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Si potrebbe pensare, basandosi sul fatto che sono nella squadra di basket della scuola da tre anni, che io sappia fare canestro. Niente di più sbagliato. «Jauregui!» urla la coach, sbracciandosi animatamente verso di me. Usa il mio cognome perché non si ricorda il mio nome. «Basta tirare! Lascia la palla a qualcun altro!» È quasi più umiliante del tiro che ho fatto un secondo fa. Sono una guardia tiratrice, quindi in teoria dovrei, sai, tirare, ma questa è la terza volta che un mio tiro non tocca nemmeno il canestro. Di solito controllo perfettamente la palla, ma stasera è come se avessi le mani cosparse di burro. La squadra avversaria riesce a impossessarsi della palla dopo il rimbalzo e le mie orecchie bruciano mentre corro in difesa dall'altro lato del campo. Non riesco a guardare negli occhi i miei compagni. Tecnicamente è solo un'amichevole, ma è contro la Candlehawk, la scuola nostra rivale, e al momento siamo in svantaggio di diciotto punti. E giochiamo in casa. Se perdiamo questa partita non avremo la possibilità di redimerci sino al derby di Natale, il che vuol dire che queste teste di cazzo avranno la meglio su di noi per i prossimi due mesi. Punto bene i piedi sul campo e cerco di concentrarmi sulla difesa. Stiamo giocando uno contro uno, che di solito è il mio punto forte, ma stasera è diverso, perché si dà il caso che l'avversaria che sto marcando sia una mia ex compagna di squadra. E si dà il caso che sia anche la mia ex-ragazza. Lucy Vives è stata la prima e unica persona che io abbia mai amato. Si è trasferita nella mia scuola all'inizio del terzo anno dandosi tutte le arie di ragazza di città decisa a mostrare il proprio valore dentro e fuori dal campo. La prima volta che abbiamo parlato ha afferrato la mia coda di cavallo e mi ha detto che avevo i capelli rossi più belli che avesse mai visto. La prima volta che ci siamo baciate, è stato come se un lampo di fuoco mi avesse attraversata. È stato, in una parola, estasiante. Dal canto suo, Lucy amava solo due cose. La prima ero io. La seconda era farsi notare. Lucy voleva diventare qualcuno, ma non poteva farlo nella nostra scuola, dove la squadra di basket femminile era tanto importante quanto il club del lavoro a maglia. Sapevo che voleva di più, ma nella mia testa, quel di più era qualcosa nel lontano futuro, qualcosa che avremmo affrontato insieme. Pensavo fossimo sulla stessa lunghezza d'onda, sino al giorno in cui mi ha invitata fuori a cena, mi ha annunciato che si sarebbe trasferita di nuovo e che voleva rompere. La lettera di accettazione della Candlehawk Preparatory Academy era talmente stropicciata e consumata che sapevo che se l'era portata addosso per settimane. Cerco di non guardare Lucy mentre attraversa a grandi falcate il campo con la sua nuova maglia dorata, ma è come fingere che il sole non esista. Stringe le labbra cercando di mantenere un'espressione neutrale, ma so che è entusiasta di come il gioco sta andando. Conferma che ha fatto bene a trasferirsi in una scuola con un programma di pallacanestro migliore, una scuola dove finalmente può essere notata. Lucy prende posto accanto a me sulla linea dei tre punti, mantenendo una distanza sufficiente per ricevere un passaggio dalla sua nuova playmaker. Ma poi, quasi come se non potesse farne a meno, mi guarda. Stai bene? dice con il labiale. Vuole sembrare preoccupata, ma a me sembra solo accondiscendente. Distolgo lo sguardo e mi giro. Non voglio la sua pietà. La playmaker avversaria ha appena attraversato la metà campo quando l'arbitro suona il fischietto. La mia migliore amica, Normani, ha chiesto un time-out. Normani è la nostra playmaker, caposquadra e di fatto anche la nostra allenatrice perché quella ufficiale è incapace. Si precipita verso di me e mi parla a bassa voce prima che le nostre attaccanti e centrocampiste ci raggiungano. «Amica.» Mi lancia il suo caratteristico sguardo serio. «Ti devi concentrare. Ignorala.» Normani sa quanto mi abbia devastata la rottura con Lucy, e che mi sono a malapena ripresa. Per questo e per la sua competitività, Normani è determinata a vincere questa partita a tutti i costi, anche se sono tre anni di fila che perdiamo contro Candlehawk. A dire il vero, abbiamo perso la maggior parte delle partite in generale, ma questo non ha mai impedito a Normani di sognare di vincere una stagione. «Lo so, lo so, hai ragione» borbotto «non era necessario che chiamassi un time-out per questo.» Normani sbuffa. «Non tutto ruota attorno a te.» Poi si gira verso le nostre attaccanti e centrocampiste a mano a mano che ci raggiungono. «Ascoltate, avete capito la loro strategia?» La fissiamo. La mente di Normani è sempre avanti, capace di riconoscere schemi e ritmi che noialtre non vediamo mai. Ogni tanto si astrae perdendosi nei suoi ragionamenti. Le nostre amiche chiamano quel momento la Visione di Normani. «La playmaker fa un gesto con la mano quando vuole che le attaccanti cambino posizione» dice bisbigliando. «Allora corrono verso le ali per distogliere l'attenzione dall'area...» Cerco di ascoltare, ma i miei occhi continuano a cercare Lucy. È raccolta in cerchio con le sue nuove compagne di squadra, afferrandosi la caviglia con la mano e restando in equilibrio su un piede come fa sempre. La prima volta che l'avevo presa in giro per questa sua abitudine, l'anno scorso durante le selezioni, aveva sorriso beffardamente e mi aveva risposto, E tu perché mi guardi? Vorrei poter tornare a quel momento. Gli occhi di Lucy azzurri come il ghiaccio, la sua smorfia provocante, la sua voglia di dare a questo posto – e a me – una possibilità. Doveva ancora scoprire che giocare per una squadra di basket femminile di basso livello in una bizzarra città di periferia non ti fa diventare nessuno. E io dovevo ancora scoprire che non essere nessuno è un'aberrazione. «... Capito?» chiede Normani in tono incoraggiante, dandomi una pacca sul braccio. Improvvisamente stiamo riprendendo le nostre posizioni e l'arbitro suona di nuovo il fischietto, ma io non ho idea di cosa devo fare. Succede tutto troppo in fretta: la playmaker avversaria fa il segnale, le attaccanti si posizionano ai lati e Lucy corre a bloccare Normani. Pianta i piedi e incrocia le braccia sul petto, diventando un muro che Normani non può attraversare. La inseguo, cercando di stare al passo, ma lei si svincola facilmente e si dirige verso la linea di tiro libero per ricevere il passaggio della sua playmaker. Quando riesco a raggiungerla, Lucy ha già tirato. Il pallone passa in modo nitido e pulito attraverso il canestro, in un arco perfetto, senza toccare la rete. La sezione dorata del pubblico – più o meno tutto il pubblico – ruggisce di gioia. Uno dei loro sostenitori sventola un cartello che dice FORZA LUCY!! Mi viene da vomitare. Lucy sorride mentre le sue compagne corrono verso di lei per battere il cinque. Ora sono in vantaggio di ben venti punti e la mia squadra non ha alcuna possibilità di rimontare. Normani mi lancia un'occhiataccia e io capisco che probabilmente mi aveva avvertita dello schema. Alzo le spalle, difensiva; lei scuote la testa e si affretta verso la linea di fondo per passare la palla e iniziare una nuova azione. È in quello stupido secondo – tra quando raccatto la palla e la passo a Normani– che perdo la testa. Una delle giocatrici della Candlehawk, abbracciando Lucy, dice ridendo: «Quella ragazza non ti ha nemmeno vista arrivare! Non riusciva a starti dietro!» Quella ragazza. Come se fossi un essere patetico che non significa niente per Lucy. Ovviamente non ha ritenuto che valesse la pena menzionarmi alle sue nuove compagne di squadra. «Hey, stronza!» grido alla giocatrice della Candlehawk. Lei si gira, scandalizzata. Così come il resto della sua squadra, inclusa Lucy, sconcertata. «Mi chiamo Lauren!» Scaravento il pallone come se fossimo a una partita di dodgeball e volessi far fuori tutta la loro squadra. Provo un bollente secondo di soddisfazione, ma poi... Fiiiiiiihiuuuu. L'arbitro fischia e si dirige verso di me. «Fallo tecnico!» grida. «Condotta antisportiva!» Il pubblico inizia a fischiarmi. Le giocatrici della Candlehawk mi lanciano sprezzanti occhiate di superiorità, tranne Lucy, che mi guarda come se fossi impazzita. La mia allenatrice è paralizzata, chiaramente non sa bene cosa sia un fallo tecnico. Sento lo sguardo penetrante di Normani su di me, ma mi rifiuto di alzare gli occhi mentre mi affretto a raggiungere la panchina. I sostenitori della Candlehawk continuano a cantare cori gioiosi mentre la nostra manciata di tifosi resta in silenzio. Sono furiosa, ma un brivido caldo di vergogna mi scorre lungo la schiena. Prendo il mio posto in panchina con lo sguardo fisso a terra.

She Drives Me Crazy. Mi fa impazzireDove le storie prendono vita. Scoprilo ora