EPILOGO

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Un mese dopo

«Pensi che il rituale abbia funzionato davvero?»

Mia madre mi guardava con l'espressione più rilassata che le avessi mai visto. Era davvero un miracolo come riuscisse a rimanere così calma, dopo tutte le cose atroci che le avevo raccontato negli ultimi giorni. Beh, adesso era calma. Non era stata così serena quando aveva scoperto cosa mi fosse successo un mese prima. Non appena le avevo detto che ero in ospedale, era saltata sul primo treno per Edimburgo e non mi aveva più lasciato solo. Aveva pianto, urlato, e pianto ancora. Non sapevo se fosse giustamente incazzata o semplicemente preoccupata. Forse un misto di entrambi. Poi, mi aveva pregato di andare a vivere con lei, almeno finché non fossi guarito, ma avevo rifiutato. Avevo bisogno della mia casa. Aveva accettato di lasciarmi andare solo se le avessi promesso che sarei andato a trovarla non appena avessi avuto le forze per viaggiare.

Ecco perché adesso mi trovavo nel suo salotto e le stavo spiegando tutto quello che era successo al St. Joshua's College dal momento in cui avevo messo piede in quel posto maledetto per la prima volta. Ci stavo mettendo giorni a raccontarle tutto, sia perché dieci anni erano tanti da narrare, sia perché aveva tante domande; davvero tante.

«Questo è il punto. Non lo sapremo mai con certezza», dissi, massaggiandomi la spalla.

Il colpo di Paola era stato pulito ma quasi mortale. Il proiettile mi aveva attraversato, uscendo dall'altra parte, e aveva mancato il mio polmone di pochi millimetri. Avevo perso molto sangue, ma per fortuna i soccorritori erano riusciti a raggiungermi appena in tempo. Stavano pattugliando la foresta, cercando i sopravvissuti dopo il caos causato dall'incendio, e mi avevano trovato vicino al laghetto.

Adesso, la ferita e le leggere ustioni sparse su tutto il mio corpo si erano quasi completamente rimarginate ma, ogni volta che ripensavo a quel giorno, provavo ancora un dolore fantasma. Avvertivo le fiamme bruciarmi la pelle e il sangue bagnarmi i vestiti; sentivo l'odore del fumo e il sapore delle lacrime. Ricordavo il terreno freddo sotto di me mentre svenivo. Dopodiché, avevo perso alcuni giorni; era stata una combinazione di antidolorifici, perdita di sensi e incubi. Anche il cibo dell'ospedale era stato abbastanza terribile.

Thomas era venuto a trovarmi, prima di tornare a Los Angeles, e mi aveva chiesto se desideravo che rimanesse. Mi sarebbe piaciuto averlo vicino, ma non potevo essere così egoista. Lui aveva la sua vita in America e io dovevo imparare a vivere di nuovo la mia qui. Dopo che l'ospedale mi aveva dimesso, ero tornato a casa mia a Londra per riprendermi e James si era preso cura di me per tutto il tempo. Non gliel'avevo chiesto, ma lui era stato felice di aiutarmi.

«Ma eri abbastanza disperato da provarci», insistette mia madre.

Non era un'accusa. Stava solo esponendo i fatti per quelli che erano. Ero stato abbastanza disperato da provare il rituale e mi aveva portato solo sofferenza. Avrebbe dovuto realizzare ogni mio sogno, ma invece aveva reso la mia vita un inferno. Per come la vedevo, c'erano solo due opzioni: o Dio non esisteva, oppure esisteva ed era abbastanza stronzo da prendersi gioco di noi in questo modo. Ero decisamente propenso alla prima.

«In un certo senso ce la siamo cercata, però. Qui totum vult, totum perdit». Sorrisi nel vedere l'espressione perplessa di mia madre. «Chi vuole tutto, perde tutto.»

Avevo davvero perso tutto. Avevo perso l'unica persona che era tutto per me. Vedevo gli occhi di Alexi nei miei sogni, pieni di rimpianti e amore inespresso. Cercavo di raggiungerlo, ma non riuscivo mai a toccarlo. Mi svegliavo sempre con un ardore che non sarebbe mai stato soddisfatto.

«Forse è stato come in Macbeth, dove la predizione delle streghe mette tutto in moto. Forse era solo una profezia che si autoavvera.»

Quasi scoppiai a ridere. Perfino mia madre, religiosa fino al midollo, cercava di trovare una logica nella follia di Jamie.

Gilded Cage - L'illusione della libertàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora