuore che gli esce fuori dal petto.

“Manuel, fermati.” gli blocca le braccia, con un po’ di forza, e adesso l’altro è fermo, davanti a lui, con lo sguardo infuocato e il respiro pesante.

“Simò non ce la faccio più.” cerca di tornare sulle sue labbra, ma Simone glielo impedisce una seconda volta rendendolo confuso.

Si guardano per una manciata di secondi, prima che Manuel tiri fuori un piccolo sorriso disperato. “Che fai, prima insisti per vedermi e poi mi scansi? Che cazzo vuoi da me?”

“Non voglio niente, da te. Te l’avevo detto. Volevo solo parlare”
“Parlare? Ok, parliamo”
“E tu che vuoi da me?”
“Non voglio niente, solo… Cristo, non puoi fare così.” si siede sul letto, portandosi avanti con la schiena e coprendosi il viso con le mani.

“Ma così come? Tu che vuoi da me, Manuel? Rispondimi.”
“Ti ho detto che non voglio niente”
“Appunto. E pensi che sia una buona idea stare qui, scopare solo perché tu hai bisogno di svuotarti le palle e poi magari sparire di nuovo per altri quattro anni? E nel frattempo io che faccio?”

“Senti…” si alza di nuovo, tornando davanti al suo corpo rimasto in piedi.  “So du giorni che sto a impazzì, che penso a quello che facevamo, che me blocco co Vittoria, che devo pensà a te per far sembrà che non ce stanno problemi tra me e lei…”
Simone ridacchia, nervoso e con la voglia di prenderlo a sberle.

“Quindi ho ragione. Volevi prendermi, svuotarti le palle e tornare alla tua meravigliosa vita”
“Non c’è un’altra soluzione.”
“C’è sempre una soluzione, ma tu sei troppo egoista per vederla”
“E allora sei mejo te! Che te devo di?”
“Niente. Non mi devi dire niente. Però non faccio il tuo cagnolino. L’ho fatto per un anno abbondante, quattro anni fa. M’è bastato”
“Non eri il mio cagnolino”
“Ah, no? A me è sembrato, guarda…”
“Eri innamorato di me, non potevo fare nient’altro che andarmene, quando l’ho capito.”

(Pensavo fossi) Solo di passaggio ||  Simuel Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora