PROLOGO

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"Tell me every terrible thing you ever did,

and let me love you anyway."


Sade Andria Zabala

Il sangue colava lungo il mio braccio, inzuppando la manica della camicia. Il pugnale era così pesante che riuscivo a malapena a tenerlo dritto. Non sapevo nemmeno come ero finito ad avercelo in mano. Ricordavo di aver visto la lama riflettere la luce delle candele e di aver cominciato a correre, e poi... poi dovevo aver perso conoscenza, perché adesso mi ritrovavo con due corpi distesi ai miei piedi, ed entrambi sembravano alquanto defunti. Oh, beh, sono stato io? No, impossibile. Volevo solo togliere il pugnale a lui. Sapevo di avergli promesso che non avrei interferito, ma non potevo far finta di nulla. Dovevo proteggerlo, anche da se stesso. Soprattutto da se stesso. Ma ora non aveva più importanza, giusto? Era tutto finito. L'ossessione morbosa degli ultimi tre mesi era giunta al termine. E adesso? Fissai il suo viso pallido come se mi aspettassi che aprisse gli occhi e mi rispondesse. Aveva sempre una risposta per tutto.

«Ben!»

Qualcuno mi stava chiamando.

«Ben! Per l'amor del cielo!»

La voce squarciò la nebbia che aveva attanagliato la mia mente e, quando alzai lo sguardo, vidi due occhi grigi che mi guardavano con così tanto terrore e angoscia che, sorpreso, lasciai cadere il pugnale. L'arma tintinnò ai miei piedi, schizzando il sangue sui miei modesti stivali. Mi piacevano davvero quegli stivali, pensai. Erano rovinati, ormai. Così come la mia camicia di flanella e i miei pantaloni di velluto marrone. Tutto era coperto di sangue.

Thomas si accovacciò davanti a me, prendendo la testa di Alexi in grembo. Lo stava toccando con una gentilezza insolita per lui. Lo fissai, stupito da un simile comportamento. Perché fai così, volevo chiedergli. Era morto, perché avrebbe dovuto fare attenzione a non ferirlo? Le mie mani, abbandonate lungo i fianchi, ebbero uno spasmo. Anch'io volevo toccarlo, anche se fosse stata l'ultima volta. Ma proprio mentre stavo per muovermi, Thomas parlò di nuovo.

«Sento il battito. È vivo!» gracchiò.

Allo stesso tempo, vidi qualcuno avvicinarsi con la coda dell'occhio. Mi voltai, e Paola era lì, a fissare Thomas e Alexi con un'espressione fredda. Il lato sinistro del suo viso era livido.

«Dobbiamo completare il rituale», disse con voce calma.

«Sei pazza?!» Thomas sembrava isterico. «Dobbiamo portarlo in ospedale!»

«Non essere stupido», sputò lei. «Non possiamo andare in ospedale. Andremmo in prigione.»

«E allora cosa facciamo?» Era stato Christian a porre la domanda. Se Paola era fin troppo controllata date le circostanze, Christian sembrava a un soffio dal crollare; occhi iniettati di sangue, mani tra i capelli, labbra rosse a forza di mordicchiarle. Continuava a fare avanti e indietro per la stanza, ansimante. Non riusciva nemmeno a guardare il disastro sul pavimento.

«Prima di tutto», continuò Paola, «completiamo il rituale, altrimenti tutto quello che abbiamo fatto sarà stato vano. Poi, pensiamo a un modo per aiutare Alexi.»

Al diavolo il rituale, avrei voluto gridare. Fanculo questa follia. Solo che, ancora una volta, non riuscii a trovare la voce. Le parole mi erano rimaste bloccate in gola, bruciando come se avessi appena ingoiato un tizzone ardente. Volevo farle cambiare idea, volevo fare di Alexi la priorità, ma... non potevo muovermi. Avevo la sensazione che la mia mente e il mio corpo non fossero più connessi. Ero bloccato lì, un semplice spettatore dell'orrore che si svolgeva davanti ai miei occhi. Ero sotto shock? Il pensiero mi fece ridere, guadagnandomi un'occhiataccia da parte degli altri. Chiusi immediatamente la bocca e aspettai. L'unica cosa che potevo sentire era il respiro affannoso di Christian. Allora, mi costrinsi a muovermi e gli presi la mano nella mia.

Gilded Cage - L'illusione della libertàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora