Qualche volta ci veniva permesso di stare nella camera delle bambole. Si trattava di una stanza al piano terra. Nessuno sapeva quale donna della famiglia avesse iniziato la collezione, ma ognuna aggiungeva dei nuovi acquisti. Quelle bambole erano creature angosciose che ci fissavano con occhi vacui. Sembravano vedere ogni cosa. Non ne avrei portata una nella mia stanza nemmeno per tutto l'oro del mondo.
Tania, al contrario, ne era ossessionata. Nonostante i divieti di nostra madre le tirava giù dagli scaffali e se le rigirava tra le mani, come se nascondessero qualche oscuro segreto. Forse quel segreto su come essere donne, noi che ammiravamo le figure dei giornali, quelle attrici che sembrava dominare il mondo. Tania faceva di tutto per assomigliare alle bambole, mai riuscendo a raggiungere l'obiettivo, un passo sempre indietro. Capisco adesso che sarebbe stato impossibile raggiungere quella bellezza e compostezza di porcellana. Tania aveva perso in partenza e lei odiava perdere. Fu per questo che da un giorno all'altro smise di parlare di bambole e d'insistere per andare in quella stanza.
-Non ti piacciono più?- avevo bisogno di sapere il perché, di conoscere ogni sua piega.
-Sono così fredde... mi hanno stufata-
La verità era che si sentiva in difficoltà davanti a loro. Imperfetta.
Cominciò così un'altra nostra ossessione. Quella per la cantina. Fino a quel momento la cantina era stato un luogo di casa che veniva evitato. Un anfratto buio e infelice, nel quale mio padre metteva i vini. Ne avevamo sentite di storie su quel luogo. Dicevano che gente era scesa e scomparsa, che avevano trovato impiccata una cameriera, che si aggirasse lo spettro di un nostro cugino, morto in circostanze misteriose e, secondo alcuni, nascosto proprio dietro una di quelle pareti. Storie, solo storie. I bambini però vivono di storie. Io e Tania ne ricavavamo sopra altre. Così venne fuori che dovevano esserci dei mostricciatoli, nascosti nel buio, che avrebbero potuto uscire dal loro rifugio e divorarci. Che la notte si potessero sentire i pianti dell'impiccata per amore. Che se fissavi una delle pareti potevi scorgerci il tuo futuro.
La cantina divenne un luogo di sfida. Dovevamo stare là sotto, al buio, il più a lungo possibile. Io non resistetti mai più di un minuto. Ero terrorizzata dai cigolii, dagli spifferi d'aria, dalle ombre. Vedevo mostri nelle ombre. Tania invece poteva restare ore e ore.
-Non capisco perché hai così paura- mi punzecchiava.
Io non potevo capire come riuscisse a stare là sotto tanto a lungo. Possibile che fosse immune alla paura? O lei vedeva le ombre, gli spifferi, i cigolii per ciò che erano davvero? Il prodotto di una vecchia casa? Oggi posso dire che già allora Tania aveva una visione distorta del mondo. Per lei l'importante era la vittoria. Il resto erano fatti senza senso. Il mondo si divideva in vincenti e perdenti. Lei faceva parte dei primi e io dei secondi. Così si sentiva in diritto di fare e dire quello che voleva. Tania odiava gli altri vincenti. Erano persone su cui lei non poteva comandare e doveva così sconfiggerle in altri modi. Tra di loro c'era Kyle. Lui di certo, le feci notare un pomeriggio in cui era stata più offensiva del solito, non avrebbe avuto paura di stare nella cantina, visto che dormiva nella soffitta, luogo di ritrovo di tutti i fantasmi della casa.
-Questo è tutto da vedere- borbottò, paonazza. –Potrei sfidarlo-
-Non accetterà, lui non gioca mai con noi-
Tania sbuffò. –Perché sa che perderebbe, non può vincere, non con me- e fu contenta di aver risposto così.
Un momento di gioia erano le fiere. Si svolgevano per le feste ed erano l'occasione per venire in contatto con prodotti lontani, che ai nostri occhi avevano l'aspetto di qualcosa d'irreale. Passavamo tra le bancarelle con aria sognante e per giorni immaginavamo storie che riguardavano quegli oggetti. Storie al limite del reale.
Con la fiera arrivavano anche i visitatori. Uomini e donne che dormivano nelle taverne. Ne ricordo uno in particolare, uno che avrebbe capovolto la nostra vita. Uno dei cui genitori erano originari del nostro paese, andati in Inghilterra alla ricerca di fortuna prima della mia nascita. Roger era un giovanotto biondo, splendente come un principe, che passava il suo tempo andando avanti e indietro per il paese. Sembrava sempre coinvolto in qualcosa di molto importante. Lo ammiravo da lontano, consapevole di non potermi avvicinare. Non c'era solo l'età a dividerci, ma tutta una serie di fattori a cui all'epoca non sapevo dare un nome. Roger era irraggiungibile, qualcosa che non avrei mai potuto toccare. Una creatura di vetro, da guardare, ma non sfiorare perché avrei rischiato di tagliarmi.
Ero sicura che non avremmo mai avuto modo di rapportarci. Che appartenessimo a due mondi tanto diversi da non poterci incontrare. La vita ci mette di fronte alle cose più assurde. Fu così che incontrai Roger proprio a casa mia.
Ci sbattei contro, ad essere onesta, un tardo pomeriggio, mentre mi dirigevo alla biblioteca. Persa nel pensiero di Kyle finii per naufragare in lui.
-Oh, guarda cosa mi è piovuto addosso-
Restai a fissare il pavimento, le sue braccia che mi avvolgevano, l'ansia che saliva.
-Devi essere una delle figlie di Mirco-
Sentire il nome di mio padre detto così, senza un signore o altro convenevole, beh, mi sorprese e forse mi turbò. Chi era quell'uomo per parlarne così alla leggera? Mi trasmetteva un senso di potere, di tranquillità, di protezione. Mi costrinsi a guardarlo.
-Sono un collaboratore di tuo padre- mi sorrise e mi sembrò che nessuno mi avesse mai sorriso prima. Era strano come un gesto così semplice potesse farmi sentire tanto leggera. –Sono venuto per parlare di affari-
Avevo la gola secca e temevo di non riuscire a parlare.
-Ma sono cose così noiose che non vale la pena parlarne-
Dovevo dire qualcosa. Mi costrinsi a muovere le labbra. –Sono sicura che non sia così, che sia molto interessante- le parole mi sembravano scialbe, prive di significato. Ero noiosa.
Roger annuì, le mani che continuavano a sostenermi. Ne sentivo il calore nonostante la stoffa. –Per me, forse-
Avrei voluto chiedergli di cosa parlavano. Di cosa si occupava Roger? Non ne avevo la minima idea.
-Scusa, ma devo fuggire, purtroppo non posso mai stare tranquillo- sollevò un angolo della bocca. Un leggero sorriso che mi spappolò il cuore. Mi sembrava che ci fossimo solo noi due. Non in quel corridoio, in quella casa o in quella città, ma nel mondo intero. Ero spaesata. L'incanto s'interruppe quando Roger mi lasciò.
-Ci vediamo?- chiesi, senza riuscire a controllarmi. Non volevo che se ne andasse. Mi sembrava che fosse qualcosa di troppo bello. D'irreale. Un sogno.
-Se si vive abbastanza ci si rivede sempre-
Credo che sia stato quello l'inizio di tutto. Il principio del mio rapporto con Roger, di quel morbo senza nome che non era amore, ma gli assomigliava. Di quell'ostacolo che si frappose come uno spettro tra me e Kyle.
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La casa delle maschere
Ficțiune istoricăKyle era più reale che mai in contrapposizione a me. Sembrava che si nutrisse della mia irrealtà. Che come un vampiro mi bevesse l'anima. Sorso dopo sorso. Fino a svuotarmi. Lasciai che mi facesse sedere su un muretto. Le sue mani su di me. Intorno...