Capitolo 10

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Nel Bunker il tempo scorreva sempre come seta sulla pelle, non ci si accorgeva mai che le giornate andavano avanti una dopo l'altra. Passavano ore chiusi lì dentro sotto casa di Ghera e le attività erano sempre disparate; non era un semplice studio, ma risultava un punto di ritrovo per ragazzi annoiati o speranzosi di poter stare in compagnia tra persone che li potessero comprendere.
Infatti, Andrea e i ragazzi si erano conosciuti così, creando un rapporto talmente indispensabile che lui voleva ripararsi al Bunker quasi tutti i giorni.

Anche quel giorno era lì dentro, per cercare di creare una nuova base con Jacopo, che sedeva davanti al computer ormai già da troppe ore. Indossava gli occhiali da sole come sempre, così da attutire la luminosità dello schermo in confronto al buio soffuso che risiedeva attorno a loro.
Andrea alle sue spalle, invece, era stretto in una felpa leggera di cui indossava il cappuccio, mentre a testa bassa cercava di scrivere qualcosa. Alcune frasi gli erano già uscite, forse il ritornello era pronto, ma del resto non riusciva a trovare altre idee. Dopo tutto, quello poteva già essere un passo avanti, infatti quasi ne andava fiero anche se continuava a trovarne errori.

«Jack» sussurrò cercando di attirare l'attenzione dell'amico, che si girò verso di lui. Non disse nulla, emise solo un mugolio in segno di attenzione. «Non so come iniziare la strofa» continuò porgendogli il telefono per fargli leggere ciò che aveva appena scritto.
«Non iniziare subito con "E mi ricorderò..."» canzonò Jacopo seguendo quasi il ritmo della base che stava producendo. Fece la stessa cosa Andre cercando di capire cosa potesse starci bene prima.
Quella era la frase che quella stessa mattina aveva lasciato su un biglietto per Matilde. Ormai lo sapeva benissimo che condividere con lei ciò che scriveva era l'unico modo per ricavarne qualcosa di bello. Gli piaceva moltissimo avere il suo parere e il suo aiuto, lo spronava a fare di più e a dare il meglio di sé, ma allo stesso tempo aveva paura di deluderla.
Non riusciva a comprendere se si stesse finalmente legando a qualcuno, o se fosse un piccolo capriccio che presto avrebbe dimenticato definitivamente. Non trovava risposta e quei giorni di distacco da Matilde non lo stavano aiutando come credeva; aveva voglia di rivederla, ma se non avrebbe riprovato le stesse cose? Se si fosse definitivamente allontanato?
Tutto questo quasi lo spaventava, perché per l'ennesima volta non voleva finire a dare ragione ai suoi amici. Loro pensavano che lui non si sarebbe mai potuto innamorare di nuovo seriamente e, questo, l'aveva portato a crederci.

«E se la ricollegassi al ritornello?» si morse l'interno guancia, per poi ritornare a canticchiare il ritornello.
«Troverai nel cuore ciò che stai cercando... Lo troverai nel petto
Mi dispiace non essere perfetto,
Ora sarai con un altro nel letto... E mi ricorderò la tua testa...» sussurrò scrivendo ciò che stava dicendo. Ne uscì soddisfatto, era riuscito a scrivere qualcosa completamente da solo, come una volta. Era felice e non sapeva come descriverlo all'amico.
Si alzò dalla sedia, per poi avvicinarsi a Jacopo e gli lasciò un bacio sulla fronte. «Grazie Jack» sussurrò sorridendo come uno stupido, «Prego, ma cosa ho fatto?» si levò gli occhiali e si girò completamente verso il più alto, che però non gli diede risposta perché troppo impegnato a rimettersi le scarpe per uscire dal Bunker.

Si diresse verso casa. Voleva parlare con Matilde e dirle che era riuscito a scrivere qualcosa, voleva mostrarle quanto davvero fosse stato bravo.
Ormai aveva metà canzone pronta, in poco tempo sarebbe riuscito a registrarla e finalmente a terminarla. A questo punto si stava chiedendo se registrare un'intero album o se limitarsi a farne uscire una di tanto in tanto; del resto, con l'aiuto che gli stava porgendo Matilde sarebbe stato in grado di scrivere molte altre canzoni. Credeva molto di più in sé.

Arrivato a casa, scelse di non disturbare immediatamente Matilde non sapendo se stesse ancora dormendo. In fondo erano giorni che tornava a casa tardi e di lei non sapeva molto, non capiva se andasse a lezione o se stesse coricata a letto tutto il giorno. Sentiva quasi un grande velo di mistero che girava intorno alla ragazza.
Tornò al suo appartamento, salendo le scale con lentezza per paura che il suono degli anfibi contro la veneziana delle scale potesse dare troppo fastidio alla ragazza.
Quando raggiunse la porta, l'apri con calma ed entrò. Ad attirare la sua attenzione fu un foglietto di carta che sbadatamente calciò con la punta degli anfibi, si chinò a prenderlo e capì subito che era la risposta a quello che lui stesso aveva scritto quella mattina.
Sorrise dolcemente. Allora anche lei ripensava a quella nottata insieme, nonostante fossero passati dei lunghi giorni. Questo un pochino lo rassicurava, procurandogli un sussulto al cuore.

Scelse di scendere nuovamente, così da poter raggiungere l'appartamento di Matilde. Bussò ripetute volte, invitandola ad aprire e farsi finalmente vedere.
«Non voglio sentire nessun ma, voglio vederti» sussurrò quando la sentì rispondere. Dopo pochi attimi, finalmente si trovarono uno davanti all'altro; lui rimase senza fiato perché le era mancata talmente tanto che non sapeva come dirglielo. Si limitò solamente ad avvicinarsi a lei ed istintivamente le prese il viso tra le mani, si abbassò su di lei per poi stamparle un bacio a fior di labbra.

Una miriade di emozioni esplosero dentro lui facendogli formicolare la bocca dello stomaco.
No, non si era stancato di lei.
No, non voleva dimenticarla.
Aveva ottenuto le sue risposte con un semplice gesto come quello, anche se non era stato per nulla semplice. Lo aveva stordito talmente tanto che ebbe bisogno di due secondi per ricollegare ciò che era appena accaduto.

«Scusam..» non fece in tempo a finire la parola, che si ritrovò di nuovo contro le sue labbra. Questa volta era un bacio dato direttamente da Matilde, stupendolo.
Non si erano mai parlati e, credeva, di non essersi nemmeno scambiati segnali sull'interesse reciproco, eppure si erano ritrovati a ricambiare proprio quel gesto.

Questo bacio durò di più, lasciando che le loro labbra danzassero tra loro in un'armonia che era da tanto che non provava. Si sentì più tranquillo, come se ogni voce dentro di sé si fosse finalmente zittita.
Tornarono a guardarsi, ma non riuscirono a dire nulla. Si guardarono solamente negli occhi, lasciando che fossero loro a parlare; lei guardava nei suoi occhi neri, lui nei suoi smeraldi. Stavano comunicando una serie di riflessioni, domande e conclusioni che nemmeno loro capirono inizialmente.

«Vuoi entrare?» prese parola lei, lasciandogli lo spazio giusto per passare. Forse quello era il modo giusto per affrontare la cosa: renderla del tutto normale.
«Certo» si fece spazio in casa lasciando gli anfibi in entrata, così da potersi accomodare. «Come stai? La febbre com'è?» chiese tornando a guardarla, lei si strinse solamente nelle spalle. Non stava bene, la febbre non stava calando, ma non voleva farlo preoccupare e questo Andrea lo sapeva molto bene.
«Sto bene, sto cercando di riposare il più possibile» sussurrò lasciando che la propria fronte finisse contro il petto di Andrea. Lui la strinse solamente a sé, cingendole la vita con le braccia, per poi posare il mento sulla sua testa. Rimasero alcuni attimi in quella posizione, ma lui sentiva perfettamente il calore della sua pelle attraverso la maglietta, così decise di portare le mani sulle sue guance per poterle far alzare il volto verso di lui e posare le labbra sulla sua fronte.
«Sei caldissima, Matilde» si staccò da lei prendendola per mano, così da portarla sul divano, «Per questo non volevo che venissi qui.» La fece stendere sul divano, «Stai qui per favore, vado a prenderti un panno freddo» si diresse in cucina, per poi riempire un recipiente con dell'acqua e prendere un panno pulito. Lo immerse completamente nell'acqua fredda, lo strizzò è torno da lei per posarglielo sulla fronte.
«Devi stare attenta, Matilde» la rimproverò, lei mugolò solamente socchiudendo gli occhi. «Sto prendendo le aspirine, pensavo passasse» Andrea scosse la testa, per poi avvisarla che avrebbe chiamato gli altri per avvisarli che nel pomeriggio non sarebbe andato al Bunker. Non si fidava a lasciarla sola in quelle condizioni, non dopo che l'aveva lasciata sola per una settimana senza sapere mai come stesse davvero.
«Cerca di riposare, io preparo qualcosa da mangiare» le disse lasciandole un bacio prima di dirigersi in cucina. 

ONIRO - FASTER // BNKR44Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora