(Capitolo riveduto e corretto il 12/5/2024)
Fu chiaro fin da subito che qualcosa non andava. L'ala del San Mungo dedicata agli Auror era in fermento ancora ore dopo i primi soccorsi. I feriti più seri come Evelyn, Calvin o Hermione vennero curati subito, mentre tutti quelli che avevano riportato lesioni lievi come Harry, Ginny e Mike, vennero curati alla buona da un'infermiera piuttosto giovane ma dalle competenze sufficienti a gestire graffi, contusioni, ustioni e controlli basilari.
Nella stanza dove avevano portato Nott si erano radunati invece la maggior parte dei medimaghi più abili.
Ginny, contro ogni opinione dell'infermiera, passeggiava nevrotica nel corridoio fuori dalla porta chiusa della stanza di Theodore. Aveva la testa fasciata, gli abiti ancora sporchi di sangue e impolverati.
Harry aveva rimediato una contusione rilevante alla spalla sinistra, un dolore che nella foga del combattimento non si era quasi sentito addosso. Gli avevano assicurato il braccio al collo con una benda e la pozione che aveva assunto poche ore prima aveva già quasi finito di guarirlo. Similmente anche se per una ferita del tutto diversa, Hermione aveva il braccio immobilizzato e ben fasciato. La lacerazione della pugnalata era stata chiusa con poche gocce di essenza di Dittamo mentre una pozione la stava aiutando a risanare le fibre muscolari recise in profondità. Seduta su una panca accanto ad Harry, era ancora intenta a bere lentamente una potente pozione ricostituente per sopperire alla perdita di sangue, motivo per cui era ancora lì e non al ministero a dare una mano coi prigionieri come avrebbe voluto.
Mike, nonostante fosse un ragazzo apparentemente freddo e poco incline all'affetto, era rimasto a piantonare la stanza in cui avevano messo Calvin ed Evelyn. Erano ancora privi di sensi ma destinati ma i medimaghi assicuravano che si sarebbero svegliati in breve e le loro ferite sarebbero guarite entro un giorno o due.
Ron e Draco, che dal combattimento erano usciti senza un graffio, si erano curati di trasportare tutti i feriti nemici rimasti fino alle prigioni del ministero dove qualche medimago fidato li stava curando. Anche Shacklebolt venne curato lì, visto che si era rifiutato di fermarsi al San Mungo.
Harry, Ginny ed Hermione non sapevano quasi niente della situazione, dalla stanza di Nott non era ancora uscito nessuno e la cosa non aveva fatto altro che rendere la rossa sempre più irrequieta e immune agli inviti degli amici di sedersi e lasciare il proprio corpo a riposo.
«Ginny, ti prego.» mugolò Harry, stanco, per l'ennesima volta.
«Non ci riesco.» sussurrò lei.
«E cosa intendi fare, camminare finché non avrai un malore e dovranno metterti su un letto a forza?»
«Non sto così male.» obiettò la ragazza, testarda.
«Va bene, sentite, è la sesta volta che rifate questo battibecco tale e quale.» intervenne Hermione, nervosa già per l'essere costretta a sua volta all'immobilità. «Harry, lasciala camminare. Quando le faranno male i piedi si fermerà, confido che quelli siano più delicati della sua testa dura.»
«Herm!» sbottò Ginny, risentita.
«Scusa.» bofonchiò lei, non molto pentita in realtà. «Lo so che sei agitata, ma vederti andare su e giù agita di più anche me.»
«Come se te ne fregasse qualcosa di Theo, avanti.» sibilò aspra la rossa.
«Certo che me ne importa, non dire sciocchezze.» sbottò la ragazza, alzandosi in piedi di scatto, come a voler bloccare ogni risposta sul nascere anche solo fisicamente. «E ora per favore metti il sedere sulla panca e lascia riposare un po' il tuo corpo o sarai così mal messa che non ti rimarrà manco la forza per andare a trovarlo quando avranno finito di curarlo.»
Ginny si fermò. Fissò l'amica con un'occhiata che dal risentimento iniziale passò lentamente ad un accenno di fragilità. Le andò incontro, si abbracciarono e finalmente accettò di sedersi nonostante la tensione. Quelle poche ultime parole di Hermione furono un balsamo a base di speranza capace di ammansirla.
Passò una mezz'ora lunghissima, quasi non venivano suoni dalla porta della sala in cui stavano curando Theodore, così i tre ragazzi notarono facilmente l'arrivo di Ron e Draco dal corridoio.
«Ci sono novità?» chiese ansioso il biondo non appena li raggiunsero, scoccando un'occhiata turbata tanto alla porta chiusa quanto al volto di Ginny.
«Non sappiamo ancora un bel niente.» mugugnò nervosa la ragazza. «Non sono ancora usciti, sono lì dentro da ore.»
«I prigionieri?» chiese invece Hermione.
«Uno è grave.» Spiegò Ron. «È stato colpito al volto da alcuni detriti durante uno dei crolli causati dai compari. Era uno di quelli che Harry aveva atterrato all'inizio, ma se la caverà. Quello che sta peggio dopo di lui è Graham, ma il Ministro l'ha interrogato subito con ogni mezzo possibile. Ha parlato praticamente solo sotto veritaserum, per il resto sembra voler fare scena muta. La maledizione con cui ha colpito Nott è già nota ai medimaghi, ma non conosce il controincantesimo.»
«Nessuno di loro, nemmeno Makah lo conosce.» aggiunse Draco con un forte carico di disprezzo nel tono, la stanchezza cancellata dal nervosismo del momento.
Ginny strinse i denti e tuffò il viso fra le mani, soffiando un ringhio frustrato ed esausto.
Ora, non restava veramente altro da fare che attendere.
I medimaghi uscirono dalla stanza di Nott ben sei ore dopo il ricovero, esausti. Draco e Ginny li costrinsero a fermarsi e spiegargli ogni dettaglio della situazione del ragazzo. La fattura scagliata da Graham era potente, oscura e poco nota anche ai più esperti. Una maledizione subdola, che piaga dall'interno organi vitali e tessuti, in quel caso in particolare polmoni, fegato, stomaco e diversi tratti dell'intestino, visto il punto in cui Nott era stato colpito. Poco più in alto, al cuore, e sarebbe morto nel giro di pochi minuti. Alla testa, sarebbe morto in pochi secondi. Era una tortura che a stento avevano potuto rallentare, con abilità e pazienza estreme. Avevano fermato l'emorragia nei primi minuti, ma le ferite non sembravano voler rispondere abbastanza in fretta a pozioni e incanti di nessun genere. C'erano volute ore perché la situazione si stabilizzasse, ma i danni erano ancora lì e il ragazzo era estremamente vulnerabile e debole. Un colpo di tosse, un movimento di troppo e le lacerazioni si sarebbero riaperte. Nella stanza erano rimasti ben tre medimaghi, e avrebbero continuato a sorvegliarlo giorno e notte.
Ginny, Harry, Hermione e Ron si offrirono di aiutare in quel compito e a giudicare dalla risposta entusiasta dell'affannato medimago con cui parlarono, fu evidente che non erano solo gli Auror a soffrire di carenze di personale nel mondo magico.
Anche gli altri il giorno dopo si offrirono alla stessa maniera, non appena guarirono dalle relative ferite, ma Shacklebolt preferì riportarli il prima possibile a lavoro: c'erano ben nove persone da processare, interrogare, testimonianze da riportare e parecchio lavoro da ultimare prima di chiudere quel caso disgustoso.
Le due ragazze babbane della grotta erano le ultime di una lista lunga almeno quaranta vittime fra streghe e babbane nel corso degli ultimi due anni legate ai maldestri tentativi di eseguire quel folle rituale.
Passarono i primi giorni, in cui i ragazzi si diedero i turni a coppie con uno scarto di sei ore a testa, mentre Ginny pretese di restare tutto il tempo possibile e avere un letto per dormire in quella stessa stanza.
Nott passava la maggior parte del suo tempo sedato, quando era sveglio a stento poteva parlare e ogni giorno che passava qualche ferita si riapriva da sola costringendo i medimaghi a interventi tempestivi. Il ragazzo sembrava stare sempre peggio. Fu chiaro a tutti il perché: alla fine della settimana ci sarebbe stato il plenilunio e le previsioni erano tutt'altro che incoraggianti.
I danni interni gli impedivano di mandar giù facilmente le pozioni, i ricostituenti venivano assorbiti ogni giorno sempre meno.
Il pomeriggio del 24 Marzo, Theodore Nott chiuse gli occhi e cadde in un coma profondo, senza che i medimaghi riuscissero a fare niente per impedirlo. La sua pelle era diventata così pallida e il respiro così flebile da farlo sembrare già morto.
Ginny paradossalmente si era perfettamente ripresa, e il benessere fisico dell'imminente plenilunio non faceva altro che darle nuova energia per stare sveglia a vivere quell'attesa in una nevrosi continua.
Anche Draco era teso, la maggior parte del tempo avrebbe solo voluto mandare tutto al diavolo e abbracciare Harry il più possibile, a prescindere dagli sguardi di tutto il mondo, per avere un minimo di consolazione. Theodore era stato il suo unico vero amico fin dall'infanzia e l'idea di perderlo era un macigno difficile da sopportare.
La notte del 24, a tre giorni dal plenilunio, Ginny aveva rifiutato di mettersi a dormire o anche solo staccarsi dal letto su cui Theodore era steso. La ragazza si era piazzata su una poltroncina al suo fianco e gli teneva una mano, mostrando una composta e strenua ostinazione agli amici. Non dormiva da almeno due giorni.
Harry, Draco, Ron ed Hermione avevano rinunciato da ore a convincerla, rassegnati e preoccupati si erano limitati a starle vicini, ognuno piazzato in silenzio su una poltrona intorno al letto.
Verso mezzanotte la porta della stanza si aprì e ne entrarono Molly ed Arthur Weasley, con un'aria preoccupata manco su quel letto ci fossero i loro figli.
Ginny li squadrò con un'occhiata confusa, poi ne scoccò una furente a Ron.
«Ronald.» ringhiò a bassa voce. «Pensi che possa funzionare? Pensi che loro possano convincermi?»
Ron accusò senza reazioni particolari a parte un profondo sospiro.
«Ho fatto la spia, sì.» ammise stancamente. «Ma non per quello che credi.»
«Qualsiasi sia il motivo, non è una grande idea, credimi.» sussurrò lei, infelice.
«Ginny.» mugolò Molly, guardandoli tutti con un cipiglio spaventato. Si avvicinò alla figlia rifilando un'occhiata rigida alla testa bionda di Draco, ed una turbata al corpo steso di Theodore. Abbracciò la ragazza, che non poté comunque fare a meno di ricambiare.
Draco distolse lo sguardo, sentendosi oltremodo un intruso in quel contesto, in quell'affetto.
Arthur rimase vicino alla moglie, e anche il grosso delle sue occhiate furono per Nott, insieme a qualche timido sorriso triste per Harry ed Hermione.
«Non prendertela con tuo fratello.» mormorò Molly, che sembrava pericolosamente vicina alle lacrime. «Non sei venuta a trovarci dopo che sei rientrata dall'ultima missione, a stento sapevamo che stessi bene e il ministro era così evasivo anche con tuo padre. Ron non mi dava alcuna spiegazione né mi diceva dove diamine fossi finita. Ero preoccupata, gli ho scritto ogni giorno, l'ho assillato e alla fine ha ceduto e mi ha detto che eri qui.»
Le due sciolsero l'abbraccio, Molly le carezzò calorosamente il capo, guardandola negli occhi per cercare di infonderle la mortale preoccupazione che aveva maturato in quei giorni.
«Mi dispiace, mamma. Il mio posto era qui e volevo evitare che veniste a cercare di portarmi via o cose simili.» spiegò la ragazza, ricambiando quell'occhiata con una profondamente decisa.
«Dovresti dirle perché, Ginny.» mormorò Ron, lo sguardo basso e l'aria mogia. «Mi sembra giusto verso di lui, in fondo gli dobbiamo la tua vita, Graham mirava alla tua testa non al suo sterno.»
Ginny capì, da quella sola frase, che Ron non aveva fatto la spia per liberarsi dell'assillante peso materno. Era una di quelle rare volte in cui si ritrovava ad ammirare profondamente i gesti d'affetto molto poco eclatanti del fratello. Le stava dando l'occasione di dichiararsi, di rendere omaggio al suo amore prima della fine.
«Dirmi cosa?» squittì Molly, preoccupatissima.
Ginny allungò nuovamente la mano a quella inerte di Theodore e la strinse delicatamente.
«Mamma, papà, lui è ... la persona che amo. E che mi ama.» scandì con la voce stanca ma ferma.
Molly si portò una mano alla bocca per zittire un singhiozzo sorpreso, Arthur squadrò la figlia con un cipiglio dolente. L'impatto non fu palesemente positivo.
Draco alzò lo sguardo a cercare il profilo di Harry e poi non poté impedirsi di fissare quella scena. Si sentì stordito dalla valanga di empatia che gli crollò nel petto. Immaginò sé stesso a dire la medesima cosa con la medesima naturalezza di fronte ai propri di genitori. I Weasley erano scioccati, e non gli fu difficile figurarsi Narcissa e Lucius altrettanto spiazzati e poi direttamente disgustati, arrabbiati.
«Ma, lui è-» mormorò Molly, la voce rotta da un singhiozzo.
«Uno storpio? Sì.» intervenne Ginny, già furiosamente sulla difensiva. «Il figlio di un mangiamorte? Sì.»
Molly le fece cenno di fermarsi.
«No, Ginny, tesoro mio volevo dire che lui è in fin di vita. Solo ... solo questo.» e non si trattenne più, scoppiò a piangere e tornò ad abbracciarla, stringendosela contro il petto morbido e abbondante. «C-ce l'hanno detto i medimaghi, fuori. Piccolina mia, mi dispiace così tanto.»
Ginny sentì ogni traccia di coraggio scivolarle via dalle mani insieme alle dita fredde di Theodore. Sentirlo dire così esplicitamente fu un pugno in pieno volto e realizzò che quella non era più una veglia della speranza, ma l'attesa dell'ultimo respiro del suo ragazzo. Nascose il viso contro il collo della madre e scoppiò a piangere. Era il pianto più straziante che avessero mai sentito. Quello di chi non piange quasi mai. Quello di chi si era a stento ricostruita un cuore e ora se lo stava vedendo dilaniare per l'ennesima volta. Stava crollando e non provava nemmeno a trattenersi. Arthur si avvicinò, gli occhi altrettanto lucidi e abbracciò moglie e figlia in silenzio.
«Perché così poco?» ruggì la ragazza fra i denti. «Voglio più tempo, mamma. Voglio più tempo. Non ci siamo mai detti nemmeno "ti amo". Sono solo due stupide parole, sono scontate, lo sapevamo ma ... ma non ce lo siamo mai detti. Perché?» singhiozzò, confusa e coi nervi a pezzi.
Hermione si nascose il viso fra le dita, Ron si spazzò via nervosamente una lacrima dalla guancia, Harry rivolse lo sguardo a Draco senza provare nemmeno a nascondere le lacrime che gli rigavano il volto.
Draco corrispose quell'occhiata con una raggelata, scioccata. Non si era manco accorto della lacrima sottile che stava versando in perfetto silenzio, senza manco un singhiozzo. Allungò una mano a quella di Harry senza stare a pensarci troppo. Il moro ricambiò la presa. Un tocco fugace, che passò inosservato agli altri in quel momento, ma di cui avevano estremamente bisogno. Tutti si sentirono schiacciare il petto da una greve sensazione di impotenza, di un finale imminente.
«Perché sono così tanti qui dentro e così vicini?» una vocetta maschile, nasale e petulante li fece voltare tutti verso l'ingresso, interrompendo brutalmente quell'attimo. Strideva così tanto con l'attimo che tutti sussultarono e rimasero immobili, come sospesi insieme alle relative lacrime.
In piedi oltre la porta aperta c'era un ometto occhialuto sulla cinquantina, basso, ossuto, e dai profondi occhi grigi un po' spiritati. Aveva i capelli corti scuri ed era un po' stempiato, la sua faccia emanava rigidità e alterigia. Era vestito con un completo sobrio color castagna di chiara fattura babbana e li squadrava con lo stesso cipiglio schifato con cui si fissa una piaga purulenta. Alle sue spalle un medimago esitava come se non sapesse che fare per giustificare quell'intrusione sgradevole.
Ginny, Molly e Arthur si separarono, Harry e Draco lasciarono la presa delle rispettive mani di scatto.
«E lei chi diamine è?» sbottò Molly, la voce ancora spezzata da un singhiozzo, mentre la figlia riprendeva fiato.
L'ometto aveva in mano una valigetta gonfia di pelle nera e si affrettò ad entrare.
«Allontanatevi dal paziente, subito.» ordinò perentorio. «Tutti quanti. Più gli state vicini più è a rischio.» spiegò mentre si avvicinò ad un tavolino libero su cui posò la borsa.
Il medimago al seguito entrò un attimo dopo, si schiarì la voce con l'aria tesa tipica di chi deve sputare un rospo particolarmente grosso.
«Ehm, questo signore è Will Foster.»
«Dottor Foster, prego.» precisò piccato l'uomo.
«Sì, ecco appunto. Il dottor Foster. Vi prego di fare ciò che dice.»
Tutti si guardarono storditi, perplessi. Con estrema riluttanza da parte di Ginny in particolare, eseguirono il comando e si allontanarono dal letto facendosi tutti da parte. L'ometto tirò fuori dalla borsa un mazzolino di mascherine monouso di stoffa e le piazzò in mano a Ron che era il più vicino.
«Distribuiscile, giovanotto. Indossatele su naso e bocca, si allacciano alle orecchie come occhiali.»
«Il dottor Foster è ... un magonò.» iniziò a spiegare il guaritore. «Un dottore nel mondo babbano, fratello di una delle nostre infermiere. Con lui collaboriamo per i casi di medicina sperimentale, una branca ancora molto giovane della medimagia, che si avvale di qualche tecnica avanzata dei babbani solo per i casi più gravi e irrisolvibili»
Molly rivolse un'occhiata al marito mentre si tamponava gli occhi umidi su un fazzoletto prima di prendere la mascherina che Ron le porse.
«Come quella volta che hanno provato a ricucirti come una bambola?»
«Credo di sì, cara.» mormorò Arthur, che fissava l'ometto alle prese con la sua borsa con rinnovata fascinazione. Frastornati, gli occhi ancora lucidi, tutti si misero le mascherine, incluso il dottore e il medimago.
L'uomo prese dunque a tirare fuori guanti sterili, una boccetta di plastica di disinfettante e delle salviettine igieniche monouso. La perizia morbosa con cui andò a disinfettare il tavolo ricordò ad Harry una versione maschile di zia Petunia in frenesia da pulizie di primavera. Poco ci mancava che disinfettasse anche l'aria.
«Il dottor Foster aveva mostrato interesse al caso peculiare di Nott, quando cercavamo un modo di fornire nutrimento alternativo al suo corpo e temo sia la nostra ultima speranza di affrontare questa crisi.»
«Ha un'idea?» intervenne brusca Ginny, diffidente quasi. «O si sta limitando a sperimentare?» rimarcò con disprezzo l'ultima parola.
L'ometto le scoccò un'occhiata severa, emotivamente immune alla sua evidente disperazione.
«Ho un'idea ... per sperimentare, signorina. Forse voi maghi siete abituati ad avere sempre la soluzione a tutto così, "per magia", sulla punta della vostra bacchetta. Noi babbani ... » marcò con orgoglio quella definizione nel suo caso non proprio corretta. « ... dobbiamo usare altri procedimenti. E forse riusciamo a vedere cose che a voi sfuggono nella vostra boria di credere d'avere occhi più saggi dei nostri.»
«Che?» borbottarono seccati e incredibilmente in coro Ron e Draco, ritrovandosi persino a scambiarsi un'occhiata meno astiosa del normale quando se ne accorsero.
L'uomo li ignorò, buttò salvietta dopo salvietta in un cestino che il medimago gli fece comparire gentilmente ai piedi e proseguì la sua opera di veloce pulizia di ogni cosa. Passò vicino al letto, pulì le inferriate della testiera e persino le dita di Theodore che un attimo prima Ginny teneva strette.
«Tutti voi avete addosso un numero imprecisato di microrganismi di cui ignorate persino l'esistenza, e per quanto il medimago qui mi garantisca che le infermiere siano solerti con gli incanti di pulizia, dovete sapere che questi microrganismi ce li abbiamo anche dentro e li respiriamo e trasportiamo costantemente. Alcuni di essi sono patogeni, e portano a tutta quella serie di malattie che per voi sono sciocche e facilmente curabili come un raffreddore, ma che in questo caso è giusta precauzione cercare di risparmiare al signor Nott, già troppo provato. Quando entrate qui dunque indossate sempre le mascherine.» concluse, ammorbidendo di poco il tono pedante di quella sorta di lezioncina.
Hermione sbiancò alla realizzazione di sapere perfettamente ciò di cui l'uomo stava parlando, ma di non averci mai fatto caso. Si rimproverò mentalmente di essersi adagiata con troppa comodità dal solo lato magico della sua vita.
«Avevo fatto un prelievo del sangue del signor Nott settimane fa, per analizzarlo e metterlo a confronto con quello di altri pazienti babbani. Non riesco ad identificarne alcune componenti, ma c'è un elemento comune a molte patologie come la-» quando incrociò lo sguardo confuso di tutti a parte Hermione ed Harry decise di fermare le spiegazioni tecniche.
«Per farla breve, il problema è semplice ma fatale. Il suo corpo in prossimità del plenilunio ha bisogno di un nutrimento maggiore ed un volume enorme di sangue, piastrine, ossigeno e numerosi altri componenti, qualcosa che il cibo da solo non riesce a dargli, dunque le ferite non si risanano. Il suo sangue anzi si impoverisce, la sua capacità di estrarne i nutrienti essenziali sembra venire meno. Ho studiato per settimane il campione del prelievo e i testi che mia sorella mi ha passato circa la maledizione vampirica. Per quel poco che ho compreso i vampiri assumono e scompongono il sangue in una maniera e con degli specifici organi che il signor Nott non possiede. È come se il suo organismo si comportasse ogni giorno analogamente a quello di un vampiro ma in un corpo umano, rischiando di farlo letteralmente morire di fame. Non avendo la stessa struttura anatomica di un vampiro diventa inutile provare anche solo a fargli bere il sangue, ed esempio. Neppure le pozioni rigeneranti sembravano venire assimilate bene, forse il corpo patisce l'assenza di quei famosi organi unici dei vampiri di cui parlavo prima. Il perché di questa debolezza in plenilunio non so spiegarmela, però, temo sia legata alla maledizione.»
Finita la pulizia si cambiò i guanti, e andò a sedersi accanto al letto portandosi dietro la fedele borsa.
«Fintanto che non può assumere pozioni che aiutino in tal senso, e fintanto che i suoi organi non possono garantirgli supporto adeguato, l'unica soluzione sensata per aumentare la volemia del sangue è dunque procedere con una trasfusione.»
«Una ... cosa?» domandò Ginny.
Fu Hermione a rispondere.
«L'iniezione di sangue per via endovenosa.»
Il magonò la guardò piacevolmente stupito.
«Figlia di babbani.» precisò la ragazza con un sorrisino di circostanza. «Entrambi dentisti.»
«Mh, bene, qualcuno che capirà.» commentò ironico l'uomo.
Sollevò la manica del camice di Theodore, quindi fece un cenno d'intesa al medimago rimasto un passo più indietro. L'uomo puntò la bacchetta verso il corridoio e un carrellino insieme ad un'asta metallica galleggiarono a pochi centimetri da terra prima di posarsi accanto al dottore. In cima al carrellino c'era un contenitore di plastica isotermico, di quelli usati per il trasporto delle sacche di plasma.
Fu strano vedere quei due mondi collaborare così bene: il medimago aiutava il dottore muovendo magicamente i vari oggetti, e il dottore completava l'opera dando le direttive o intervenendo lì dove necessario. La pelle venne disinfettata, una sacca di sangue appesa all'occhiello dell'asta di supporto, i tubicini fissati, l'ago infilato con cura dalle dita del medico. I suoi gesti erano incredibilmente gentili e precisi a discapito del suo carattere ruvido.
In pochi istanti il sangue iniziò a fluire nel tubicino e entrare in circolo nel corpo di Theodore. Rimasero tutti muti, attentissimi per lunghi minuti. Poi accadde qualcosa di così semplice e sciocco, persino prevedibile, da lasciarli stupiti come bambini. La pelle di Theodore iniziò a recuperare gradualmente colore.
Ginny sentì la presa dolce della speranza tornarle dentro proprio come quel sangue stava rigenerando le scorte del suo ragazzo.
«Buon segno, dovrebbe funzionare.» commentò soddisfatto Foster. «Avremo bisogno di dosi massicce e costanti di sangue, non so dirvi quanto o per quanto tempo, ma posso dirvi che non posso rubarne altre dall'ospedale in cui lavoro.»
«Possiamo moltiplicarlo.» considerò entusiasta il medimago.
Foster lo guardò dubbioso.
«Questo è sangue di donatori babbani e ignoro se vi possa essere un qualche rigetto fra babbano e mago, anche se francamente credo proprio di no, il sangue è pur sempre sangue. Ad ogni modo per sicurezza, sarebbe meglio prelevarlo da uno di voi e moltiplicare quello.»
«Bene. Come si fa?» si offrì subito Ginny.
«Non credo sia il caso di prendere il tuo, Gin.» intervenne timidamente Hermione.
«Dici per il contagio?»
«Già.»
Foster le seguì con aria perplessa.
«I donatori devono essere sani e in salute. Il sangue di Nott è del gruppo A positivo, significa che può ricevere solo da altri A o 0 positivi o negativi. Sapete cosa sono i gruppi sanguigni?»
Tutti si guardarono perplessi a parte Harry ed Hermione, e fu ancora la ragazza ad intervenire.
«Per quanto l'idea di spiegare una cosa così affascinante mi ispiri, temo che gli antigeni siano un argomento un po' troppo complesso da introdurre così su due piedi. Appartengo al gruppo A negativo comunque, dunque posso farlo io.»
«Molto bene.» spiegò soddisfatto il dottore. «Ho qui l'occorrente, se se la sente.»
«Sì, facciamolo subito, va bene.» confermò Hermione, decisa.
Così la ragazza venne fatta accomodare su una poltroncina, mentre gli altri rimasero un po' in disparte, chi un po' disgustato e spaventato come Molly, chi del tutto affascinato come Arthur e il guaritore che ripeterono più volte quanto quel momento fosse importante per la storia della medimagia contemporanea. Tutti erano comunque complessivamente speranzosi.
Solo a Ginny venne concesso di riavvicinarsi a Nott e si passò così tanti gratta e netta addosso prima di farlo, da sentire la pelle tirare. Se fosse servito ad aiutarlo avrebbe seguito ogni ordine di quello strano magonò irritante, e con quella fastidiosa mascherina ci avrebbe girato anche una vita.
Draco non riuscì a smettere di fissare quella sacca di sangue trasparente appesa alla strana asta metallica e collegata dritta al suo migliore amico. Sangue babbano, si ripeté più volte. "Il sangue è pur sempre sangue" rimbombava nella sua testa la vocetta del magonò. Sangue babbano che forse stava salvando la vita di uno stregone. Gli ci volle un po', ma alla fine realizzò che quel sangue valeva tanto quanto quello che i suoi antenati si erano così faticosamente impegnati a tenere puro.
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La profezia del cerchio scarlatto [Drarry]
FanfictionPochi anni dopo la fine della guerra, Harry è il più giovane Auror della storia del mondo magico, raggiunto in breve dai suoi più cari amici ed anche qualche antico avversario con cui ora si ritrova a condividere ideali comuni e lavoro. Nella pace a...