Anche quella notte Matilde si trovava seduta in terrazzo in compagnia di una bottiglia di birra e la sua solita sigaretta. Si stava facendo cullare dal silenzio e dell'armonia di quel momento.
Era rannicchiata sulla sedia di vimini, con la testa appoggiata alle proprie ginocchia. Aveva la mente libera, si sentiva leggera, priva di qualsiasi cosa che potesse tormentarla; stava cercando nuove parole per comporre nuove frasi nel suo quaderno di poemetti.Matilde amava tutto quello che riguardava l'esporre i propri sentimenti su carta. Amava la poesia, la prosa e le rime. Questo vizio lo aveva preso dal nonno, che le aveva sempre insegnato l'importanza di liberarsi di ciò che tormenta la testa, scriverlo per poi nasconderlo tra le pagine di un quaderno e dimenticarsene.
Lei aveva sempre usato questa tecnica. La portava con sé come un ricordo lontano di quell'affetto indiscriminato che le aveva sempre fatto provare il nonno.
Risultava essere una tecnica infallibile se non fosse per il conseguente vizio di tornare a rileggere ciò che scriveva, anche dopo anni. Infatti, quella era una sera di quelle; alla luce di una fioca lampadina da esterno, si era persa a leggere vecchi pensieri per riscriverne altri.Finchè non venne interrotta da quella solita melodia malinconica.
Era una settimana che quasi tutte le notti alla stessa ora tornava, come un carillon rotto che si bloccava sempre allo stesso punto rendendolo quasi assordante e fastidioso. Matilde ormai aveva imparato a memoria quel ritmo e le sue poesie stavano iniziando ad avere quella musicità.
Tornò indietro nelle pagine, lasciando le dita scorrere sulla carta come piume sulla pelle, per tornare a quella poesia che rimandava perfettamente a quella base di chitarra. La rilesse con il giusto ritmo, sentendo le emozioni divampare dentro di lei, sensazioni che le scaldavano il corpo al di sotto della pelle. Non se ne capacitava, sembravano potersi ricamare perfettamente insieme, voleva quasi poter far leggere quelle stesse parole al misterioso musicista che abitava al piano superiore.
Presa da una profonda frenesia, sorseggiò l'ultimo sorso di birra e spense la sigaretta per poi alzarsi dalla poltrona di vimini. Aveva preso coraggio, voleva lasciare tra le mani di uno sconosciuto i propri pensieri e le proprie paure, voleva consolarsi sul fatto di non sentirsi sola ed estranea da un mondo così nichilista.
Si diresse in camera solo per poter indossare un paio di pantaloni e, solo dopo aver ripreso in mano il proprio taccuino, si decise ad uscire dal proprio appartamento.
Con una fretta che non sentiva sua, si diresse al piano di sopra. Imboccò le scale e facendo i gradini a due a due raggiunse la porta dell'inquilino.Al momento la melodia si era fermata, azzerando il coraggio della ragazza e portandola a dubitare di quello che stesse facendo. Non aveva altra scelta, poteva scendere le scale e dimenticarsi di avere risposte sull'aspetto dell'inquilino, oppure bussare e confidarsi con uno sconosciuto.
Bussò. Matilde bussò alla porta con il fiato sospeso; stava iniziando ad avere paura, non sapeva esattamente di cosa, ma in quel momento tutto sembrava più grande di lei.
Nessuno le aprì. Il silenzio in quell'appartamento le stava portando la paura che il proprietario stesse dormendo o, peggio, che stesse facendo finta di non essere in casa. Le risultò improbabile la seconda opzione, perché fino a pochi attimi fa da lì usciva la solita canzone e in quel condominio vivevano solo loro due e un'anziana signora. Quindi doveva per forza essere lui.
Provò a bussare di nuovo e, questa volta, un assordante rumore di sedie che strisciavano sul pavimento invase il silenzio. Eccolo.«Si, cercherò di abbassare la musica, chiedo scusa» lo sentì dire mentre la porta si apriva davanti a lei. Un ragazzo giovanissimo con probabilmente pochi anni più di lei si presentò davanti al suo cospetto; era affascinante, con capelli nero pece ed occhi mandorla profondi e luminosi, che facevano contrasto con la pelle bianca come la neve.
Si fermarono diversi secondi ad osservarsi. Matilde si chiese ai suoi occhi come potesse apparire, con le occhiaie e i capelli castani spettinati. Forse pensava fosse una scappata di casa.
«No...in realtà non dormivo nemmeno io» si schiarì la voce, per poi fare un lungo respiro e prendere coraggio. Alzò gli occhi su di lui, prendendosi la libertà di osservarlo con più calma.
«Sono giorni che ti sento ascoltare la stessa melodia. Ecco...mi sono permessa di scriverci qualcosa sopra» aggiunse ricordandosi improvvisamente di avere con sé il proprio taccuino. Così decise di porgerglielo e sperare in una risposta positiva.In risposta, ottenne solamente uno sguardo confuso che lentamente si trasformò in un sorriso, come se avesse ragionato lentamente a tutto ciò che la ragazza gli avesse appena detto. Si spostò lateralmente, per poi lasciarle il giusto spazio per entrare.
«Accomodati» sussurrò il ragazzo che restava ancora anonimo. Matilde si fece coraggio nella speranza che dargli fiducia non si rivelasse una cattiva idea, così fece dei passi all'interno e un forte profumo di bosco e muschio le invase le narici.
Sembrava un appartamento spoglio e lugubre, a causa dei mobili scuri e dei muri bianchi e privi di quadri. Era tutto così essenzialmente minimalista, che gli fece quasi percepire la paura di legarsi ad un posto che non si poteva nominare casa.L'unica cosa che in quel soggiorno spiccava era una grande scrivania posta contro il muro, esattamente accanto alla portafinestra spalancata. Sopra la scrivania era posto un computer ancora acceso e numerosi fogli scarabocchiati, scritti e stracciati illuminati da una flebile lampada da terra che si fletteva al di sopra di quella zona.
Si guardò attorno con attenzione, cercando ugualmente di non risultare indiscreta.
«Scusami se in queste notti ti ho assillata» sussurrò da dietro di lei, per poi superarla e raggiungere nuovamente la scrivania. Cercò di fare spazio, facendo cadere i fogli accartocciati in un cestino e ordinando quelli scritti.
Matilde, dal canto suo, non si spostò nemmeno di un passo dal punto in cui si trovava; quasi con la paura di intromettersi in qualcosa di fin troppo intimo.«Non ti preoccupare, non sono una gran dormigliona» si strinse nelle spalle.
«Pensi di restare lì tutto il tempo? Vieni a sederti qui» si girò verso di lei e aggiunse un'altra sedia davanti alla scrivania.Prese coraggio. Fece alcuni passi, lasciando che i piedi ancora scalzi toccassero il pavimento freddo di quell'appartamento, per poi dirigersi al suo fianco. Si sedette, incrociando le gambe sulla sedia, mentre si costringeva a non osservare troppo ciò che era appoggiato davanti a lei.
Aprì il taccuino e lo posò davanti al ragazzo al suo fianco. Lo vide abbassare lo sguardo e soffermarsi a leggere alcune righe. In quell'esatto momento Matilde ebbe grandi ripensamenti, si chiese lei stessa come si fosse permessa di fare una cosa simile, di apropiarsi di una melodia che non era nemmeno sua, scrivendo quello che le passasse per la testa, senza tener conto di ciò che provava il ragazzo.
«Scusami se mi sono permessa» prese parola facendolo distogliere l'attenzione dal taccuino.
«Oh, invece è perfetta.»Le venne spontaneo sorridere, lo fece in maniera sincera e genuina, come se un grosso masso le fosse stato strappato dal petto. Si sentì compresa, aiutata, gratificata. Non riusciva a spiegare quello che quelle parole le avessero scatenato dentro di sé.
Si sentì nel posto giusto al momento giusto, rischiando di volersi soffermare e perdersi in quell'attimo.«Ne sono felice»
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ONIRO - FASTER // BNKR44
Fanfiction⭐︴43°43'6"60 N, 10°56'32"64 E "ti prego, Andrea, non smettere di cantare" Il suono di una melodia nel cuore di una notte; in torno silenzio, nemmeno il vento sibila. Matilde resta incantata, si sofferma e si rispecchia. Vorrebbe annegare tra quelle...