Avevano ormai finito di sistemare la cucina, o almeno c'avevano provato. Avevano buttato i cartoni delle pizze e le bottiglie delle birre, per poi svuotare il posacenere ormai colmo di sigarette lasciate a metà.
Nessuno dei due aveva davvero voglia di salutarsi, così optarono per uscire nuovamente in terrazzo. Si sedettero sulle poltroncine, lui stendendo le gambe davanti a sé, mentre lei se le strinse contro il petto per poter appoggiare il mento sulle ginocchia. Restarono per alcuni attimi il silenzio, guardando il tramonto che terminava davanti a loro; videro il rosa tramutarsi in viola sempre più scuro per poi sfumare in blu notte. Finalmente era tornata la luna ad illuminare quel momento, come se fossero tornati indietro di settimane.
«Di solito cosa scrivi?» chiese Andrea voltandosi finalmente verso di lei, che rimase in silenzio per ancora un po'. Si prese il tempo di pensare su cosa rispondere, se sbilanciarsi e deliberare le proprie paranoie o se restare nel segreto come aveva sempre fatto con chiunque. Non aveva mai raccontato a nessuno di cosa scriveva, di cosa parlava nei suoi momenti di solitudine, ma a lui aveva già permesso di leggere qualcosa e anche di pubblicarlo. Ormai quelle sue parole erano di tutti.
«Non si può dire» rise dolcemente, per poi voltarsi a sua volta. Prese tempo in quel modo, optando per scherzare e rendere più leggero il discorso che stava nascendo.
«Ah no?» lei scosse la testa sorridendo, per poi allungare una mano a giocherellare con il posacenere che era posizionato al centro del tavolo. «Una volta scrivevo i segreti, quei banali segreti che tengono per sé i bambini. Ero ingenua, non sapevo cosa potesse davvero far soffrire le persone, ma ugualmente apprezzavo il fatto di mettere per esteso tutto» lui sorrise, «Tenevi un piccolo diario dei segreti?»
«Esatto. Poi, ho avuto la mia prima relazione. Ho avuto le prime delusioni d'amore e lì ho iniziato a scrivere dei sentimenti adolescenziali» Andrea rimase in silenzio, in modo da invitarla a continuare, «Ora scrivo di cosa mi spaventa, di quanto faccia paura il futuro e l'ignoto davanti a noi. Però scrivo anche delle ferite lasciate da una vecchia relazione, dei ricordi passati insieme.»Uno sbadiglio le uscì leggero dalle labbra, portandola a socchiudere gli occhi e dover ammettere di avere sonno. Lui la guardò semplicemente, perché in quelle parole aveva rivisto tutto quello che lui stesso metteva nei suoi testi. In fondo, era quello il motivo in cui si trovava bene a scrivere le canzoni con lei; ci si rivedeva, portandola quasi a volerla proteggere da ogni male che potesse toccarla.
«Inizio ad essere davvero stanca, ti dispiace se ci spostiamo sul divano? Se vuoi possiamo guardare un film» sussurrò stropicciandosi gli occhi umidi a causa del precedente sbadiglio.
Lui annuì, per poi alzarsi e allungare una mano verso di lei, così da poterla aiutare.
«Se vuoi posso anche tornare a casa, non voglio disturbarti» disse Andrea seguendola in casa. La vide scuotere la testa e gli venne spontaneo sorridere, «No resta qui a farmi compagnia, per favore.»Lui non riuscì a dirle di no. Capiva quanto vivere soli a volte fosse difficile e ti facesse provare la solitudine in maniera pesante.
Così, si sedettero sul divano. Inizialmente uno accanto all'altro, poi lentamente la posizione si tramutò in distesi uno accanto all'altro. Andrea aveva la schiena contro lo schienale del divano, mentre lei era appoggiata al suo petto. Erano stretti in un abbraccio a finire quel film, anche se ormai Andrea sapeva di essere solo lui a guardarlo.
Matilde aveva preso sonno ormai da parecchio tempo, forse da metà del film, ma lui non riusciva a trovare il coraggio di spostarsi; un po' per paura di svegliarla, un po' perché non voleva lasciarla. Quella condizione gli stava facendo provare un'infinità di emozioni. Aveva voglia di stringerla a sé come se avesse paura di perderla in un ricordo lontano, come se Matilde non potesse essere reale.Aveva voglia di tenerla per sé, nasconderla in una campana di vetro per evitare che qualcuno la portasse lontano da sé. In fondo, sapeva che Huda la stesse tenendo in guardia, sapeva che le raccontava dei suoi errori passati, in fondo anche Marco dubitava di tutto quello che lui potesse provare nei suoi confronti. Entrambi ritenevano che fosse solamente un gioco di passaggio, un'ossessione platonica che gli creasse un'incredibile voglia di averla per sé. Ritenevano che sarebbe durato poco, ma lui non la pensava allo stesso modo; lui credeva che prima o poi loro due sarebbero potuti andare lontano.
Con quei pensieri che gli frullavano nella testa, prese sonno anche lui.
Passarono la notte stretti su quel divano troppo piccolo per due e con la tv che continuava a trasmettere. Dormirono l'intera notte, accoccolati tra sogni e pensieri ricorrenti, dubbi.
Nessuno dei due, però, volle pensarci. Volevano godersi quella situazione come se nulla esistesse dopo.
Stavano bene e lo sapevano. Incastrati come pezzi di un puzzle.Alla mattina si svegliarono ancora stretti uno all'altro. Matilde aveva la testa appoggiata contro il suo petto, mentre Andrea aveva un braccio a sollevargli la testa come un cuscino.
Il primo odore che invase le narici della ragazza fu proprio quello di Andrea, che ancora dormiva profondamente. Ci mise alcuni attimi a constatare che quello sotto di lei era proprio il corvino dagli occhi brutali, ma quando se ne accorse non riuscì a trattenere un sorriso.
Era chiaro che avessero preso sonno per sbaglio, ma quella situazione l'aveva tranquillizzata.Poi, improvvisamente le venne in mente che quella era la mattina in cui lui doveva partire per Milano, così si affrettò a svegliarlo.
«Andrea, Andrea svegliati» sussurrò scuotendolo lievemente. Avevano dormito troppo, senza una sveglia e senza un'orario di riferimento.
«Farai tardi, non fare il pigro.»
Lo vide aprire lentamente gli occhi, quasi sforzandosi. Lei sospirò, mentre lui lasciava che un sorriso gli riempisse il volto.
«Buongiorno anche a te, Matilde» biascicò allungando una mano in cerca del suo viso. Passò una mano sulla sua guancia, per poi alzarsi e lasciarle un bacio sulla fronte.
«Ora mi alzo» ammise, tornando disteso, quasi a voler dormire ancora un po'.«Andrea, devi andare a Milano» in quel momento lo vide sgranare gli occhi, per poi mettersi seduto e biascicare qualche imprecazione sul fatto che avrebbe fatto ritardo.
«Cazzo cazzo, devo correre» lo guardò alzarsi e istintivamente Matilde si mise a ridere. Andrea tornò a guardarla, quasi innervosito da quella situazione, era logico che avrebbe perso il treno e gli altri si sarebbero arrabbiati con lui, non capiva il motivo per cui lei dovesse ridere.
«Scusami, mi fa troppo ridere. Come abbiamo fatto a prendere sonno come due scemi» ammise lei. Andrea si calmo, per poi mettersi a ridere a sua volta.Alzò lo sguardo verso l'orologio e constatò che ancora un pochino di tempo lo aveva.
«Visto? Non sei nemmeno così tanto in ritardo» intervenne Matilde, «Dai che ti faccio un caffè, direi che ti serve» aggiunse alzandosi a sua volta dal divano.Si spostarono entrambi in cucina, così da poter fare una breve colazione che li permettesse di riprendere completamente le forze. Si persero a chiacchierare ancora un pochino, finché per Andrea non fu davvero il momento di andarsene.
«Allora vedi di divertirti» disse Matilde sull'uscio della porta, Andrea sorrise per poi annuire. «Lo farò. La prossima volta ti poterò con me» le promise allungandosi per lasciarle un bacio sulla fronte e salutarla definitivamente.
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ONIRO - FASTER // BNKR44
أدب الهواة⭐︴43°43'6"60 N, 10°56'32"64 E "ti prego, Andrea, non smettere di cantare" Il suono di una melodia nel cuore di una notte; in torno silenzio, nemmeno il vento sibila. Matilde resta incantata, si sofferma e si rispecchia. Vorrebbe annegare tra quelle...