La missione

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(Capitolo revisionato e corretto il 5/5/2024)



Per un attimo Harry sperò ardentemente di trovare la Tana vuota, rubare una manciata di polvere volante e scappare a casa propria come niente fosse. Ma appena mise i piedi fra le fiammelle rese innocue dalla magia nel camino dei Weasley, la prima cosa che vide in sala fu più di metà della famiglia riunita fra divani e poltrone e intenta a smangiucchiare qualche biscotto nel pigro dopo pasto. Nell'aria c'era ancora l'odore del buon cibo che Molly aveva servito per il pranzo di Natale e l'atmosfera generale sembrava tranquilla. Almeno prima che tutti si accorgessero di lui.
Hermione e Ron erano seduti uno accanto all'altro. Arthur era da solo, Percy era in piedi alle spalle di George seduto su un divanetto e stavano leggendo qualcosa da una lunga pergamena. Molly, aiutata da Ginny poco più indietro, stava sparecchiando la tavola. Sette paia di occhi lo fissarono in un lungo attimo di sbigottimento interdetto.
«Salve. Sono ... passato per farvi gli auguri.» mugugnò imbarazzato Harry, sentendosi inenarrabilmente stupido e fuori luogo.
Molly mollò tutto di corsa e a grandi passi gli andò incontro, tutti la fissarono timorosi. Harry non poté fare a meno di notare che la signora Weasley e Ginny avevano entrambe gli occhi gonfi e arrossati e l'aria un po' sbattuta. Lo sapevano. Si sentì tre volte una merda: perché era certo di sapere il motivo per cui avevano pianto, per l'aver appena interrotto un momento di tranquillità in famiglia, e perché aveva appena detto una cazzata colossale. Se non fosse stato per quel disguido con Malfoy in ufficio non sarebbe passato nemmeno per scherzo, alla faccia degli auguri.
Incassò la testa fra le spalle quando Molly allungò svelta una mano verso di lui, ma le dita grassocce della donna calarono semplicemente su una sua spalla artigliandogli il mantello e tirandolo in casa.
«Vieni dentro, non stare lì impalato.» un po' burbera, ma comunque lontana dalla definizione di arrabbiata.
Tutti emisero un impercettibile sospiro di sollievo.
«Mi ... mi dispiace se sono venuto senza dire niente e-»
«Harry. Sta zitto.» lo interruppe lei bruscamente stavolta, trascinandolo verso la cucina mentre gli altri gli rivolgevano saluti e sorrisi un po' titubanti. Il signor Weasley fra tutti sembrava lottare palesemente per riuscire a continuare a sorridergli come niente fosse, ma era ovvio che la notizia doveva averlo colpito parecchio.
Mentre tutti tornavano a far finta di niente, mangiare biscotti e riprendere le loro discussioni con l'improvvisa esigenza di parlare a voce più alta, Ginny lo guardava con aria indecifrabile.
«Scommetto che non hai mangiato.» disse Molly, guidando il moro alla prima sedia libera.
«No, effettivamente no.» mormorò lui imbarazzato.
«Per la barba di Merlino!» sbottò lei. «Perché non sei venuto ieri a cena? Non ti avremmo mica cacciato, benedetto ragazzo! Aspetta, ti preparo un piatto, è avanzato praticamente di tutto.» aveva gli occhi lucidi, e sfruttò la scusa di imbastirgli un tardivo pranzo per dargli le spalle.
«Mi dispiace.» le disse a bassa voce, schietto. «Mi dispiace molto, Molly. Io non volevo che-»
«Sta zitto.» sta volta a sorpresa fu Ginny a parlare, in una perfetta imitazione di sua madre, capace di azzittire un po' tutta la casa.
La ragazza sospirò pesantemente, fece schizzare verso di lui piatto, bicchiere e posate pulite con un cenno un po' troppo secco della bacchetta, quindi se ne andò di sopra senza aggiungere altro né degnarlo di uno sguardo. A quanto pare aver dovuto riferire la cosa in famiglia, da sola, era stata una nuova fonte di dolore per la ragazza, che sembrava stare peggio di qualche giorno prima quando l'avevano detto a Ron ed Hermione. Harry si sentì una merda per la quarta volta in meno di cinque minuti.
Ci furono silenzi ricchi di disagio, timidi tentativi di soccorso da parte di George ed Hermione, poi Percy, Ron e infine Arthur che finirono tutti seduti a tavola a parlare forzatamente del più e del meno. All'inizio fu terribilmente imbarazzante, poi l'affetto che la famiglia provava reciprocamente emerse, sciogliendo quella coltre di rigidità pezzo per pezzo. Parlarono infine piuttosto apertamente, a quanto pare Ginny aveva tenuto fede alla sua promessa di non rivelare i veri motivi della rottura, visto che tutti continuavano a chiedergli una sfilza insaziabile di perché.
Nel giro di un paio d'ore c'era di nuovo qualche abbozzo di sorriso sincero fra loro e riuscirono a strappargli la promessa di rimanere a cena e non farsi mai più problemi a tornare qualsiasi volta avrebbe desiderato.
George e Percy lo avevano appena tirato dentro a una vivace discussione circa il significato di un cavilloso termine legale presente su un contratto d'affitto, quando Ginny tornò in cucina e fece la sua comparsa con un cipiglio confuso. Guardò Harry fra il contrito e l'interrogativo e sventolò una lettera appena aperta che stringeva in mano.
«Harry, puoi venire di là e spiegarmi questa, per favore?» gli fece, in tono non esattamente conciliante sul finale.
Harry la riconobbe subito come la lettera che poche ore prima aveva spedito dal ministero insieme a Draco, quella in cui la informava del "briefing" per la mattina successiva in merito alla missione per West Woods.
«Oh!» mugugnò il moro, che si rese immediatamente conto di quanto dovesse sembrare stupido l'averle spedito quella lettera per poi presentarsi a casa sua di persona. «Hem, sì.» si alzò di malavoglia in mezzo alla curiosità generale. «Una questione di lavoro. A proposito, Ron, Herm, potreste venire anche voi?»
Il quartetto si andò a chiudere in quella che era stata la camera di Ron, dove Harry suo malgrado fu costretto a spiegare tutto.
«Eh? Hai passato la mattina di Natale con Malfoy a lavoro?» rise mestamente Ron. «Ginny, dagli tregua, è stato sufficientemente punito direi.»
«Pensi possano centrare qualcosa i suoi genitori?» domandò invece seria, Hermione.
«Non lo so, non credo. O perlomeno, Malfoy non ne sembrava molto convinto.»
Ginny era precipitata in un inquietante silenzio fatto di occhiate fisse sul viso di Harry, come se fosse diventata improvvisamente capace di leggervi sopra qualcosa che agli altri sfuggiva.
«Tu che ne pensi?» provò a interpellarla Hermione.
«Penso che lo scopriremo solo andando a vedere di persona.» tagliò corto la rossa.
Discussero a lungo della faccenda, scambiandosi parecchie congetture sul fin troppo generico significato del simbolo rotondo rinvenuto sull'altare. Azzardarono ipotesi su quanto fosse probabile che i genitori di Draco fossero coinvolti, sulla potenza o meno dei misteriosi colpevoli. Poi passarono a studiare insieme un piano d'azione per la squadra dei cinque maghi che avrebbero dovuto affrontare il problema al più presto.



La mattina del 26 Dicembre Harry e Ginny dovettero dare fondo a tutto il proprio autocontrollo quando tornarono a lavoro e ci fu da ostentare una parvenza di normalità coi colleghi. Non erano ancora pronti a dire al mondo della rottura e subirne le noiose conseguenze.
L'incontro con Mike Spungen, Calvin Penn ed Evelyn Fergusson si tenne di buon'ora, Draco era già al Ministero ad attenderli, il primo ad arrivare come suo solito. Harry li aveva riuniti tutti nel proprio ufficio, e senza troppe cerimonie aveva iniziato a fornire direttive.
«Partirete subito dopo il tramonto, in quanto passata la mezzanotte di oggi sarà sostanzialmente il terzo giorno dall'ultimo incontro a West Woods, e come potete ben immaginare è altamente probabile che si verificherà un nuovo incontro o evento o qualunque cosa sia. Il sangue trovato sull'altare e le tracce di magia oscura sono decisamente preoccupanti, per questo abbiamo deciso di agire il prima possibile.»
Evelyn Fergusson era una strega ormai vicina alla quarantina, fisico asciutto e mascolino, una grinta fuori dal comune e grande esperta di trasfigurazione. Calvin Penn e Mike Spungen avevano quasi trent'anni. Il primo era un ragazzone alto e robusto particolarmente abile nei duelli, il secondo era magro quanto Malfoy, pallido e dai cortissimi capelli neri. Spungen era uno degli ex studenti di Durmstrang fra i pochi che parlasse davvero bene l'inglese. Si era rivelato una risorsa eccellente nel riuscire a scovare anche piccole tracce di magia oscura, come se avesse quasi un sesto senso naturale, come se la sentisse a naso. Nonostante la differenza di età nessuno dei tre aveva problemi a pendere dalle labbra di un ragazzo di vent'anni ed eseguirne gli ordini.
«Non avendo informazioni precise circa queste due persone e cosa stiano facendo, se siano realmente solo due o più e quanto siano forti, cautela dev'essere la volta parola d'ordine. Vi muoverete tutti insieme, non separatevi. Arriverete dal lato sud, il più aperto, in modo da avere maggiori vie di fuga. Prima vi apposterete a cinquecento metri, poi appena sarete sicuri che i due sono arrivati vi avvicinerete con cautela a piedi. Tutto qui. Lo scopo della missione di stanotte è solo l'osservazione ravvicinata, non dovrete ingaggiare battaglia, ci servono informazioni maggiori prima di elaborare un'incursione.»
«Anche perché siamo eccezionalmente pochi.» sottolineò serissima Ginny. «Ok, forse saremo cinque contro due ma non dobbiamo sottovalutare l'avversario e ricordiamoci soprattutto che non abbiamo molti rinforzi da chiamare qui al Ministero in caso le cose si mettessero male. Come saprete il Ministro stesso è in missione in questi giorni, Harry, Hermione e mio fratello partiranno insieme ad altri tre Auror fra poche ore per Eastbourne. Non dico che siamo soli dunque, ma ... qui al Ministero rimarranno forse sette o otto persone a stento.»
I tre annuirono, sebbene Spungen mostrasse un cipiglio meno coraggioso di Fergusson e Penn. Anche Draco sembrava decisamente cauto, voglioso di mettersi all'opera, ma turbato.
«Nel caso le cose si mettessero male ... » puntualizzò proprio il biondo, carezzando con lo sguardo una cartina geografica che avevano disteso sulla scrivania di Harry e su cui alcune indicazioni tracciate con inchiostro magico si muovevano in concomitanza con le istruzioni che venivano date. « ... cercheremmo di privilegiare la fuga smaterializzandoci, come da procedura standard e come avevate già ordine di fare durante gli appostamenti delle scorse settimane. Il punto d'incontro in questo caso è sempre il solito, qui.» indicò con la bacchetta una radura piuttosto distante dal luogo dell'appostamento, su cui l'inchiostro andò a formare un cerchio ben visibile.
Chiariti gli ultimi dettagli e fugati gli eventuali dubbi, il gruppo si sciolse e ognuno andò a prepararsi in vista della partenza di quella sera.
Nell'ufficio rimasero solo Harry e Ginny. Il moro chiuse la porta, quindi le si avvicinò cauto.
«Ginny, voglio che tu prenda questo.» le disse, estraendo da una tasca il mantello dell'invisibilità.
La rossa lo guardò storto.
«Credo sia molto meglio che lo prenda tu. La nostra è una missione di osservazione e siamo cinque contro due.»
«Ma voi ... » obiettò Harry, ma lei non lo fece finire.
«La vostra, Harry, è un'incursione in cui siete già certi d'essere in inferiorità numerica. Dovresti portarti il mantello ed anche quell'armadio ambulante di Calvin Penn, francamente.»
«Ce la faremo, non ne ho bisogno, credimi.»
«Nemmeno io ne ho bisogno, ma grazie comunque, Harry.» suonava più seccata che grata.
«Posso ... posso rimandare la vostra uscita, magari. Fra altri tre giorni ci sarà un'altra occasione, in fondo, e noi saremo rientrati. Sarà più sicuro andare tutti insieme.»
«Harry, siamo sempre in pochi, lo sappiamo tutti e ci siamo abituati. Fuori sono tutti convinti che siccome la guerra sia finita non valga la pena rovinarsi la vita a fare gli Auror, che non ce ne sia più bisogno, l'abbiamo accettato e non ci possiamo fare molto. Non è necessario scomodare tutto l'Ordine della Fenice e mezzo corpo Auror per andare ad osservare a duecento metri due sospettati. Le tracce di sangue che hanno trovato sono fresche, ci siamo già presi tre settimane di tempo per studiarli, troppe secondo me. Potrebbero aver ucciso qualcuno e farlo di nuovo stanotte e nessuno mi garantisce che voi altri fra tre giorni sarete in condizioni di muovervi: inutile rimandare oltre. Se fosse per me andrei direttamente a tentare un'incursione e non un'esplorazione.»
Harry non sembrava convinto. Il fardello di sensi di colpa che gli ardeva ancora cocente nelle budella l'aveva reso più protettivo verso di lei, manco dovesse in qualche modo rimediare così alla fine della loro storia e il dolore che le aveva causato. Dovette ammettere tuttavia che aveva ragione.
Ginny fece uno sforzo titanico per inghiottire il suo di fardello, fatto di rancore, delusione e nostalgia. Gli passò una carezza leggera fra i capelli spettinati, prima di fermare la mano dietro la sua nuca e strizzare un paio di ciocche.
«Non hai colpa, ok? Ficcatelo bene in testa. Non lo so cosa sei: gay, asessuale, confuso, ma qualunque cosa tu sia che ci ha portati a separarci non è colpa di nessuno di noi due e non deve arrivare a crearci problemi. Non al lavoro.»
«È che, sembra così stupido.» sospirò dolente lui, con un guizzo di rabbia pronto ad emergere sul fondo della voce. «Solo perché non riesco a fare quello che dovrei con la mia ragazza, solo per questo, un rapporto come il nostro è andato a puttane. Solo per questo, ti ho persa.»
«L'errore sta qui: "quello che dovrei". Il sesso non è un dovere, e non voglio che tu viva un rapporto dove per te questo aspetto dell'amore diventi un banale esercizio ginnico. Quando inizierai a pensare non a quello che dovresti fare, ma a quello che vorresti fare, starai molto meglio. Gay, bisex o qualunque cosa tu sia.»
Il moro si calmò con una facilità impressionante, immediatamente sedato da Ginny che come suo solito era riuscita a farlo concentrare sul nodo della questione e stemperarne sul nascere l'irritazione.
Si abbracciarono per un minuto buono, ed Harry che pure aveva rimpianto il suo profumo, si ritrovò a realizzare che non avrebbe mai desiderato realmente quel bel corpo in senso sessuale. L'odore dei capelli e della pelle di Ginny, il suo calore, le sue forme, erano qualcosa di rassicurante che sapevano di casa, stabilità, sicurezza. Nulla che fosse vicino però ad evolversi nell'impulso ben diverso del desiderio sessuale.
«E comunque ... » sussurrò lei, interrompendo l'abbraccio per rifilargli un blando pugno nello stomaco. Non era abbastanza forte da fare davvero male, ma non fu nemmeno piacevole. Appena al di sopra dello scherzoso. « ... fottiti. Per avermi lasciata da sola a spiegare a tutta la famiglia, il giorno della vigilia di Natale, che ci eravamo lasciati!» sibilò, astiosa.
«Ahu.» mugolò il moro, più per la sorpresa che per il dolore. «Mi dispiace.» Era sinceramente mortificato, e nonostante fosse l'ennesima volta che lo diceva la quantità di dispiacere non diminuiva di un goccio.
«Ho davvero più palle di te e di qualsiasi ragazzo potrai mai trovare!» ora suonava a metà fra invidiosa e divertita. Come se, vista la sua faccia, volesse provare a tirarlo su senza riuscire a celare l'irritazione all'idea che l'altro si fosse già gettato fra le braccia di un uomo.
«Ginny non è che io sia ... circondato di pretendenti che non vedevano l'ora di venire a letto con me, eh?» rispose lui, abbozzando un sorriso mesto. «Non so nemmeno io cosa voglio.»
«Ah no, no, nonono!» esclamò lei indietreggiando come se si fosse ustionata. «Non mi piace la piega di questo scambio. Troppo presto, Potter. Decisamente troppo presto!» ora sorrideva.
«Eh? Che dici? E perché siamo tornati ai cognomi?»
«Aspetta almeno un annetto, ok? Un anno e poi sarò volentieri la migliore amica sfigata del ragazzo gay, pronta a consolarlo perché non trova un fidanzatino. Ma ora no, Potter. Mi rifiuto e l'idea mi fa anche abbastanza incazzare.»
Harry non riuscì a trattenere un sorriso sincero, alzò le mani in una posa arresa.
«Va bene, Gi- Weasley. Va bene. Aspetterò un anno per venire a piangere sulla tua spalla di quanto non ci siano abbastanza ragazzi gay, o di quanto sia affascinante lo stronzetto di turno.»
Risero entrambi di gusto.

La profezia del cerchio scarlatto [Drarry]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora