15. Un delicato intervento

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Per il compleanno della mamma, con il prezioso aiuto di mia zia e di mia cugina, le avevo organizzato a sorpresa un picnic fra donne. Dal web avevo ritirato piatti e bicchieri personalizzati, un raffinato bracciale e un paio di orecchini firmati Swarovski. La mamma ha sempre amato il marchio ma non aveva mai acquistato niente, non ha mai pensato a se stessa ma soltanto al benessere dei suoi figli. Senza farle sospettare nulla, mi feci trovare sul divano a guardare questi gioielli e venendo a sbirciare, credeva che stessi scegliendo qualcosa per me quindi, le mostrai diverse modelli e le dissi di farmi sapere un suo parere. Ero riuscita nel mio intento, quindi acquistai quelli che pensava fossero per me e le feci arrivare a casa dei nostri vicini, altrimenti, avrebbe aperto il pacco appena il postino l'avrebbe consegnato.

I genitori di Liam avevano avuto un contrattempo, quindi rimandarono la loro partenza, sarebbero venuti a conoscerci in autunno e poi ovviamente saremmo andati anche noi lì da loro...

La mattina del 7 luglio, mia zia si era alzata molto presto per preparare tante cose; l'impasto di polpette, le fettine panate, crocchette di riso e frittelle di fiori di zucca. Nascose tutto dentro il forno.
Appena la mamma si alzò dal letto, mia zia le disse di non potere andare insieme a lei quel giorno a lavoro perché aveva un appuntamento dal commercialista per sbrigare documenti, quindi la mamma ci andò a piedi da sola. Io e Samira ci alzammo, andammo a comprare i panini e i dolci di una rinomata pasticceria, nella quale mia madre era una cliente abituale e poco dopo tornammo a casa ad aiutare la zia con i preparativi. Appena terminato, avevamo sistemato tutto in un cestino e all'ora di pranzo andammo a prendere mia mamma.

Avevamo stipato tutto nel bagagliaio così non avrebbe visto nulla. Facemmo un bel pò di strada fino ad arrivare a Serra San Bruno. Intanto, mia madre chiedeva insistentemente dove stessimo andando. Appena arrivate a destinazione io e Samira ci addentrammo a cercare un posto un pò più appartato in mezzo agli alberi. Mia madre odiava il caldo e allora avevamo optato per un picnic nei boschi, per poter stare al fresco coperti dalla fitta boscaglia. Adagiai la tovaglia da pranzo sul prato e sistemai bicchieri, tovaglioli, piatti e posate. Nel frattempo Samira per non rischiare di perdersi in quel dedalo di arbusti sempreverdi, fece come pollicino, riempì le sue tasche di molliche di pane e andò a indicare alle nostre madri il sentiero per raggiungerci. Mia madre appena mi vide affondò le sue dita sul volto tanto era felice e si emozionò, le diedi subito il mio regalo, non potevo attendere oltre; appena vide quello che le avevo regalato rimase senza parole, non parlò per qualche istante. Mia zia le aveva regalato un buono da spendere nella sua azienda e mia cugina, uno smartphone, perchè mia madre possedeva ancora uno di quei cellulari senza connessione a internet. Era molto felice quel giorno, anche per le prelibatezze che avevamo preparato per lei e per i suoi dolci preferiti, non se lo aspettava. Mangiammo così tanto e ci divertimmo parecchio all'aria aperta. Nel pomeriggio raccogliemmo le nostre cose e le portammo in auto. Facemmo una lunga passeggiata fino ad arrivare al santuario di Santa Maria del Bosco, cinto da Abeti e Faggi secolari, immerso nel parco naturale delle Serre. La piccola chiesa è raggiungibile percorrendo una scalinata maestosa in granito ricoperta da un sottile strato di verde che si armonizza perfettamente con il paesaggio. Accanto al santuario sorge il laghetto di San Bruno, un piccolo bacino con una statua del santo inginocchiato e immerso nell'acqua, in ricordo della sua penitenza offerta a dio.  È un luogo di silenzio che infonde nel cuore la quiete. L'unico rumore udibile è soltanto il sibilo del vento che soffia sulle foglie degli alberi, ed è molto rilassante. Si respira profonda pace.

Sulla via del santuario si trova una piccola bottega nella quale è possibile acquistare prodotti del luogo, mia zia, al rientro aveva comprato cipolle e conserve di funghi da portare allo zio, ne era ghiotto.

Mentre ci avviavamo verso il parcheggio, non molto distante dalla bottega, un terribile fastidio al fianco mi aveva tolto il fiato, chiesi alle altre di fermarsi, non riuscivo a compiere un solo passo. Man mano che i minuti passavano, il dolore si accentuava sempre di più. Nel mentre, per non farmi camminare, mia zia andò di fretta a prendere l'auto e entrai a fatica. Mi sdraiai sulle gambe di Samira e al rientro a casa, andai a distendermi sul divano. Mia zia mi fece una tisana rilassante, stavo veramente molto male. Più tardi, non vedendo miglioramenti, decisero di portarmi in ospedale. Dopo svariate ore di attesa arrivò il mio turno, mi fecero una moltitudine di esami e, successivamente, un'ecografia ai reni. Sfortunatamente da quei risultati, venne fuori che avevo un'insufficenza renale acuta e che possedevo un rene soltanto. Nessun dottore mai se ne era accorto in precedenza. L'ospedale di Soverato non era molto attrezzato, quindi con l'ambulanza mi portarono all'ospedale di Catanzaro, nel quale i medici approfondirono gli esami. La situazione era molto più preoccupante del previsto. Il mio rene aveva smesso di funzionare, era proprio partito. Mi sentivo un relitto.

Appena accadeva qualcosa di buono, ne succedeva una spiacevole pronta a sopprimere la precedente. Ormai avevo cominciato a temere i giorni felici. La mia esistenza era un incubo senza fine. Il mio tratto distintivo era il tormento. I giorni seguenti ero sempre molto triste e disperata, la mia vita era attaccata a un filo tanto sottile quanto la tela di una ragnatela.

La dialisi era diventata la mia migliore amica, non potevo fare a meno di lei. Mia cugina sul web aveva sparso la voce per trovare un donatore idoneo, centinaia di persone nelle ore successive al mio ricovero, erano accorsi in ospedale per analizzare il loro profilo genetico, nessuno però era uguale al mio, mi stavo rassegnando. Liam la sera stessa del ricovero si presentò in ospedale per eseguire gli stessi esami ma anche in quell'occasione avevano dato esito negativo. Stava al mio fianco e cercava di tirarmi su in ogni modo, per due giorni interi non mangiò nulla né rientrò a casa. Dopo circa una settimana la notizia raggiunse anche Khan e venne a trovarmi e decise di sottoporsi al check up clinico. Il suo profilo era compatibile ma servivano altri accertamenti per valutare lo stato di salute, la funzionalità del rene e altri rigorosi controlli. Avevo perso le speranze fino a quel giorno. Mia madre non faceva che piangere, mia cugina e mia zia la accompagnavano. Pian piano io e Khan cominciammo insieme un lunghissimo iter, io ovviamente gli dicevo di rifletterci, che non doveva farlo per forza ma lui insisteva per essermi d'aiuto. Non gli importava vivere con un solo rene. Ero grata della sua empatia. Un paio di giorni prima dell'intervento, i medici cominciarono a darmi dei farmaci antirigetto. Alle prime somministrazioni vomitavo e quindi successivamente me li hanno sostituiti.
Arrivò presto il giorno dell'intervento. Cominciai a pregare come una forsennata, non volevo morire, non ero pronta ad affrontare un simile epilogo.

Entrambi eravamo nella stessa sala operatoria, mentre preparavano Khan per asportare il suo rene, preparavano me per riceverlo, avevamo entrambi una paura incontenibile. Hanno dovuto aumentarci la dose di anestesia perché l'adrenalina in circolo era molto più potente. Khan prima di entrare mi strinse forte la mano e mi disse di stare tranquilla perché sarebbe andato tutto per il meglio.
Eravamo seguiti da un equipe di dieci persone tra cui tre chirughi, infermieri, anestesisti e tecnici.
L'anestesista ci chiedeva di non affaticarci ulteriormente con i pensieri e, dopo aver rilassato la muscolatura mi addormentai, sopraffatta dalla narcosi. L' intervento durò poco piu di 4 ore e mi svegliai dopo circa 5 ore e mezza dall'inizio dell'intervento. Mi sentivo disorientata; grazie alla morfina, dolore non ne sentivo però avevo una grande paura. Dopo essermi ripresa, scrissi subito un messaggio a Khan per ringraziarlo una seconda volta. Prima l'incidente poi questo, non potevo non essergli grata. Ormai avevo un pezzo di lui dentro di me.

Rimasi in ospedale 3 interminabili settimane e, prima di dimettermi, il dottore mi ripeteva con insistenza di ricordare di prendere le medicine ogni giorno alla stessa ora, avrei dovuto prenderle per tutta la vita. Per un periodo abbastanza lungo, non potevo fare alcuno sforzo, dovevo seguire una dieta specifica e stare in assoluto riposo. Non ero ancora fuori pericolo, le probabilità riguardo un eventuale rigetto erano abbastanza alte, la riuscita non è sempre ovvia. Odiavo dover essere aiutata da qualcuno. Anche per fare le cose più banali avevo bisogno di un'assistente. Questo mi aveva riservato il destino purtroppo. Molto spesso accade quello che eviteresti volentieri.

I primi mesi sono stati veramente difficili, ogni tanto provavo dolore ma durante le visite, il dottore mi aveva detto che dovevo tenerlo in conto. Zio Antonio, diede a Liam i primi quindici giorni di riposo dal mio rientro, affinchè potesse occuparsi di me, facevano a turni, due settimane ciascuno. La mamma invece si occupava sia di me che di Khan, andava a trovarlo due volte al giorno.

Se devo essere sincera, avrei tanto voluto che avessero inventato un sonnifero per dormire tre, quattro mesi e non affrontare tutto quel che mi era successo.

Iris - Sussurri Di Un'animaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora