Capitolo 12

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Proprio come Paola aveva previsto, la polizia arrivò al St. Joshua's College due giorni dopo l'inizio di gennaio. Era stata Clara che, allarmata dalla misteriosa scomparsa della sua amica, aveva cercato di coinvolgere le autorità già da prima di Capodanno. Inizialmente, era stata ignorata, per poi essere addirittura additata come isterica. Clara l'aveva chiamati per ben due volte, ma le avevano risposto solo con una serie di scuse: "Forse è tornata a casa" oppure "Forse è andata da qualche parte per le vacanze". Lei aveva insistito, ma l'agente le aveva detto seccato: "In questo momento siamo a corto di personale, non possiamo mandare nessuno", cosa che avevo trovato davvero esilarante.

Dopotutto, era la fine di dicembre e anche i poliziotti erano in vacanza. Non importava quanto si fosse lamentata, nessuno l'aveva presa sul serio. Quando Clara era andata a Edimburgo per parlare con qualcuno di persona, però, un ispettore aveva dato ascolto alle sue paranoie e aveva deciso di venire a dare un'occhiata. Naturalmente, non era stata lei a rivelarmi tutto questo, ma lo aveva raccontato in sala da pranzo alle sue amiche a voce così alta da farlo sentire a chiunque le fosse vicino. Fu così che venni a sapere che la polizia stava arrivando.

«Quindi? Cosa facciamo adesso?» chiesi.

Paola incrociò le braccia al petto, appoggiandosi al bancone della cucina. Eravamo nell'appartamento nell'ala ovest. Il giorno prima, Alexi era riuscito a rimanere in piedi abbastanza a lungo da lasciare la cabina e tornare al castello. Era ancora allettato, ma la ferita era in via di guarigione e lui sembrava stare meglio. In quel momento, però, contro il parere di tutti, era seduto al tavolo, con Christian accanto a lui. Thomas era sdraiato sul divano – uno spinello in una mano e un bicchiere di bourbon nell'altra – e io ero fermo in piedi davanti a Paola.

«Non facciamo nulla», rispose lei.

«Perché?»

«Pensa, per una volta. Abbiamo già attirato troppa attenzione ammalandoci misteriosamente uno dopo l'altro, o comunque fingendo di stare male; prima io e Alexi, poi tu...»

«Ero davvero malato.»

«Stavo letteralmente morendo», disse Alexi.

«Non importa. Il punto è che la gente ha notato la nostra assenza proprio come avevo detto.»

«Sì, brava. Avevi ragione. Un grande applauso per te», la prese in giro Thomas, alzando il suo bicchiere.

Paola gli lanciò uno sguardo infastidito. «Bevi fino a finire in coma, grazie.»

Thomas le mostrò il dito medio. Lei stava per urlare qualche altro insulto quando Alexi la interruppe.

«Sono d'accordo con Paola.»

«Certo che lo sei.»

«Tom!» grugnì lui. Non riuscì ad essere intimidatorio come suo solito, l'incidente lo aveva reso meno aggressivo, ma il suo avvertimento fece comunque zittire Thomas.

«Andiamo avanti come se nulla fosse, quindi?» chiese Christian.

Lui aveva un aspetto ancora peggiore di quando l'avevo visto dopo essermi svegliato nel suo letto. Quei disegni che aveva nella sua stanza mi preoccupavano, ma non più dello sguardo tormentato che aveva negli occhi. Mi chiesi se in questi giorni stesse dormendo. Io non ci riuscivo, perché ogni volta che chiudevo gli occhi ero assalito da immagini di cadaveri e capelli biondi intrisi di sangue. Una volta avevo anche sognato di essere arrestato e che era Alexi a chiudermi le manette intorno ai polsi. Mi ero svegliato confuso e madido di sudore. Quando avevo realizzato di essere nel letto di Alexi, mi ero rilassato, ma non ero riuscito ad addormentarmi di nuovo. Il mio viso mostrava sicuramente i segni della stanchezza, proprio come quello di Christian mostrava le sue angustie.

Gilded Cage - L'illusione della libertàDove le storie prendono vita. Scoprilo ora