Ebbero cura di tornare alla festa il prima possibile per non destare sospetti, e per buona misura non si trattennero neanche un minuto più del necessario.
In poco meno di un’ora si ritrovarono dentro la carrozza in tre, diretti a Mayfair, con una Sarah molto infastidita dalla sceneggiata provocata dall’improvvisa venuta di suo fratello alla festa.
Dapprima tutto scorse come sempre. Alexander e Harvey cercarono di limitare le occhiatine al minimo e, per i primi tempi, la strategia parve funzionare.
Hector non si presentò più in villa, Alexander non sapeva se fosse già tornato a Parigi né avrebbe saputo dire se l’avrebbe visto mai più.
Soprattutto, però, sentiva gli occhi della Londra bene sempre addosso, appiccicati sulla pelle come un velo di sudore freddo che lo gelava.
Le voci non avevano smesso di girare, lo sapeva, ed era solo questione di tempo prima che la faccenda esplodesse e il loro castello di carte rovinasse a terra con un gran fracasso.
In genere, Alexander amava avere ragione. Era un piacere in cui si crogiolava.
Non quella volta.
Quella volta si trovavano insieme sul letto, dietro una porta chiusa a chiave. Lisbeth giocava nel giardino, Sarah era in cucina con Candace a tentare di imparare a preparare i muffin, tutto filava liscio come l’olio.
«Hector aveva ragione» mormorò Alexander in tono distratto, giocando con il colletto della camicia del compagno. «Aveva ragione, sai? Quella volta.»
Avvertì Harvey girarsi si un fianco per osservarlo. «Oh no, Alex–»
«Io ho sempre odiato il brandy.»
«Non–» il ragazzo inclinò la testa, confuso. «Aspetta, eh?»
Un nodo gli si strinse in gola e si accorse di essere avvampato. «Io ho sempre odiato il brandy. Quando l’hai ordinato per me… quando l’hai ordinato per me al mio addio al celibato avrei voluto buttarlo per terra. Non riesco a berlo, mi fa schifo.»
«Perché me lo dici così?» chiese Harvey, che lo guardava con un misto di preoccupazione e perplessità che sarebbe stato un miracolo poter trasferire su carta. «E perché… perché diavolo l’hai ordinato per mesi quando venivi a prendermi al pub dal signor Johnson?»»
«Perché… perché…» si sentiva scomparire, ma lottò contro l’istinto che gli imponeva di tacere nella sua testa. «Perché volevo fare colpo su di te. Cos’altro potevo dire? “Vorrei–» si incartò con le parole e avvampò ancora. «Vorrei del vino bianco, il più dolce che avete?” E così… così ho chiesto un brandy doppio.»
«Alex, tu… tu hai bevuto un brandy doppio ogni giorno per quattro mesi della tua vita anche se ti fa schifo perché pensavi di fare la figura del maschio alfa con me?»
«Scusa» mormorò, nascondendo il volto alla sua vista, premendoglielo sul petto.
Harvey lo abbracciò allora, forte, poi sentì che che iniziava a tremare e non ci mise tanto a capire che stava sghignazzando.
«Che fai?» gli chiese con voce rotta. «Io voglio sotterrarmi e tu ridi?»
«S- scusa» rispose Harvey, senza riuscire a smettere. «Scusa mi f-fa ridere.»
«Non sei arrabbiato?»
Harvey rise più forte, scuotendo la testa. «No, c-certo che no!»
«Smettila di ridere così! Mi spieghi cosa c’è di così divertente in una patetica bugia per fare colpo?»
«N-non rido per… per la… per la bugia. Rido perché… oddio… rido perché ha funzionato!»
«Ha… funzionato?»
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Vita e Dolori di Alexander Ulysses Woods
RomancePrimavera 1884. Lord Alexander Ulysses Woods è alla vigilia delle sue nozze. Ha diciotto anni, l'amore, un discreto patrimonio, una villa dotata di parco e tutto ciò che un ragazzo della sua età potrebbe desiderare. Unico problema? Il matrimonio è...