Capitolo 19

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James aveva origliato la nostra conversazione. Perché ovviamente lo aveva fatto. Quando uscii dalla biblioteca, lo sorpresi in flagrante in fondo alle scale. Il ragazzo non ebbe nemmeno la decenza di mostrarsi colpevole.

«Cosa fai?» gli chiesi, guardandolo con uno sguardo severo.

«Io—» incrociò le braccia sul petto. «Ha detto che potevo curiosare in giro.»

Sfacciato.

Thomas rise. «Mi piace.»

«Scioccante», dissi, lanciandogli un'occhiataccia, prima di puntare un dito contro James. «Non hai sentito niente, capito?»

«Perché?»

«Non sono affari tuoi, ecco perché.»

Se Alexi aveva ragione e questo Albert aveva qualcosa a che fare con la morte di Allan ed Eliot, chiunque stesse indagando sui casi aveva buone possibilità di far risalire gli omicidi a Jamie e di conseguenza a noi. Dovevamo trovare Albert prima di chiunque altro, altrimenti saremmo stati davvero fottuti. Non volevo che il mio studente preferito scoprisse che avevo ucciso qualcuno.

«Il suo amico è stato rapito. Posso essere d'aiuto», disse James.

Mi massaggiai la fronte con due dita. «Che cosa di "non hai sentito niente" non capisci?»

James strinse le labbra. «Mi ha aiutato, signor K. Quindi io voglio aiutare lei. Sono bravo a fare il detective.» Sorrise, maliziosamente. «Adoro i libri di Sherlock Holmes.»

«Questo non è un gioco!» sbottai. «È pericoloso. Non ne hai la minima idea!»

«Se è così pericoloso, perché non va alla polizia?» replicò James.

Strinsi la mascella, trattenendomi dal dire qualcosa di cui mi sarei pentito. James non aveva idea del pasticcio in cui si sarebbe cacciato se avesse saputo la verità. Era solo un ragazzo che voleva rendersi utile. Sapevo come ci si sentiva, ma non avevo intenzione di rischiare la sua vita dandogli la possibilità di mettersi alla prova. Non avrei permesso a nessun altro di mettersi in pericolo per quello che avevamo fatto noi dieci anni fa.

«Andiamo, Thomas.» Presi i nostri cappotti e uscii dalla porta. Prima di chiuderla, mi rivolsi ancora una volta a James. Mi guardava accigliato, chiaramente incazzato. «Non ti ho salvato da tuo padre per vederti morire sotto la mia protezione.»

Uscii di casa per la terza volta quel giorno con il cuore ancora più pesante. Avevo detto a James che non conosceva tutta la storia, ma la verità era che non sapevo nemmeno io in cosa mi stessi cacciando con tutta questa situazione di Albert. Non conoscevo Thomas o Alexi. Non sapevo nulla delle loro vite. Non più. Erano dei semplici estranei che erano apparsi di prepotenza nella mia vita, proprio come avevano fatto in passato. E io ero stato così stupido da tornare da loro non appena avevano avuto bisogno di me. Non potevo proprio stare lontano, vero?

Ovviamente no. Si tratta di Alexi.

«Sai», disse Thomas, sedendosi accanto a me sull'autobus diretto a Nothing Hill, «quel ragazzo mi ricorda te.»

«Come mai?» chiesi, tenendo gli occhi sulla strada fuori dal finestrino.

«Volontà di ferro e lingua tagliente. Nessun rispetto per le autorità o senso di autoconservazione. Sei sicuro che non siete imparentati?»

«Non sei divertente», grugnii, ma un piccolo sorriso mi aleggiò sulle labbra.

Thomas ghignò. «Lo sono e tu lo sai.»

A volte mi ero chiesto come sarebbe stata la mia vita se non fossi stato figlio unico; se mio padre non se ne fosse mai andato e i miei genitori avessero prodotto un altro pargolo Knight. Sarei stato protettivo o geloso di mio fratello? La nostra famiglia sarebbe stata normale? Io sarei stato normale? Non ero nemmeno sicuro di cosa significassero per me la parola normale o famiglia, ma se mai avessi avuto un fratello minore, avrei voluto che fosse come James.

Gilded Cage - L'illusione della libertàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora