Anthony

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la mia vita è difficile, senza dubbio.
sono figlio di una famiglia mafiosa con regole molto rigide. regole che mi stanno strette.
sono un ragazzo apertamente omosessuale, e non mi faccio problemi nel mostrarlo, ma per mio padre è un problema grosso.
dovevo scappare dai miei pensieri, dalle urla costanti della gente spaventata che ero costretto ad uccidere per lavoro, da tutte le morti che ho sulle spalle. e per scappare, sono finito nel circolo della droga.
pensavo di poter smettere quando volevo, ma non è più così.
stare più di due giorni senza polveri o sostanze di vario genere, mi crea agitazione, ricomincio a sentire le morti, sentire la mia coscienza urlarmi di smettere.
la mia vita mi sta scivolando di mano, lo so.
ma mio padre vuole che io prenda il controllo della rete di famiglie mafiose di cui lui ora è il capo, quando morirà.
quindi.. mi ha costretto ad andare in riabilitazione.
una di quelle stupide terapie di gruppo, dove decine di disagiati parlano del perché sono così disagiati.
so che mi farebbe bene, ma non riesco a pensarla come una cosa positiva.
mi stanno togliendo tutto ciò che mi rimane, tutto ciò che mi tiene ancora in vita.

<<Anthony, tu andrai in ospedale e non farai storie, sono stato chiaro?>>

ha detto mio padre, con tono severo.

<<papà ho trent'anni, non puoi scegliere per me.>>

<<tu farai quel che ti dico io. Anthony.>>

siamo arrivati davanti ad una struttura nuova, sembra essere appena stata costruita, e dalle finestre intravedo degli interni bianchi e molto puliti.
arriviamo alla reception, e mi chiedono in che gruppo devono inserirmi.
non vorrei parlare, ma sono costretto dallo sguardo inferocito di mio padre.
mi danno da firmare diverse scartoffie.
non voglio firmare nulla, ma guardo dinuovo mio padre, che sembra pronto ad uccidermi da un momento all'altro.

<<stia tranquillo signore, non dovrà stare qui tutto il giorno, ci sono specifici orari, ma lei dovrà sempre essere presente>>

<<va bene..>>

ho finito di firmare, e mio padre va via, lasciandomi in sala d'attesa.

noto che un uomo alto circa 1,70, entra ed inizia a firmare diverse scartoffie, proprio come avevo fatto io.
lui avrebbe fatto terapia insieme a me?
allora non è così male stare qui.
appena si gira noto i suoi occhi che erano di un colore molto strano, quasi gialli e molto brillanti, i suoi capelli scuri e il leggero pizzetto che gli contornava il viso.
fra circa un'oretta c'è il primo incontro con il gruppo, e se lui verrà con me, perché non conoscerlo.
si siede affianco a me nella sala d'attesa, ma non sembra essere interessato a niente. forse è proprio questo che mi piace.
ha uno sguardo privo di emozioni, vuoto, ed il suo essere trasandato lasciava intuire il suo corrente stato d'animo.
sento una forte puzza di alcol, e per la prima volta non sono io, ma è l'uomo affianco a me.
evidentemente stava cercando di uscire dall'alcolismo.
decido di girarmi verso di lui, e presentarmi amichevolmente.

<<Hey, piacere, Anthony. abbiamo più o meno la stessa età, quindi saremo probabilmente nello stesso gruppo qui, no?>>

si gira a guardarmi, e appena vedo il suo sguardo mi pento di essemi presentato. non mi sembrava uno molto amichevole.
anzi.

<<mi chiamo husk.>>

si gira nuovamente verso l'orologio appeso sul muro di fronte a lui.
sembra star studiando gli interni di questo posto molto attentamente, senza farsi scappare nessun dettaglio.
vorrei parlare con lui, ma non sembra voler avere una conversazione.

il tempo sembra essere passato in un battito di ciglia, perché una signora viene a chiamarci e dirci che il gruppo in cui siamo stati messi sta per avere il primo incontro.
entro in una stanza abbastanza buia, con un proiettore puntato su un telo bianco.
mi siedo nell'ultima fila, forse per paura di venir giudicato dalle persone presenti in questa stanza, e noto che subito affianco a me si mette l'uomo con cui ho parlato prima, husk.
la dottoressa inizia salutandoci, e dicendo che è possibile uscire dalle nostre dipendenze e che ci sono molti rischi, elencandoli uno ad uno.
vedo che husk è disinteressato quanto me, anzi, sembra quasi starmi studiando, guardandomi con la coda dell'occhio.
viene leggermente vicino al mio orecchio, e stranamente inizia a parlarmi.

<<è ovvio che so i rischi, sennò non sarei venuto qui. siamo dei tossicodipendenti, i neuroni li abbiamo ancora.>>

<<già, questo posto è stupido.>>

<<ma fa passare per stupidi anche a noi. ci trattano come se non vedessimo il problema. lo vediamo, scegliamo solo di ignorarlo>>

iniziamo a chiacchierare sottovoce, e quello che prima sembrava rigido e senza emozioni, in realtà si rivela molto gentile.

<<sai.. l'alcol è stato la mia rovina. prima di cominciare a bere o col gioco d'azzardo, ero una persona piena di passioni e vitalità. la depressione mi ha mangiato da dentro, svuotato di ogni interesse o emozione.>>

<<ma tu.. come ci sei finito qui?>>

vedo i suoi occhi diventare lucidi, ma si trattiene.

<<scusa ragazzino, non voglio parlarne.>>

rispetto la sua decisione, so quanto può essere difficile ammettere le proprie colpe o Parlare dei propri problemi.
gli Poggio una mano sulla spalla, e lui mi guarda negli occhi, senza far travasare alcuna emozione.
continuiamo a conversare, ignorando completamente il mondo circostante.
in questo momento sento una connessione fra noi.
una connessione mai sentita prima.
anche se lo conosco da poco, mi sembra di conoscerlo da sempre.
abbiamo poche cose in comune, ma qualcosa lo rende speciale.
voglio capire che cosa nasconde sotto quel viso apatico e stanco.

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