IV.2 E poi muori

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Su un cavallo baio dall'aria impigrita, un carabiniere. Portava un moschetto al fianco, carico, che pendeva in attesa che si presentasse occasione d'essere imbracciato. La divisa blu notte luccicava coi suoi bottoni argentati e i distintivi in filigrana scarlatta e d'argento; il cappello blu ampio era calato sulla sua testa e il volto attento e simmetrico era rasato sul mento, ma la sua espressione concentrata era accentuata da un paio di baffi. Solo avvicinandosi ancora Alexander notò che insieme al moschetto l'uomo portava anche una sciabola.

Non si poteva negare che avesse una certa eleganza, per quanto non fosse di bellezza sconcertante.

Certo, Alexander aveva sempre a sua totale disposizione un più che avvenente giovane uomo che adorava compiacerlo, non aveva bisogno di scappare sino in Italia per posare gli occhi su una bella presenza, però un bel visino da ammirare faceva sempre piacere.

Trascinò Harvey davanti a quel cavallo un po' abbattuto e chiese: «Sei pronto?»

Lui lo guardò, spaesato. «Pronto a fare cosa?»

Alexander prese un profondo respiro per farsi forza. D'un tratto, tutto intorno a lui sembrava una minaccia, un nemico in agguato. Era là, in mezzo alla strada trafficata di persone e carrozze, davanti al carabiniere, alla luce del giorno, e stava per fare la cosa più folle di tutte.

«Ti fidi di me?» gli chiese, le gambe sul punto di cedere. «È importante, dico sul serio. Per farlo devo essere sicuro che ti fidi di me. Che sai che non può accaderti nulla di male con me, non lo permetterei mai. Tu sai che non ti metterei mai in pericolo, non è vero?»

Harvey lo guardò, preoccupato da quelle parole. Come ogni volta che lui lo guardava, nel mondo non ci fu altro. Esitò, perché di natura non si fidava di nessuno.

Se avesse risposto di no Alexander avrebbe fatto un passo indietro e sarebbero tornati in albergo.

Qualcosa gli si sarebbe spezzato dentro, ma non glielo avrebbe mai fatto pesare. Mai.

«Certo. Certo che mi fido di te.»

Così Alexander fece un passo in avanti, si allungò perché Harvey era giusto quel tanto più alto di lui da fargli perdere la testa, gli posò una mano sulla guancia e premette per un lungo secondo le labbra sulle sue, in un bacio tenero.

Quando il secondo finì, fece un passo indietro.

Harvey era immobile, pietrificato. Alexander non l'aveva mai visto così pallido, neanche alla stazione il giorno della proposta di matrimonio. Sembrava sul punto di svenire.

Un bambino urlò loro qualcosa in italiano, Alexander non aveva idea di cosa, forse uno sfottò, magari anche pesante, non lo sapeva.

Il carabiniere sembrava del tutto disinteressato a loro, osservava vigile i passanti, in attesa che il suo intervento si facesse necessario.

«Cosa-» mormorò Harvey, senza fiato.

«Si può fare» sentenziò Alexander, un po' anche a sé stesso. Il Signore non li aveva fulminati, il carabiniere non aveva fatto una piega, i passanti si erano limitati a urlare qualche cafoneria. Aveva funzionato. Aveva funzionato davvero. «Si può fare, Harvey. Non è vietato. Si può fare. Possiamo fare quello che vogliamo.»

Harvey era ancora fermo immobile. Guardò verso di lui, poi verso il carabiniere. Lo stridio di un gabbiano squarciò l'aria. L'uomo non li aveva ancora degnati di più di uno sguardo, lo stesso che aveva rivolto con fare annoiato a tutti gli altri passanti.

Alexander gli porse la mano, con calma, come avrebbe fatto con un animale selvatico per paura di allarmarlo.

Lui l'afferrò, come Alexander sapeva avrebbe fatto. La sua mano tesa non l'avrebbe rifiutata mai.

Vita e Dolori di Alexander Ulysses WoodsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora