21. SCAGIONARE KYLE

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I giorni seguenti furono convulsi. Belve che cercavano di divorarmi. Dormii poco. Di giorno dovevo occuparmi degli studi, di notte correvo a portare a Kyle qualsiasi cosa avesse bisogno. Me ne stavo sulle punte, aggrappata alle sbarre, un'acrobata che cercava di consolarlo.

-Non so cosa farei senza di te- mi sussurrava e le sue mani cercarono le mie. Pelle calda contro pelle calda.

-Non ti possono tenere qua per sempre, non è una vera prigione, devono liberarti

-O mandarmi in una vera prigione

-Non dirlo nemmeno- il pensiero mi faceva mancare il respiro. Non volevo nemmeno parlare della possibilità che se ne sarebbe andato e mi avrebbe lasciata sola. Non ero mai stata senza Kyle. Non davvero. Al massimo qualche ora. Anche se lui non era con me fisicamente sapevo che era presente, un'ombra tra le ombre della casa. Se Kyle fosse stato incarcerato le cose sarebbero andate in modo diverso. Non lo avrei visto per anni. I miei genitori non mi avrebbero permesso di fargli visita in prigione. Poteva essere la fine di tutto.

-Lo sai che è una possibilità

Era avvolto nelle tenebre, ma potevo vedere che aveva un inizio di barba. Occhiaie scure gli circondavano gli occhi. Ed era più magro, i tratti spigolosi. -Dobbiamo tirarti fuori da qua

-E come? Ho un'accusa di omicidio, se non mi assolvono verrò condannato

-E se qualcuno avesse notizia di Karl?

-Come potrebbe averne?

-Ci penserò io

-Come?

-Non preoccuparti di questo- avrei voluto che non ci fossero le sbarre a dividerci. Poterlo stringere tanto forte da rimanere senza respiro. Feci scivolare la mano tra il ferro, le dita che gli sfioravano la pelle. La sua barba mi punse i polpastrelli. Era confortante. -Troverò un modo

-Non posso lasciartelo fare, potrebbe essere pericoloso- incastrò la mia mano tra la guancia e la spalla.

-Devo farlo, per te, per poter passare il tempo insieme

-Non me lo perdonerei mai se ti succedesse qualcosa- le mani uscirono, mi prese per le spalle, mi trasse a sé. -Devi essere prudente

-La sarò

-Ci conto- e mi baciò.

Misi in atto il mio piano il giorno seguente. Sapevo che il tempo era contro di noi e che le cose avrebbero potuto degenerare da un giorno all'altro.

Presi gli abiti dall'armadio di mio padre. Naturalmente mi erano larghi, ma non potevo fare molto al riguardo.

Mi appuntai al petto la spilla con la K che avevo creato perché richiamasse lo stesso stemma dei von Kailer.

Mi avvolsi nel cappotto e presi la strada nel bosco. Mi sembrava di vivere un sogno. Una vita non mia. Ero più simile a Tania.

Non so quanto ci misi a raggiungere il paese vicino. Mi affrettai a imbucare la lettera, il cuore che faceva le capriole. Avevo la certezza che mi avrebbero scoperta. E a quel punto come avrei potuto fare? Come potevo giustificarmi? Avrei raccontato ogni cosa?

C'era un altro punto nel piano. Qualcosa di più delicato. Tutti dovevano ricordarsi che un uomo che corrispondeva allo straniero era passato di lì.

Mi abbassai il cappello perché non mi si vedesse il viso e mi diressi a una taverna, fuori dalla quale alcuni uomini stavano bevendo.

Finsi di barcollare tanto da sbattere contro uno dei tavoli.

-Ehi, attento dove vai- ruggì un uomo.

Bene, mi avevano notata. Proseguii. L'odore di fumo mi faceva bruciare il naso.

-Fermati

Ghiaccio nello stomaco. Ecco, mi avevano notata troppo. Non potevo farmi prendere. Corsi.

Il respiro mi si mozzò quando sentii i passi che mi seguivano. Non c'era tempo. La paura mi graffiava.

Mi fermai solo quando uscii dalla città, ansante. Ce l'avevo fatta.

La polizia avrebbe presto ricevuto una lettera di Karl von Kailer. Dovevo solo sperare che ci credesse.

La casa delle maschereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora