Il cucchiaino di plastica

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(Capitolo riveduto e corretto il 4/5/2024)


Quando Draco tornò a casa era abbondantemente passata la mezzanotte. La strana e inattesa serata con Harry Potter era stata una delle più gradevoli della sua vita. Certo, di tanto in tanto c'erano stati dei momenti imbarazzanti, ma era abbastanza sicuro che il problema in tal senso fosse del tutto suo e dei suoi sentimenti. Il moro infatti era apparso del tutto a suo agio, pronto a scherzare su ogni cosa, incluso il baciarlo. L'entusiasmo momentaneo si placò di botto quando una maligna vocina interiore gli suggerì: "è sicuro di essere etero, per quello scherza tranquillamente su certe cose, non ti bacerebbe mai davvero."
Si guardò meglio attorno, e pensò che era facile capire perché in quella casa l'entusiasmo sgusciasse via come l'acqua da uno scolapasta. Era una casetta in periferia, posta alla fine di una strada sterrata che si allontanava da un piccolo villaggio babbano. Vi aveva posto abbondanti incantesimi attorno per renderla invisibile ai non maghi, convinti che la stradina finisse diverse centinaia di metri prima. Un tempo doveva essere stata la casa di un guardiacaccia sul limitare di un boschetto basso e rado. Sviluppata su due striminziti piani, la struttura di base era in legno e pietra. L'aveva ripulita e restaurata al meglio delle sue capacità, ma rimaneva fondamentalmente un tugurio. Ogni volta che si riproponeva di apprendere i peculiari incantesimi per espandere gli ambienti o trasfigurare dei mobili in versioni più belle, tornava esausto dal lavoro e sprofondava nella brutta ma comodissima poltrona davanti al camino senza fare niente.
Al piano terra si fondevano in uno ben tre ambienti: cucina, sala da pranzo e salotto. Di sopra, dopo una cigolante e breve gradinata di legno, c'erano bagno, camera da letto e un ripostiglio buio. Anni addietro con suo padre avevano riso più volte dell'umile dimora di Hagrid ad Hogwarts, ed ora era finito per stare in una versione leggermente più ordinata e pulita della casa del mezzogigante.
Levatosi il mantello accese il fuoco nel camino e andò a sedersi alla sua solitaria, brutta, ma comoda poltrona di pelle. Quando reclinò il capo sul morbido poggiatesta imbottito si ritrovò ad inquadrare uno dei pochi elementi d'arredo di casa sua: una cornice magica che richiamò alle proprie mani con un pigro incantesimo di appello.
La foto era un po' rovinata dal tempo, ed era l'unica cosa che era riuscito a portarsi via dal maniero prima di venir cacciato di casa, l'unico oggetto concreto a cui teneva davvero, nonostante fosse cresciuto tutta la vita nel più rigido materialismo. Era una foto magica imperfetta, che il fotografo aveva scattato per errore diversi momenti prima dell'attimo giusto. Ritraeva in loop un frammento di vita che non sarebbe dovuto finire su carta incantata. Al centro della scena, su una graziosa poltroncina di legno intarsiato, sedeva Narcissa. Giovane, bellissima, sembrava compostamente felice, serena. Aveva il busto ruotato verso la propria destra, verso Lucius che la affiancava in piedi, elegantissimo come lei: all'epoca aveva i capelli corti e anche lui era un giovane molto attraente. L'uomo aveva in braccio il piccolo Draco, due anni appena compiuti, un bimbo minuto ma piuttosto vivace, che rideva ed agitava le gambette mentre suo padre lo stava passando cautamente alla moglie. Alla sinistra di Narcissa c'era invece la figura cupa di Severus, il suo padrino, che fissava la coppia e il piccolo con un'espressione neutra, serissima, già in posa una postura rigida e formale.
Suo padre disprezzava quella foto imperfetta, scattata prima del tempo, e nemmeno Narcissa ne andava matta, di norma la nascondevano dietro una cornice dove era esposta la rigida e compostissima versione corretta, con tutti loro seri e dignitosamente in posa.
Lui invece la amava fin da bambino, gli trasmetteva un calore profondo perché uno dei rarissimi momenti di spontaneità della sua famiglia. Adorava ogni dettaglio fuori posto, dal mezzo sorriso storto di suo padre che tentava evidentemente di contenere l'orgoglio e l'affetto, alla piccola bacchetta giocattolo di stoffa che il piccolo sé stesso impugnava in una manina grassoccia. Essendo stata scattata ad inizio Giugno doveva esserci un clima molto gradevole perché si erano sistemati in giardino e sua madre indossava una blusa leggera di seta chiara, ed una gonna finemente ricamata lunga fino al polpaccio. Nel gesto di allungare le braccia per raccogliere il bambino dalle mani del marito, la blusa corta di Narcissa si sollevava un po', scoprendole la pancia di qualche centimetro, tanto che riusciva a vedere la macchiolina tonda di una piccola voglia che le segnava la pelle poco sopra all'ombelico. Imperfetta.
Carezzò la figura cupa di Severus con un sorriso mesto. Dalla sua espressione non si intuiva nulla di ciò che doveva provare: affetto, odio, amore, dolore. Niente.
«Come facevi a sopportare tutto così? L'avevi persa da meno di un anno. Dopo averla vista sposarsi con una persona che non eri tu e che odiavi. Dopo averla vista morire in parte per causa tua. Come facevi a vivere senza mostrare nemmeno un alito di fragilità?» sussurrò, fra il commosso e l'ammirato. «Avrei voluto conoscerti oltre la facciata, conoscerti davvero e darti meno pensieri.» sospirò.
Era stato Harry, quando gli aveva reso la bacchetta, a raccontargli tutta la verità su Snape con tutti i suoi dolorosi dettagli. L'aveva ascoltato attentamente e anche se aveva finto un atteggiamento serio e impeccabile davanti al Grifondoro, una volta rimasto solo era scoppiato nel più doloroso pianto della sua vita. Potter aveva conservato parte di quelle memorie così intime del professore ben lontane dalle fauci dei giornalisti affamati di pettegolezzi. Si era limitato a raccontare al mondo magico che Severus Snape era stato un eroe degno di essere ricordato con gli stessi onori di Albus Dumbledore e di chiunque fosse morto per la causa. Aveva spiegato che era stato una grande spia e una figura decisiva nella lotta all'Oscuro Signore, riabilitandone la figura oltre ogni ragionevole dubbio agli occhi della storia della magia.
Fu proprio quel gesto di estrema giustizia e lealtà ad aiutare Draco a dare una svolta completa alla propria vita. La magia oscura che tanto l'aveva affascinato prima e terrorizzato poi, era diventata ai suoi occhi un malanno da debellare. Appena lasciato Hogwarts aveva agito d'impulso e si era presentato a Shacklebolt offrendogli la propria lealtà. Aveva giurato, si era detto pronto ad accettare qualsiasi punizione pur di poter lavorare per lui e far parte del corpo Auror. Avrebbe ingollato una secchiata di Veritaserum se necessario. Il suo primo gesto di lealtà alla causa fu denunciare la sua stessa famiglia per il possesso di diversi manufatti oscuri che erano dei veri e propri cimeli. Sebbene molti di essi non fossero letali erano decisamente attivi, ed erano costati quasi due anni ad Azkaban a suo padre e a lui il venire ripudiato e diseredato definitivamente. Aveva deluso la famiglia già dal rifiuto del matrimonio con la Parkinson, ma dopo la sentenza ai danni di Lucius non c'era stata più speranza di riconciliazione. Ricordava il viso disperato di sua madre, l'aria afflitta, umiliata e delusa. Così diversa dalla docile serenità che gli mostrava il viso della donna della foto.
Il suo gesto era bastato a convincere il Ministro della sua buona fede, tuttavia la legge imponeva il divieto ai possessori del marchio oscuro di poter diventare Auror, e fu per tale ragione che Shacklebolt arrivò a concedergli una carica tutta sua, una divisione collaborativa senza nome che potesse concedergli di lavorare al loro fianco senza troppe polemiche dall'esterno. La determinazione dai Serpeverde gli era stata d'aiuto e l'aveva reso insolitamente coraggioso e incurante delle conseguenze per il proprio status sociale: voleva cancellare le sue colpe, stare vicino ad Harry Potter, ripulire il maniero dei Malfoy da ogni disgraziata traccia di oscurità. Non era più riuscito a metterci piede serenamente, in quella che era stata la sua ricca dimora fin dall'infanzia. Gli ricordava di quando Voldemort aveva torturato e ucciso degli innocenti, o fatto divorare da Nagini la povera Charity Burbage, lì sullo stesso tavolo dove ogni giorno i Malfoy consumavano gli eleganti pasti preparati dagli elfi domestici. Gli ricordava costantemente il marchio nero che si sarebbe dovuto portare sul braccio a vita.
L'odio dei suoi genitori era un prezzo giusto da scontare per averli finalmente al sicuro e lontani dai pericoli e le tentazioni della magia nera.
Rimandò la cornice al suo posto con un sospiro greve, vittima di una solitudine che sembrava sgorgargli direttamente dal cuore. Spense il fuoco, calò l'intensità delle luci, si alzò e diresse verso la propria camera di sopra.
La stanza era molto spartana, sui toni del grigio e color legno scuro. Aveva un soffitto basso che era essenzialmente il tetto dell'abitazione: quando pioveva forte il ticchettio sulle tegole gli faceva compagnia. C'erano una scrivania ordinata, armadio e specchiera, un letto matrimoniale su cui s'era concesso il lusso di coperte in morbido velluto nero. Le due finestre, speculari ai lati opposti della stanza, erano piccole ma offrivano una luce costante finché splendeva il sole, dall'alba al tramonto. Una stufa in ghisa animata di un caldo ma sicuro fuoco magico scaldava l'ambiente nelle nottate gelide come quella.
Si sfilò le scarpe, il maglione, e dopo aver sbottonato i pantaloni vide che da una tasca sporgeva qualcosa di bianco. Sorrise immediatamente: se ne era quasi dimenticato. Estrasse quello che era un sottile involto costituito da un fazzolettino di carta con all'interno un piccolo cucchiaino di plastica trasparente rosso. Si lasciò cadere sdraiato di schiena sul letto e si dedicò ad una religiosa contemplazione dell'oggetto.
Harry quella sera aveva mantenuto fede alla sua parola e gli aveva offerto anche il dessert. Una coppetta di un insospettabilmente buono dolce babbano dal nome che nemmeno ricordava bene. Diramusù? Ciramisoù? Doveva essere spagnolo, francese o qualcosa del genere, pensò. Quando avevano finito di mangiare il dolce al cucchiaio si era proposto di buttare lui coppette e cucchiaini nel cestino più vicino, "vedi, stiamo aiutando i babbani a non soffocare gli oceani" e non visto si era segretamente intascato il cucchiaino del grifondoro. Ora lo osservava con gli stessi occhi ammirati con cui suo padre anni prima rimirava i manufatti proibiti della sua collezione al maniero. Su quel piccolo pezzo di plastica Harry Potter aveva posato le labbra, la lingua. Più ci pensava più la sua mente prendeva a fantasticare. Sarebbe stato davvero bello trovare del vischio e baciarlo. Ormai era un'ossessione, era rassegnato. Avvicinò lentamente il dorso del cucchiaino alle labbra, e prima di toccarlo esitò, avvampando d'imbarazzo per il suo stesso impulso. Poi pensò all'unico vero vantaggio dell'essere completamente solo: chi l'avrebbe giudicato? Era libero di fare una piccola follia, sarebbe rimasto un segreto con sé stesso, in fondo.
Schiuse le labbra e tirò fuori la punta della lingua, che andò a tuffarsi nella fossetta sinuosa del cucchiaino. Lo leccò lentamente, chiudendo gli occhi e immaginando che fosse tutt'altro. La bocca di Potter, magari? Lo rigirò per leccare anche il dorso. La sua lingua? Perché limitarsi: il suo cazzo, pensò senza mezzi termini. Un brivido di eccitazione gli scosse il basso ventre in un fremito piacevole e la mano libera scese a insinuare le dita sottili oltre i lembi schiusi dei pantaloni e delle mutande. Trovò la consistenza semirigida del proprio pene, e prese a sfregarlo piano col palmo, portandolo ad emergere dalla stoffa e a finire di indurirsi. Rilassò completamente la testa sul cuscino, abbandonando il cucchiaino ormai non più utile sulla coperta. C'era altro di cui prendersi cura al momento.
Calò i pantaloni fino alle ginocchia, posando il sedere nudo sulla soffice carezza della coperta di velluto scuro. Non aveva mai fatto l'amore con nessuno, era troppo orgoglioso per concedersi a chiunque. Nelle sue fantasie però, aveva avuto ben chiaro fin da adolescente cosa voleva. Fin dalle sue prime seghe si era immaginato fra le braccia forti di qualche compagno più grande di lui. A volte erano gli atleti di una delle squadre di Quidditch della scuola. Di quale casata? Poco importava, bastava che fossero belli. La sua mente era sufficientemente abile da creare compartimenti stagni in cui infilare i desideri perversi, una volta passato l'estro, e non rischiare di volerli trasformarle in realtà. Era o no un eccellente occlumante in fondo? Una delle sue fantasie più soddisfacenti non era mutata in quegli anni: venire preso da dietro, abbracciato forte e posseduto altrettanto intensamente, magari anche con un pizzico di violenza, di dominio. Niente lo accendeva rapidamente come quel dettaglio.
Ora però c'era Harry, nelle sua testa. In quel preciso istante, mentre si masturbava con intensità crescente, il Grifondoro nella sua mente gli aveva appena abbassato i pantaloni e premeva sulle sue natiche un'erezione calda, spessa e impaziente di entrargli dentro. Non c'era bisogno di dettagli come il lubrificante, nelle fantasie, non c'erano quasi preliminari a parte baci appassionati che nell'ispirazione del momento non s'era nemmeno soffermato a visualizzare. Harry si stava facendo bastare uno sputo sbrigativo di saliva e poi lo stava penetrando fino in fondo con un gemito basso e un paio di spinte dure. I respiri caldi che Draco soffiava ad occhi chiusi gli seccarono le labbra, mentre la stretta della mano sulla propria erezione si faceva più urgente, il ritmo più svelto. La mano libera corse fa le proprie natiche e il dito medio andò a stuzzicare l'ano contratto dalla forte eccitazione. Spinse lentamente il polpastrello a forzare la resistenza dei muscoli, prima era solo una pressione che giocava sull'apertura, poi quando la stimolazione non gli bastò più spinse fino a farne entrare un paio di centimetri. Le terminazioni nervose gli rimandarono su per l'inguine una violenta scossa di piacere e, senza potersi né volersi trattenere, schizzò sul proprio addome un orgasmo improvviso e deliziosamente intenso.
Mentre riprendeva fiato si godette quei pochi minuti post orgasmo in cui non gliene fregava niente di essersi sporcato la camicia e la mano di sperma o di essersi frustato i vestiti. Non gliene fregava niente di essersi masturbato dopo aver leccato un cucchiaino usato in una casa sola e triste.
Lasciò cadere lo sguardo languido sul piccolo oggetto di plastica innocente lì accanto e sorrise serafico. Ci avrebbe pensato dopo, a mente fredda, a recriminare sulla propria irrimediabile solitudine e l'imbarazzante cosa che aveva fatto. Per ora era solo stato un simpatico regalo di Natale.



Quando Harry tornò a casa era ormai passata la mezzanotte. La serata con Draco Malfoy si era rivelata più piacevole del previsto e pensò che sebbene il ragazzo dimostrasse ancora un vago disprezzo per i babbani, era cambiato non poco dai primi anni di scuola. Certo, aveva fatto la sua piccola dose di capricci, come ad esempio costringerlo a lasciar stare stand e banchetti colpevoli di vendere dolci troppo unti o da mangiare barbaramente con le mani. Però a sorpresa, dopo che avevano finito di consumare un tiramisù - l'unico dolce al cucchiaio che aveva trovato nella calca - s'era addirittura offerto di buttare lui coppette e cucchiaini. Non ci avrebbe scommesso uno zellino, anni prima.
La casa di Harry era spaziosa e accogliente. Sorgeva al limitare di una piccola frazione abitata perlopiù da ricchi babbani in villette caratteristiche e immerse in ampie zone di verde fra le colline. Era stata Ginny a sceglierla per lui quando avevano lasciato il numero 12 di Grimmauld Place in eredità a Kreacher. Il dono più lussuoso che un elfo domestico avesse mai ricevuto. La casa dei Black oltre a portare con sé numerosi spiacevoli ricordi, era stata compromessa sul profilo della sicurezza diversi anni prima, quando i mangiamorte ne avevano scoperto l'esistenza. L'elfo era rimasto a fare da guardia alla dimora dei suoi adorati antichi padroni, facendo della camera di Regulus il suo personale santuario.
Così, la casa in cui Harry e Ginny si erano ritrovati a convivere per circa un anno, era ora vuota e disordinata. Il Grifondoro non era un amante delle faccende domestiche, si era riscoperto bravo in cucina - grazie alla terribile infanzia passata a preparare colazioni per Dudley e zio Vernon - ma di fare le pulizie proprio non ne aveva voglia. Il giardino e le relative siepi erano la trasposizione vegetale dei suoi capelli: folti e incasinati. L'abitazione si sviluppava su tre piani, l'avevano scelta con un buon numero di camere da letto in vista di chissà quanti Weasley che avrebbero fatto loro visita. O in vista di chissà quanti figli la povera Ginny sperava di riuscire a fare. Al piano terra c'erano un bel salotto ampio dotato di camino e libreria, uno studio, un bagno di servizio, la cucina e la sala da pranzo. Al primo e al secondo piano erano distribuite le camere da letto e qualche altro bagno, padronali e degli ospiti. Ogni stanza aveva uno stile e una predominanza di colori diversa, avevano voluto seguire un vivace consiglio di Luna Lovegood: le sale tutte diverse avevano, a detta sua, il potere di confondere chissà quale misteriosa e invisibile creatura maligna di cui si erano scordati subito il nome. L'idea gli era sembrata comunque divertente per diversificare una casa così ampia.
"Dovrei chiamare Kreacher per i fine settimana." pensò Harry quando si spogliò del mantello e sfilò per la cucina: il piano cottura era un disastro, i fornelli unticci, c'erano barattolini di spezie posati in ogni dove, piatti ammucchiati sul lavello, briciole e incarti ovunque. La pattumiera nell'angolo aveva fatto indigestione. Anche le altre stanze in cui passava il tempo non erano messe meglio. Salì fino alla propria camera che sui bei toni caldi del legno, rosso e oro, perdeva tanti punti arredamento per colpa dei numerosi mucchi di indumenti sporchi sdraiati su ogni superficie utile. Con uno svogliatissimo cenno della bacchetta li radunò tutti in un punto e li fece crollare a terra, ripromettendosi di sfruttare il giorno di festa successivo per metterli in ordine.
Liberato il letto ci si lasciò andare sopra, stanco, senza manco sfilarsi le scarpe. Più che una stanchezza fisica la sua era tutta fiacchezza mentale. Maledì il mondo magico e l'assenza di sistemi di comunicazione in tempo reale come i cellulari babbani, ripromettendosi di comprarne e condividerne uno almeno con Ron ed Hermione. Non sapeva niente di com'era andata la serata a casa dei Weasley e salvo gufi improvvisi non avrebbe ricevuto notizie fino al giorno dopo o oltre. Si rigirò sul letto, posando una mano sul cuscino che era stato di Ginny fino a poche settimane prima, lo carezzò con un sospiro malinconico. Col primo cambio di lenzuola era andato via anche il profumo di lei, e a lui era rimasto solo l'olezzo del proprio senso di colpa.
Se solo fosse stato capace di ammettere e capire prima le cause del suo piccolo "problemino", forse non le avrebbe fatto vivere l'illusione di poter mettere su famiglia, e perdere anni preziosi. Gli mancava da morire, con lei ogni giorno era più felice e quando ogni tanto il mondo voleva trascinarlo in basso coi suoi eventi più cupi, lei era sempre stata capace di aiutarlo a restare a galla. Harry aveva scoperto ormai da anni di avere una certa tendenza allo sfogo iracondo, in certe situazioni. Aveva sempre dato la colpa al legame con Voldemort o alla frustrazione patita da bambino coi Dursley, ma in realtà era una sua innata attitudine. Un lato che Ginny era stata la sola capace di placare rapidamente con le parole e il tono giusto.
Carezzò il tessuto del guanciale scivolando dal cuscino alla coperta, ridisegnando immaginarie forme sinuose inesistenti. Quante volte le aveva toccato le tette senza provare niente di più di un vago tepore affettuoso? Quante volte la poveretta aveva guidato la sua mano fra le proprie cosce o sul sedere senza ottenere niente di più di qualche carezza? L'aveva vista nuda più volte, e doveva ammettere che era oggettivamente una giovane donna molto attraente. Le cosce e il suo sedere erano una favola, com'è possibile che non gli fosse mai venuto duro anche solo a guardarla di spalle? Iniziava a dubitare anche di essere omosessuale: nessun uomo avrebbe mai potuto avere un sedere più bello di quello di Ginny. Finì per divagare facilmente su quella linea di pensieri e si rese conto che, dopo tutti quegli anni forsennati di guerra, studio, lavoro, aveva finalmente del tempo libero per riflettere su un tema che fino a quel momento aveva considerato marginale: la sessualità. Se il problema non era Ginny, e nemmeno la capacità erettile del proprio pene, forse la soluzione era che gli piaceva il cazzo? Ci pensò un po' su. Effettivamente a livello teorico lo stuzzicava più della vagina. Gli piaceva l'idea di prenderlo? Non particolarmente. Gli piaceva l'idea di darlo? Non sarebbe dovuto essere un paragone così difficile, un culo vale l'altro, no? Se davanti a quello magnifico di Ginny non aveva battuto ciglio, che diavolo di problema aveva? Provò ad immaginare Ron col culo di Ginny. Scoppiò a ridere con un discreto retrogusto di disagio e ribrezzo. La cotta per Cho Chang non la volle nemmeno tenere in considerazione, aveva capito da tempo che in quell'occasione si era semplicemente adattato al clima adolescenziale del "tutti hanno una cotta, devo averne una anche io" per cercare disperatamente di sentirsi integrato, normale.
Chissà com'era il culo di Malfoy. Fu un lampo a ciel sereno.
«Ma che cazzo?» sbottò a voce alta. Provò dunque a variare un po' sul tema, a ricordare i più belli fra i suoi compagni di scuola, specialmente quelli che aveva visto nudi negli spogliatoi. Non è che fossero poi tanti, semplicemente all'epoca non ci pensava proprio. Possibile che il turbamento di quegli anni di scuola, che ricordava comunque con affetto nonostante le molte vicende spaventose o dolorose, avessero in qualche modo represso la sua sessualità? O forse era proprio per via del legame con Voldemort, un dannato vecchio rettile incapace di concepire l'amore?
Si rigirò nervoso sul letto. Sarebbe stato veramente divertente andare da uno psicanalista babbano e provare a raccontargli della sua vita senza finire internato.
Provò dunque a lasciare da parte quella matassa indigesta che era il suo passato e provare a concentrarsi sul presente. Chi c'era di carino fra quelli che conosceva? Zabini era un bellissimo ragazzo, forse il più bello nel senso oggettivo del termine proprio come Ginny. Ma Blaise gli rivolgeva occhiate gelide la maggior parte del tempo, il pensiero non fu particolarmente eccitante. Dopo aver provato qualche timido tepore a pensare al corpo di qualche bel giocatore di Quidditch famoso, finì immancabilmente per approdare di nuovo su Malfoy. Se lo figurò come l'aveva trovato quella sera al Ministero, docilmente addormentato. Gli venne da sorridere, avrebbe voluto sfruttare meglio l'occasione e provare a carezzargli il viso. Ecco, forse era sulla buona strada finalmente! Era bello, sì. Da quando si vestiva meno da damerino gli piaceva pure di più. Aveva un buon profumo. Se Malfoy per qualche assurda ragione avesse provato a baciarlo sotto il vischio, gli sarebbe piaciuto? E se ...
Alla fine, fra una riflessione e l'altra arrivò anche la stanchezza fisica e il giovane capo dell'Ordine della Fenice si ritrovò pesantemente addormentato, ancora vestito di tutto punto.

La profezia del cerchio scarlatto [Drarry]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora