(Capitolo riveduto e corretto l'8/5/2024)
Quando Draco aprì gli occhi, stuzzicati dal lucore dei primi raggi dell'alba, la prima cosa che realizzò fu di essere rimasto abbracciato ad Harry per tutta la notte. Aveva la testa ancora posata sul suo petto, di cui ascoltava il ritmo regolare e lento dei respiri. La seconda fu un'ondata travolgente di imbarazzo. Si era dichiarato, aveva confessato fin troppo. Che cazzo aveva fatto? A mente fredda fu tutto tremendamente meno normale di quanto non sembrasse la notte, ma non poteva impedirsi di provare una sensazione di leggerezza ed anche di tenue ottimismo visto che Harry, anziché respingerlo di malomodo, l'aveva baciato e tenuto al proprio petto.
Fuori stava germogliando una giornata umida e gelida, era ormai il 20 di Marzo, e il biondo era combattuto fra la tentazione di starsene lì a poltrire come nulla fosse, e alzarsi di soppiatto per una molto conveniente fuga, atta ad evitare il disagio naturale che avrebbe provato al risveglio del moro. Più ci pensava, più si svegliava e più diventava imbarazzante. L'altro non gli aveva detto una singola parola.
«Che vuoi mangiare per colazione?»
La voce di Harry, sebbene incupita dal risveglio recentissimo lo fece sussultare impreparato, manco una stilettata al fianco.
«Sei sveglio.» constatò l'ovvio a mezza voce, realizzando anche che l'altro doveva aver capito che lo era pure lui per colpa dei battiti forsennati del suo cuore negli ultimi minuti. In fondo gli era letteralmente attaccato addosso, il petto magro premuto su un suo fianco. Staccò timidamente la guancia dal suo petto, desiderando di svanire sotto le coperte e smaterializzarsi come nulla fosse.
«Sì, e ho già fame. Tu? Che vuoi mangiare?» confermò con un sorriso intontito Harry.
Draco in quel momento avrebbe quasi voluto rimangiarsi le tre paroline catastrofiche della notte prima. Non era abituato, non si era mai aperto così tanto con nessuno.
«N-on lo so. Quello che vuoi.» bofonchiò, sforzandosi di riprendere il controllo.
Ad aiutarlo fu un gesto piuttosto semplice e distratto di Harry, che gli carezzò i capelli un paio di volte, contribuendo a tranquillizzarlo.
Il moro avrebbe voluto provare a spiegarsi, a dirgli che a sua volta sentiva di provare un grande affetto per lui, anche se non l'avrebbe definito ancora amore. Era qualcosa in corso di divenire, che avrebbe avuto bisogno solo di tempo per germogliare e seppellire ogni incertezza. Ogni frase che gli veniva in mente però suonava tremendamente male, come una sorta di premessa ad un rifiuto, quindi optò per non spiegarsi affatto e mantenersi sul pratico: mostrargli affetto a modo suo.
«Dolce?»
«Mh?» mugolò il biondo, che a quella carezza sembrava essersi ammansito notevolmente. «Ah, la colazione. Sì.»
Si zittirono entrambi, ognuno chiuso nei propri pensieri e nel dolce momento di pigrizia. Draco si sentì nettamente rassicurato dalle carezze docili dell'altro, e vinse l'imbarazzo con la ragione: lui amava Harry da qualche anno ormai, l'altro aveva avuto modo di conoscerlo davvero solo da pochi mesi, e metà delle volte che stavano insieme finivano per strusciarsi, non certo a parlare. Era abbastanza comprensibile che non potesse rispondergli subito alcunché. Non ci si innamora certo per un paio di pompini.
Con la ragione tornò anche il senso del tempo, insieme ai raggi sempre più accesi dell'alba che passavano dalla finestra ampia e priva di tende della camera.
«Comunque odio dirlo Potter, ma dovremmo alzarci, per farla, questa colazione.»
Harry ridacchiò.
«Allora inizia tu, io non ti ci porto in braccio fino alla cucina.»
«Sì ma devi smettere di carezzarmi la testa, lo sai ormai che è uno dei miei punti deboli. Mi disattivi cos-.» all'improvviso sgranò gli occhi e si alzò di scatto, tutt'altro che inattivo. «Cazzo!»
«Cosa?» gli fece Harry fra il sorpreso e l'allarmato.
«Granger.»
«Eh?» il moro si guardò attorno manco temesse di vederla lì da qualche parte a fissarli.
«Potrebbe venire a cercarti, perché non sei già a lavoro e dovevamo finire il dannato piano d'azione ieri e, che diamine di ore sono?» prese a spiegare, a voce bassissima come se avesse paura che la ragazza fosse già lì in casa. Iniziò a districarsi a fatica fra le lenzuola sfatte, la stoffa abbondante del pigiama che aveva preso in prestito da Harry e l'indolenzimento del corpo dopo quella nottata passata spiaggiato sul Grifondoro.
«Nah, tranquillo.» provò a rassicurarlo. «Anche se fosse mica verrebbe fino a camera mia così a sorpresa, non l'ha mai fatto. E poi non ci sarebbe niente di male se ti trovasse qui a far colazione con me. Sei un collega: eri stanco, ci siamo messi a parlare, ti ho offerto di restare a dormire, fine.»
Draco, ormai in piedi vicino alla porta, lo fissò scettico.
«Ieri ci ha visti.»
«Eh? Che intendi?»
«Quando ci siamo appisolati sul divano io ti stavo un po' addosso e tu avevi una mano sulla mia. Quando mi sono svegliato eravamo in una posizione non esattamente da colleghi di lavoro.»
«Ah.» mugolò Harry un po' interdetto.
«Sono abbastanza sicuro ci abbia visti e sia andata via senza svegliarci perché ha capito qualcosa ed era in imbarazzo. O forse ha qualche sospetto insomma, non è il caso di farmi trovare qui col tuo pigiama addosso.» spiegò, agitando buffamente le braccia per far ciondolare le maniche un po' troppo lunghe e ampie.
Harry si alzò di malavoglia, dondolando il capo in un assenso svogliato.
«Allora iniziamo col cambiarci, fare colazione insieme non è equivoco se ognuno sta nei propri vestiti.» risolse un po' svogliato.
Se c'era una cosa su cui entrambi erano d'accordo senza aver bisogno di doversi spiegare e accordare era il non far sapere a nessuno della loro pseudo-relazione, frequentazione o intesa che fosse.
Hermione alla fine non arrivò, ma nell'ansia che potesse realmente sbucare dal camino con in mano il programma per la giornata i due fecero una delle colazioni più rapide della loro vita. Draco tornò a casa propria, e sebbene i relativi camini li avrebbero portati solo a quelli dell'androne del ministero si curarono di comparirvi in tempi leggermente diversi, per non destare sospetti.
Un quarto d'ora dopo si riunirono nell'ufficio di Hermione che era appena arrivata a sua volta. La ragazza sembrava un po' stanca ma tutt'altro che sospettosa o guardinga nei loro confronti.
Appena si furono accomodati intorno alla scrivania, pronti a dedicarsi alla parte più tediosa della pianificazione del loro lavoro, una bussata vigorosa alla porta li interruppe. Ad aprirla prima ancora di aver sentito l'avanti fu la manata energica di Ginny.
«Ne abbiamo trovato uno!» annunciò entrando come un treno, seguita dai non meno entusiasti Ron e Theodore. Avevano tutti e tre un'aria stanca, scarmigliata e provata, palesemente di ritorno da una missione il cui viaggio doveva essersi esteso in notturna, ma erano palesemente su di giri. Nott sembrava in forma, in quei giorni la Luna era crescente, vicina a riempire il suo primo quarto, ma gli influssi negativi sulla sua salute si sarebbero presentati solo una settimana più tardi. Dall'ultimo novilunio una settimana prima, le ferite del suo viso si erano rigenerate ancora, ma erano progressi così lenti e graduali da non essere ancora marcati.
«Cosa!?» Hermione diede voce all'ondata di impaziente aspettativa e sorpresa che montò in egual misura anche in Harry e Draco. Tutti e tre scattarono in piedi.
«Spungen, Fergusson e Penn sono già di sotto. Andiamo, vi aggiorniamo nel tragitto.» annunciò Ron, indicando la porta da cui non era mai entrato tanta era stata la fretta.
Si mossero tutti verso il corridoio senza manco chiedere dove fossero diretti, gli altri tre a far da guida e a spiegare la situazione. In giro c'erano pochissimi impiegati, mancava ancora un'ora all'inizio effettivo dell'orario di lavoro.
«Makah, la strega dal capo rasato. L'abbiamo catturata.» dichiarò Ginny che sebbene suonasse soddisfatta aveva un'aria seria come anche Ron e Theodore.
«Dove? Come?» borbottò Harry, incapace di reprimere un sorriso.
«Adesso è rinchiusa in una cella di sicurezza all'ultimo livello, sorvegliata da Shacklebolt in persona e due Auror, mentre due medimaghi la stanno curando.» ammise la ragazza in tono greve.
«Curando? Cos'è successo?» chiese Draco.
A prendere parola per le spiegazioni fu Nott.
«Due giorni fa siamo partiti alla volta dell'arcipelago delle Shetland, seguendo una delle segnalazioni più strane su cui stava indagando la polizia babbana.» spiegò mentre si infilarono in uno degli ascensori magici del ministero. «Lì la maggior parte delle isole sono disabitate, c'è un turismo molto controllato per via delle pessime condizioni climatiche ed i babbani non possono arrivarci facilmente coi loro mezzi. Gli abitanti vivono ben chiusi nelle loro piccole comunità, si conoscono bene, notano facilmente se qualcosa è fuori posto. Dall'inizio del mese gli animali di diversi allevatori avevano preso a comportarsi in maniera strana: sembravano agitati, ammalati. Alcuni di questi allevatori hanno denunciato la scomparsa di pecore e cavalli, che essendo molto particolari per via della loro razza unica in quel territorio sono rigorosamente controllati. Fra l'altro lì non capita mai niente, di rado hanno problemi con il crimine.»
L'ascensore arrivò al penultimo piano prima dell'ultimo livello, e dovettero proseguire a piedi lungo un corridoio ed una scalinata piastrellati di marmo grigio, che erano a tutti gli effetti un passaggio zeppo di incantesimi protettivi di sicurezza. I lampadari vicini all'alto soffitto di quei passaggi erano globi luminescenti galleggianti, dotati di una manciata di puntini rosso sangue che sembravano spostarsi come occhi frenetici intenti a seguire ogni movimento sotto di loro.
«Due giorni prima del nostro arrivo poi, sono scomparse due ragazze, le figlie di due Norvegesi in vacanza. Sono sparite di pomeriggio durante un'escursione, svanite nel nulla senza lasciare traccia: Amanda e Liv, di 18 e 21 anni. Per questo abbiamo dato priorità al caso anche se il viaggio era impegnativo.» ammise, mentre gli altri lo ascoltavano seri, rapiti e avidi di informazioni.
A quel punto intervenne Ron.
«Abbiamo perlustrato molte delle trecento dannate isolette disabitate dell'arcipelago in cui i poliziotti babbani non sembravano stranamente volersi avventurare, come se non le vedessero. Una in particolare ha catturato la nostra attenzione, l'isola di Noss. È una riserva naturale, c'è una sola abitazione fatta di pietra e di solito ci sono dei babbani dentro per sorvegliare i pascoli o l'isola stessa, e invece al nostro arrivo non c'era anima viva. Ci siamo addentrati alle prime luci dell'alba di ieri, e Nott ha sentito subito qualcosa di strano.» gli cedette implicitamente la parola.
«C'erano delle protezioni magiche anti babbano praticamente intorno a tutta l'area dell'isola, parliamo di un'estensione abbastanza ridotta, in lunghezza non supererà i due chilometri, le abbiamo lasciate intatte. La casa di pietra era piccola e disordinata, nel bel mezzo del pavimento della sala principale c'era un passaggio scavato nella pietra che scendeva diversi metri dentro il cuore dell'isola. Il passaggio portava ad una grotta mal illuminata, con al centro un altare di pietra circolare. Parte dell'altare e del pavimento erano sporchi di sangue e ... » prese un respiro profondo mentre percorrevano gli ultimi metri. « ... c'erano sopra i due cadaveri delle ragazzine norvegesi.» spiegò secco. «Erano seminude, i corpi martoriati da ferite di ogni genere, probabilmente sono morte dissanguate per la ferita circolare all'addome oltre che al resto.»
L'entusiasmo generale per la cattura del nemico scivolò in uno sconforto immediato per il destino delle due giovani. A riprendere parola a quel punto fu Ginny, quasi volesse lasciar riposare gli altri due.
«A terra ai piedi dell'altare c'era anche Makah. Era ferita, coperta di stracci e a malapena cosciente. Non si è spaventata quando ci ha visti, anche se mi ha riconosciuta. Non ha detto quasi nulla in realtà, ci ha solo chiesto di portarla via di lì, promettendo in cambio di collaborare. È stato un viaggio difficile, un po' perché non poteva reggere lunghe smaterializzazioni in quelle condizioni, un po' perché dovevamo sorvegliarla. Siamo rientrati praticamente mezz'ora fa.» concluse, quando ormai erano arrivati alla fine del passaggio. Si apriva davanti a loro un ampio ambiente squadrato sempre realizzato in pietra e piastrelle grigio cenere, e su tre pareti si trovavano tre porte distinte: le celle di sicurezza speciali del ministero. Due erano schiuse, vuote. La terza, quella frontale e più in fondo, era piantonata da un piccolo gruppo composto da Penn, Fergusson, Spungen, il Ministro Shacklebolt e altri due auror. I primi tre sembravano stanchi, ancora chiusi nei mantelli da viaggio: erano rientrati poco dopo la squadra di Ginny, provenienti da tutt'altra parte dell'Inghilterra.
«Eccoli.» disse la voce calma e naturalmente cupa del Ministro quando vide il gruppo da sei avvicinarsi.
«Come sta?» gli chiese Ginny.
«Non è in pericolo di vita, ma i medimaghi hanno bisogno di tempo.» confermò l'uomo. «L'abbiamo controllata bene, non sembra avere oggetti con sé, ma bisogna mantenere la massima attenzione. Ci sono alte possibilità che la sua sola presenza qui sia parte di un piano ben preciso.» sottolineò l'uomo. «Ho appena finito di aggiornare Penn, Fergusson e Spungen ad ogni modo. Non ci resta che attendere.»
«Che ne avete fatto dei corpi delle due ragazzine?» chiese Hermione, dolente.
«Li abbiamo dovuti lasciare lì.» rispose Nott, con una smorfia mesta.
Hermione aprì bocca come per contestare istintivamente quella scelta, ma poi si fermò.
«Capisco. Non abbiamo ancora abbastanza informazioni. Spostarle poteva essere un errore.» capì lei stessa, abbassando il capo con aria rassegnata. Ron le afferrò una mano e le si fece più vicino.
La porta della cella alle spalle del ministro era un blocco nero e lucido simile ad un grande pannello di metallo squadrato, dove si rincorrevano un enorme numero di fregi articolati in rilievo che si incastravano in sequenze complesse, spostandosi lentamente come fossero parte di una serie di combinazioni cangianti, pulsanti di vita propria.
«Come intendiamo procedere per interrogarla?» domandò Harry.
«A seconda del responso dei medimaghi vedremo se è in condizioni di reggere un interrogatorio subito o no.» spiegò il Ministro. «In ogni caso se è pronta a collaborare come ha promesso, escluderei l'uso del Veritaserum. Potrebbe essere sotto Imperio e portarci a false piste.»
«Già, ed esistono modi per aggirarne gli effetti, purtroppo.» aggiunse Draco.
«Intendo entrare a parlarci subito, comunque, a prescindere da quanti minuti possa reggere.» puntualizzò Shacklebolt. «Non credo sia saggio entrare tutti quanti ovviamente, non subito perlomeno. Per questa volta porterò con me Ginny, Hermione e Mike: mi sembrate i più adatti per questa particolare situazione.»
Tutti capirono più o meno in fretta il perché di quella scelta: Ginny era parte del gruppo che aveva salvato la loro prigioniera, dunque l'avrebbe fatta sentire forse più a suo agio. Hermione era la più adatta ad ascoltare e fare domande intelligenti, Mike Spungen era letteralmente un rilevatore vivente capace di notare dettagli fuori posto e tracce di magia oscura.
Quando la serratura magica della porta si aprì, in una danza di combinazioni impossibile da memorizzare lungo i rilievi della porta, tutti si voltarono e osservarono impazienti l'uscita dei due medimaghi. Erano due donne di mezza età, dal fisico robusto e l'aria di chi ne aveva viste tante. Tutti le conoscevano bene di vista, dato che lavoravano nell'ala del San Mungo ad uso esclusivo del corpo Auror del Ministero, e vederne i volti turbati e tesi fu un segnale inquietante.
«Dobbiamo interrogarla.» fu la prima cosa che disse loro il ministro. «Le avete dato qualche sedativo?»
«No, solo una pozione per ridurre il dolore ed una ricostituente.» rispose una delle due donne.
«È disidratata e denutrita, molte ferite erano infette. Lei stessa non ha voluto essere sedata, ad ogni modo. Ci ha anzi chiesto di lasciarla il più lucida possibile e-» si interruppe. La collega proseguì al posto suo.
«Ha espressamente dichiarato che intende parlare solo con streghe. Non vuole nessun uomo intorno, nemmeno lei ministro. In tal caso, ha ripetuto più volte che non dirà una parola.»
Tutti si scambiarono un'occhiata dubbiosa, fortemente sospetta.
«Perché mai una cosa simile?» sbottò Ron.
«Non mi fido, c'è qualcosa sotto.» considerò Penn, nervosamente.
«Che faccia parte di un piano?» propose Harry.
«Ma non ha nulla con sé lì dentro.» obiettò Draco. «L'avete perquisita ulteriormente voi, no?» domandò un po' imbarazzato verso le due medimaghe, senza specificare l'ovvio.
«Non ha niente.» precisò una delle due donne.
«È una scelta molto specifica.» sottolineò Nott, sospettoso.
Ad interrompere i loro scambi si fece avanti la voce di una delle due guaritrici. Aveva il tono mesto e un po' stizzito di chi sta per sottolineare l'ovvio con una certa punta di disagio.
«Signori io credo che...» esitò. «...sia per via del trauma che ha subito.»
Tutti la guardarono perplessi, e le uniche che sembravano esserci arrivate furono proprio le ragazze.
«È stata violentata?» domandò infatti Evelyn Fergusson, diretta.
«Sì.» confermò la guaritrice. «In maniera piuttosto brutale anche. Quindi, forse la mia è un'opinione azzardata ma penso non abbia nessun piano particolare in mente. Semplicemente non vuole vedere uomini.»
Calò un minuto di silenzio pesante come un macigno nell'amarezza generale, al termine del quale fu il ministro a prender parola.
«Va bene.» sospirò, facendo un cenno col capo alle due guaritrici che presero così congedo. «Hermione, Ginny ed Evelyn, se ve la sentite entrerete voi da sole. Noi in ogni caso vi sentiremo e saremo qui fuori, pronti ad intervenire in caso di bisogno.»
«Sì.» confermarono le tre in coro.
Così, sebbene dubbiosi e riluttanti, le lasciarono entrare e richiusero la porta alle loro spalle: era incantata per aprirsi solo al comando di coloro che venivano autorizzati dal ministro stesso.
Un'altra peculiarità di quel blocco di metallo animato, venne subito alla luce quando Shacklebolt lo sfiorò con un gesto deciso della bacchetta. Uno spesso nastro metallico si srotolò dal centro della porta, e si divise poi in sette estremità come fosse un grosso filo spellato di un cavo elettrico babbano.
«Arrotolatene l'estremità intorno all'orecchio.» li istruì il ministro. «Sentiremo tutto ciò che si diranno.»
La cella dove era rinchiusa Makah non aveva un'aria particolarmente gradevole, ma la temperatura era buona e l'ambiente pulito. Era una stanza circolare di pietra scura ovviamente priva di finestre, illuminata da qualcuno di quei globi luminosi che affollavano il corridoio. Dentro erano sistemati un letto e l'essenziale dei servizi igienici.
La prigioniera era stata rivestita di indumenti puliti ed era stesa sotto una coperta leggera.
«Come ti senti?» chiese asciutta Ginny, non appena con Hermione ed Evelyn si furono avvicinate di qualche passo.
«Non importa.» rispose la voce ruvida e cupa della donna.
Era ancora più magra dell'ultima volta, i capelli erano sempre cortissimi ed ora aveva una brutta serie di graffi addosso e diverse bende. Le pozioni e le cure le avevano pulito le ferite e cancellato le abrasioni più lievi, ma il resto era ancora lì. Lei però sembrava incredibilmente lucida, gli occhi castani incavati nelle occhiaie e nella magrezza di un viso dai tratti aguzzi. Portava male i suoi quarant'anni, e se non fosse stato per la voce sarebbe stato difficile persino distinguerla da un uomo troppo denutrito. Non aveva quasi niente di tipicamente femminile, né seni marcati, né la dolcezza dei tratti del viso, né i modi.
«Come vuoi.» sospirò Ginny. «Non mi sembri una che cerca una spalla su cui piangere o che ama i convenevoli, Makah. Tu vuoi qualcosa.»
«Grazie a Merlino non sei stupida.» mormorò la donna, freddamente compiaciuta. «Voglio qualcosa che non posso avere, in realtà. Ma voi potete offrirmi ciò che ci va più vicino.»
«Cosa?» chiese Hermione.
«Vendetta, chiaramente.» tagliò corto la strega. «Li vorrei vedere tutti morti, annientati. Ma posso accontentarmi anche di meno.»
«I tuoi ex compagni, immagino.» commentò Evelyn.
«Già.» confermò Makah.
«Sai che il Ministero non uccide, ma ti accontenterai anche di saperli ad Azkaban.» suppose acuta Hermione.
«Che incredibile colpo di fortuna: siete intelligenti tutte e tre.» commentò sarcastica la donna.
«Azkaban è dove finiranno.» garantì Ginny. «Sempre ammesso che tu ci voglia davvero aiutare e non ingannare.»
«Vi dirò tutto quello che so, poi vedrete voi come agire. Non posso fare altro e non ho nessuna intenzione di sprecare fiato a giurare che vi sto dicendo la verità, cercare di commuovervi con scene lacrimevoli e idiozie simili.» spiegò la donna, con un cipiglio secco, cinico.
Hermione sfilò dalla borsetta magica un blocchetto per gli appunti ed una piuma.
«Ti ascoltiamo.» le disse, seria.
«Il mio nome lo sapete già, dei vostri non me ne frega niente e della mia storia ve ne deve fregare ancora meno. Ciò che è importante è che ero sposata ad un uomo di nome Blake Morel, e l'anziano stregone che mesi fa è stato ucciso durante il nostro scontro a West Woods, si chiamava Kalhev, ed era mio padre.»
Hermione annotò febbrilmente, mentre Ginny ed Evelyn fissavano attentamente la donna in viso. Tradiva un cocente rancore di fondo.
«Mio marito era un mannaro, faceva parte di un branco che aveva giurato fedeltà a Lord Voldemort, chi per protezione chi perché realmente convinto della sua causa, ma nessuno di loro era mai stato così abile o potente da meritarsi il marchio nero. Blake ritornò dalle battaglie che seguirono la prima caduta dell'Oscuro Signore vent'anni fa, praticamente in fin di vita.» Makah riuscì incredibilmente a mantenere una certa stabile freddezza di fondo mentre raccontava, come se il ricordo della morte del marito non le causasse più alcuna emozione di sorta.
«Prima di morire delirava, per la febbre e il dolore, era così da giorni. Ma all'improvviso si calmò, i suoi occhi divennero bianchi, pensavamo stesse morendo e invece parlò chiaro e forte. La sua voce era strana, come se non fosse più sua: stava pronunciando una profezia.»
Le tre ragazze sgranarono gli occhi a quelle rivelazioni, Hermione strinse così forte la piuma che temette di spezzarla.
«Te la ricordi ancora?» le domandò Ginny.
«Ovvio.» sibilò Makah.
La videro abbassarsi la manica della veste scoprendo il braccio sinistro e si avvicinarono, curiose. Lungo l'avambraccio ossuto della donna un tatuaggio opaco e poco visibile riportava poche righe di uno scritto in una lingua che solo Hermione fu capace di riconoscere.
«È ... ebraico?»
«Sì.» confermò Makah, impressionata. «Lo capisci?»
«Poco.» ammise imbarazzata Hermione. «Puoi tradurlo per favore? Non voglio rischiare errori.»
Makah annuì e prese a recitare quella scritta senza nemmeno bisogno di leggerla.
«"La bestia ghermirà una donna pura col ventre marchiato da un cerchio scarlatto. Ella per lui verserà sangue e perirà sacrificando il proprio, nel tentativo di portare a termine il suo compito. Ma nel suo grembo e solo nel suo attecchirà il seme del male, generando un erede capace di riportare nel mondo l'oscurità due volte sconfitta."»
Evelyn e Ginny non poterono fermare una violenta sensazione di pelle d'oca, mentre Hermione serrò nervosamente le labbra trascrivendo ogni sillaba.
«Queste sono state le ultime parole di Blake.» concluse, asciutta. «Parole che sentimmo io e i suoi due più cari amici: i fratelli Graham e Ross che all'epoca erano due ragazzini appena entrati nel branco.» spiegò in una sorta di ringhio nervoso. «Non capimmo cosa potesse significare e con mio padre passammo anni a formulare ipotesi e interpretazioni che all'epoca non potevano avere senso. L'oscurità due volte sconfitta era quella di Lord Voldemort, è l'unico mago oscuro che è stato capace di tornare indietro dalla morte per essere sconfitto una seconda volta. Il senso della profezia divenne chiaro dunque solo pochi anni fa.»
Hermione smise di scrivere e le lanciò un'occhiata carica di allerta.
«Stavate cercando di compiere questa profezia per riportare ancora una volta indietro Voldemort?»
Makah annuì, tornando a coprirsi il braccio.
«Lui stesso no, più realisticamente un suo degno successore. Quella profezia dopo la sua seconda caduta divenne la nostra ragione di vita. Mio padre ne era ossessionato, ed io volevo dare importanza alle ultime parole di Blake.»
«E l'avete interpretata come un rituale sadico in cui stuprare e uccidere giovani vergini?» l'accusò caustica Evelyn.
«Esattamente.» confermò Makah spietata. «La profezia ha poche interpretazioni sensate in fin dei conti. La bestia non può che essere un mannaro, è come li chiamano tutti a questo mondo, ed è stata proferita dalle labbra di uno di loro. Ghermire significa anche possedere. La donna pura è chiaramente una vergine. Il cerchio scarlatto sul ventre e il sangue sono un tributo che lei deve sacrificare. La sua morte è un evento destinato ad accadere durante il parto, ossia "nel tentativo di portare a termine il suo compito": generare l'erede.»
«È ... una fottuta interpretazione!» quasi urlò Evelyn. «Avete stuprato e ammazzato chissà quante ragazze per una cazzo di merdosissima interpretazione delle parole di un moribondo delirante, pronunciate vent'anni fa?» Ginny dovette trattenerla per un braccio per impedirle di scagliarsi sull'altra.
«Sì.» confermò con lucida fermezza Makah.
«Babbane, maghe. Abbiamo provato con tutto e in ogni modo, vergini, non vergini, con tagli più o meno profondi: nessuna è sopravvissuta al sacrificio di sangue abbastanza da portare avanti una gravidanza. Vuol dire che non abbiamo mai trovato quella giusta.»
«Perché non hai provato con il tuo di ventre, lurida bastarda?» ringhiò la donna, smettendo di agitarsi giusto per non rischiare di rifilare una gomitata alla povera Ginny.
Makah sgranò gli occhi e inghiottì a vuoto.
«Oh. Ci hanno provato.» mormorò, portandosi una mano all'addome concavo. «Ma mio padre li fermò: io non posso avere figli, sono sterile e non ho mai avuto il menarca. Inoltre non ero decisamente "pura" da un pezzo.» la freddezza con cui aveva descritto gli orrori di poco prima, gli omicidi delle ragazze, il tentativo di dar vita alla profezia, sfumò per un attimo, lasciando riemergere in lei un lato vagamente più umano, turbato. «Finché mio padre era in vita ero al sicuro da quelle bestie schifose. Ho fatto di tutto per evitare di tentarli nei miei confronti, ho mortificato il mio corpo e tenuto i capelli rasati. Poi Graham l'ha ammazzato senza pensarci su due volte, solo per disattivare in fretta la barriera anti smaterializzazione quando papà era svenuto, così da poter scappare.» sibilò, strizzando nervosamente la coperta fra le dita ossute. «A loro non gliene fregava niente della profezia, non ci hanno mai creduto davvero. Volevano solo divertirsi a stuprare e uccidere belle ragazze, e con la morte di mio padre non avevamo più uno scopo. Le ultime che hanno preso erano sempre più giovani, con la scusa di trovarle vergini. Erano frustrati perché dovevamo nasconderci in quelle fottute isole gelide e schifose, dove andare a caccia era più difficile. Hanno iniziato a prendersela con me e ho sopportato, ogni giorno per settimane, solo per rispetto alla profezia a cui mio padre teneva tanto. Mi hanno portato via la bacchetta e hanno cominciato a farlo diverse volte a settimana, a turno, per ore.» aveva gli occhi sgranati sul soffitto, lucidi di rancore e dolore.
«Voi non mi avete "catturata", non vantatevene tanto.» dichiarò a denti stretti. «Sono IO che vi ho aspettati. Ho resistito, ogni giorno, perché senza gli incanti di mio padre quei cani non erano più al sicuro come prima e sapevo che ci avreste trovati. Vi ho aspettati perché voglio che li catturiate tutti e sono disposta a vendervi anche l'ultima briciola del mio corpo e della mia anima perché lo facciate. La profezia non si realizzerà mai, ma almeno vendicherò mio padre.»
Ginny, Hermione e persino Evelyn erano combattute ora fra un senso di disprezzo netto e una vaga pietà per ciò che la loro nemica aveva dovuto sopportare.
Le tre ragazze si scambiarono un'occhiata d'intesa, e a parlare fu Ginny.
«Li cattureremo. Puoi starne certa.»
Makah non versò nemmeno una lacrima, passandosi comunque una mano sugli occhi per scacciarne la lucidità molesta. Sul fondo del suo sguardo cupo c'era qualcosa di gelido, di definitivamente infranto, qualcosa che solo la rabbia riusciva a rianimare.
«Domani notte si riuniranno.» disse secca. «L'altare sapete dov'è. Sono rimasti in otto e dovete attaccarli prima che finiscano col decidere di rapirne altre ancora più giovani, o peggio prima che arrivi il plenilunio e diventino più forti e violenti. Cinque di loro sono mannari, il leader effettivo è Ross ma anche Graham ha attitudine al comando: se li abbattete entrambi gli altri sono solo un branco di caproni incapaci di pensare con la propria testa.»
«Non si insospettiranno per la tua assenza?» chiese Hermione.
«Può darsi.» berciò la donna, acidamente. «Se la cosa vi fa sentire più sicure riportatemi lì dentro: non ho la bacchetta, non posso scappare neanche volendo, né mi interessa farlo. Se non vi fidate sbattetemi direttamente ad Azkaban, uccidetemi, non me ne frega nulla: voglio solo che quei cani schifosi paghino.»
«Noi non uccidiamo nessuno.» puntualizzò Ginny.
«Dovreste iniziare a farlo.» la redarguì Makah. «Vi risparmiereste così tanti problemi.»
Hermione sospirò pesantemente.
«Devo farti qualche altra domanda, te la senti o preferisci riposare un po'?»
«Non ho tempo di riposare, ragazzina. Fammi tutte le domande che vuoi, riferisci al ministro e muovete il culo a pianificare qualcosa.» la ammonì la donna. «Se intendete rimettermi lì dentro dovrete farlo prima di domani sera, perché arriveranno a mezzanotte in punto.»
Hermione inghiottì a vuoto, annuì e paradossalmente eseguì, in minima parte d'accordo con lei. Non c'era tempo da perdere.
Le altre domande furono decisamente più tecniche, dettagli utili appunto all'ideazione di un piano. Si fece raccontare nel dettaglio di ognuno di quegli otto mostri e delle loro capacità o punti deboli. Dei loro eventuali piani d'azione in caso di problemi, delle capacità di rilevare presenze e dei tipi di incanti protettivi che avevano gettato lungo il perimetro della casa di pietra e dell'isola stessa.
Fuori dalla porta, il Ministro, insieme a Mike Spungen, Calvin Penn, Ron, Theodore, Draco ed Harry, erano rimasti in religioso silenzio per tutta la durata dell'interrogatorio. I commenti se li sarebbero concessi dopo, quando il gelo orrido che gli era nato dentro si fosse sciolto un minimo.
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La profezia del cerchio scarlatto [Drarry]
FanfictionPochi anni dopo la fine della guerra, Harry è il più giovane Auror della storia del mondo magico, raggiunto in breve dai suoi più cari amici ed anche qualche antico avversario con cui ora si ritrova a condividere ideali comuni e lavoro. Nella pace a...