Virginia

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Il silenzio di quella stanza mi permise di sentire lo scatto della porta, e a me parve di udire i cardini ruotare. Il rumore dei tacchi scandiva i suoi passi, permettendomi di carpire il suo avvicinamento. Un leggero tonfo, segno di liberazione da quella brutale tortura, mi fece di scatto volgere lo sguardo sull'ingresso, mentre la sua figura si stagliava in quella stanza immersa nel buio. La osservai attentamente,  come si fa per le opere d'arte, mentre i miei occhi si incastravano tra le curve sinuose del suo corpo. Quel vestito attillato le metteva in risalto le forme, mentre quel rosso le incorniciava il volto, mezzo illuminato dalla luce della luna. 

"Ciao Marì" mi disse lei lasciando comparire un sorriso sul suo volto, che fu in grado di portare luce in quella grande stanza. Si avvicinò a passi lenti verso il divano, dove io me ne stavo rannicchiata con una coperta a proteggermi dalla fredda sera di gennaio. Le immagini ancora si ripetevano sul grande schermo del salotto, mentre il mio sangue ribolliva di gelosia. Le feci appena un accenno col capo, non essendo in grado di proferire una singola parola. Una smorfia interrogativa prese il posto del suo sorriso, mentre il suo corpo permetteva l'alterazione della pressione sul divano. 

"Che te prende? Il gatto ti ha mangiato la lingua?" mi chiese ironica lei, tirando a se le gambe e mettendosi più comoda sul quel divano grigio. I miei piedi le premevano sui fianchi, mentre lei poggiava il gomito sul poggiatesta per reggersi il capo. Voltò il suo sguardo verso di me, e a me parve una belva che studia la sua prossima preda. I suoi occhi apparivano famelici, dato il trucco marcato, e la sua bocca si incurvava in un ghigno benevolo. 

"Niente Sabri" le risposi io, tendando di rilassare il mio tono di voce. Non avevo motivo di essere gelosa, lei e Francesco erano colleghi e anche buoni amici, ma mai lei avrebbe voluto qualcosa con lui. Eppure le scene riprodotte poco prima mi avevano mandata su tutte le furie, facendo crescere in me un insensata violenza. Il ricordo delle sue mani sui fianchi di Sabrina e dei lusinghieri complimenti, mi attraversano il cervello come un fulmine a ciel sereno, facendo si che le mie dita cominciassero a torturasi vicendevolmente. 

"Mi dici che cosa ti prende" mi chiese lei, ancora una volta, solo che ora il suo tono appariva spazientito. Sapevo di non poterle tenere nascosto nulla, perchè era come se le nostre anime fossero legate. Avevo spesso la sensazione di vivere in simbiosi con la mora, e spesso mi era difficile essere in grado di tacere. Mi alzai dalla mia posizione supina, avvicinandomi ancora di più al corpo della romana. La sua pelle olivastra risaltava al chiaro di luna, mentre lei giocava con ciocche di capelli che le ricadevano disordinatamente sulle spalle. 

"Mi ha dato un po' fastidio Francesco, ma tu non puoi farci nulla" le dissi allora io, abbassando il mio sguardo che si perse a fissare i pezzi di tessuto del divano. Non volevo incontrare il suo sguardo, perchè quello avrebbe sancito il crollo delle mie barriere. Se mai i nostri occhi si fossero fusi, lei sarebbe stata in grado di leggermi dentro, liberando il mostro della gelosia che da ore tenevo a bada. La sentì allungare due dita sotto il mio mento, mentre une pressione incontrastabile mi fece alzare il capo. 

"Che ti ha dato fastidio in particolare?" mi chiese ancora lei, mantenendo la presa salda delle sue dita sul mio volto. La mie pelle bruciava a contatto con la sua, mentre un senso di vergogna per quella subdola gelosia mi assaliva. Mai avevo dubitato dei sentimenti di Sabrina nei miei confronti, ne della sua lealtà, ma ciò che temevo di più erano gli altri. La mia più grande paura era quella di lasciarmela sfuggire dalle mani, come quando si prova a riacchiappare un palloncino che ormai vola troppo alto nel cielo. Lei possedeva un pezzettino della mia anima e, se mai se ne fosse andata, lo avrebbe di certo portato con se. 

"Ma tutto, le sue mani sui tuoi fianchi. E poi come ti guardava, dio mio" le risposi io, sentendo improvvisamente aumentare l'afflusso di sangue al cervello. In quel momenti mi sentivo esplodere, come un vulcano represso, mentre il mio fastidio verso quella figura maschile cresceva sempre di più. Le sue mani lasciarono il mio volto per congiungersi con le mie, e condurle sui suoi fianchi. La vidi avvicinarsi famelica, mentre quegli occhi scuri scrutavano il mio volto carico di rabbia. 

"Marì guardami" mi incitò lei e il mio sguardo, che prima saltellava da un dettaglio all'altro di quella grande stanze, ricade su di lei permettendo ai miei occhi di abbracciare i suoi. La vidi prendere qualche respiro, mentre un espressione sempre più se si faceva strada sul quel viso. 

"Io voglio solo te, non mi importa di chi mi tocca o di chi mi guarda. Io ho scelto te." mi disse lei, ed io vidi il suo sguardo farsi più dolce. I suoi occhi brillavano, mentre le sue pupille erano dilatate. Le sue mani giocavano con le mie, lasciandole e riprendendole come io avrei voluto fare con le sue labbra. Ma la paura mi attanagliava lo stomaco e mi bloccava i muscoli, perciò rimasi in quella posizione fissandola a lungo, e cercando di imprimere quelle parole nella mia mente. 

"Lo sai che mi fido di te Sabri, ma ho sempre la paura di non essere abbastanza, che tu un giorno possa stancarti di me" le confessai io e lo sguardo che lei mi rivolse fu così carico di amore, che io mi sentì una stupida ad aver pensato quelle cose. Come poteva uno sguardo simile sparire, o essere sostituito. Come poteva non amarmi più se i suoi occhi mi scrutavano con venerazione, e mi bruciavano come fuoco sulla pelle. Mi sentì in difetto per non aver carpito, in un mio momento di debolezza, tutto l'amore che quella donna provava nei miei confronti. 

"Tu sei più che abbastanza amore mio" mi sussurrò lei, avvicinandosi con il suo viso verso di me. Le mie mani le circondarono il corpo, mentre il suo respiro si infrangeva sulla mia pelle come onde del mare. Mi lanciai verso di lei, catturando le sue labbra in un bacio. Un bacio che sapeva di scuse, che aveva il sapore delle mie insicurezze ma anche di tutto il mio amore per lei. Non ero una persona in grado di affrontare l'amore a parole, quando ne parlavo era come se la voce mi si bloccasse in gola. Preferivo i gesti, le dimostrazione e la presenza, a futili flussi di promesse destinate a non essere mantenute. 

Poggiai una delle mie mani alla base del suo collo, beandomi del contatto con la sua pelle calda. Quel vestito mi stava facendo impazzire, mentre i suoi baci si facevano sempre più famelici. 

"Senti, io conosco un modo molto divertente per farmi perdonare" le dissi io, staccandomi appena dalle sue labbra di cui ancora sentivo il sapore. Lei era diventata la mia più bella dipendenza, lei che era più buona delle caramelle o del caffè. Lei che mi faceva mancare il respiro con un solo gesto, peggio di interi pacchetti di sigarette. 

"E sentiamo, quale sarebbe questo modo Marì?" mi chiese ammiccate lei, fingendo di non comprendere a cosa io alludessi. Mi alzai lesta dal divano allungandomi verso di lei, infilai le mie mani sotto le sue gambe facendo forza sulle ginocchia per poterla alzare dal divano. Lei non si oppose, ma anzi avvinghiò le sue mani intorno al mio collo, che ora le fungeva da appiglio. La condussi a grandi falcate nella stanza adiacente e, poco aggraziatamente, la feci cadere sulle lenzuola azzurre di quel grande letto. Mi allungai su di lei, incastrando la sua bocca nella mia mentre la mia presa si faceva ancora più salda su di lei. 

"Adesso te lo mostro" le risposi io, con tono carico di eccitazione, mentre le mie labbra si attaccavano alla sua pelle fremente di eccitazione. 

Ciao ragazzi, la puntata di Colpo di Luna mi ha ispirata. Lo so che è molto simile all'altro, ma non ho idee per questa storia. Fatemi sapere se vi piace, vostra Lady. 


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