20. ALLA PRIGIONE

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Quella notte presi una di quelle decisioni che, me ne rendo conto ora, sconvolse la mia vita. Afferrai il cappotto, m'infilai un paio di ballerine, uscii.

La notte era tanto buia da darmi un senso di nausea. Aprii il cancello con le mani tremanti. Sapevo che sarei stata punita se qualcuno mi avesse scoperta. Allo stesso tempo però non potevo non pensare a Kyle, non il ragazzino schivo e crudele, ma il mio amico Kyle, quello con cui avevo creato un rapporto a Parigi, che se ne stava in una prigione piccola e insalubre. Dovevo parlargli. Dovevo fargli sapere che aveva il mio appoggio.

La prigione era dietro la caserma. Presi vie laterali, il cuore che batteva forte, le ombre che spuntavano ovunque. Avevo la sensazione che mi avrebbero sbranata.

Mi spinsi sulle punte e mi aggrappai alle sbarre della finestra. Riuscivo a malapena a sbirciare dentro. C'era buio. Un buio simile a inchiostro. Sbattei le palpebre, socchiusi gli occhi, mi costrinsi a cercare la sagoma di una persona. Ero sicura che fosse lì. Non c'era un'altra cella nel nostro paesino, non...

Un movimento nelle tenebre.

-Kiki- sussurrai.

Qualcosa scivolò sul pavimento a creare una pozza di stoffa di un grigio pallido. Riconobbi a malapena il suo volto. Ricordo ancora quel luccichio nello sguardo. Lo stesso luccichio che vidi in una lepre che stava per essere sbranata da un lupo e che, presa dalla disperazione, si lanciò avanti per aggredire. La preda che diventa predatore. Strinsi con forza le sbarre, come per cercare di assorbire un'energia che non avevo.

-Nai- sussurrò Kyle. Si alzò, barcollando. Gli avevano fatto qualcosa? Pensarlo mi soffocava. Una rabbia pulsante mi scavò dentro. Non potevo permettere che gli succedesse qualcosa. -Che ci fai qua?- si avvicinò alla finestrella. Era abbastanza alto da non doversi spingere sulle punte.

-Dovevo vedere come stavi- feci scivolare una mano tra le sbarre, le dita che tremavano. -Appena ho saputo...

-Non devi stare qua- prese la mano nella sua e avvicinò la faccia alla finestra. Ne sentii il respiro sfiorarmi le labbra. Un bacio d'aria e di gelsomino. Una sensazione rovente mi accarezzò il ventre. Era strano, come se non stessi vivendo quella scena, come se la stessi osservando dall'esterno. -Te ne devi andare

-Non posso lasciarti così... quando mi hanno... oh- le parole mi si spezzavano in bocca. Era pallido, con gli occhi arrossati e le labbra screpolate. Per uno scherzo della luce sembrava che fosse più magro, con i lineamenti tanto spigolosi da poter tagliare se solo li avessi toccati. Strinsi più forte la sua mano. Le dita scivolarono tra le sue. A incastro. Come se le nostre mani fossero nate per quel gesto. Palmo contro palmo. La sua pelle ruvida sfregava contro la mia morbida.

-Non devi preoccuparti per  me- mormorò tanto piano che dovetti spingermi avanti per poterlo sentire. Sfiorai le sbarre con una guancia. -Non hanno prove- il suo pollice disegnò un cerchio sul mio dorso. Uno scintillio caldo sulla pelle. Quasi mi avesse bruciata. E i suoi occhi mi ustionavano. Nella penombra della cella era l'unica cosa che riuscivo a vedere con chiarezza. Quello sguardo che mi leggeva dentro con chiarezza. -Uscirò di qua

-Sei innocente- ansimai. Le gambe mi bruciavano per lo sforzo di rimanere in equilibrio sulle punte.

Sentii il tocco della sua mano che si spostava sulla mia guancia. Era piacevole. Qualcosa che andava oltre il semplice contatto di una pelle con una pelle. La incastrai contro la spalla in un gesto istintivo che mi provocò un tremito. -Nai... non resisto più...

-Cosa?

Socchiuse gli occhi. -Le tue labbra

-Le mie labbra?

Mi baciò. Rimasi immobile, il respiro che mi s'incagliava in gola. E poi la sua mano lasciò la mia guancia e mi affondò tra i capelli. Non potei fare altro che abbandonarmi a quella sensazione di dolce languore. Fu un bacio lento, con il sapore della disperazione.

Quando ci staccammo tremavo. Caddi sui talloni, un senso di stordimento che mi rendeva complesso mettere insieme un pensiero coerente. La bocca mi bruciava.

-Nai, Nai- un gemito che aveva il sapore del terrore. -Sei ancora lì?

-Sono qui- mi appoggiai contro il muro. Avrei voluto dire qualcosa, ma non ci riuscii. Era come se ogni cosa fosse troppo. Sensazioni opposte mi scoppiavano dentro e mi squarciavano in mille pezzi. Ero esausta. Quasi avessi corso per ore e ore.

-Bene- un sospiro. -Era da tanto che volevo farlo

Quelle parole mi turbarono più del gesto. Aveva pensato davvero più volte a baciarmi? Magari durante la cena quando mi portavo alle labbra un bicchiere d'acqua? Oppure durante le passeggiate per le strade di Parigi? -Perché?

Un lungo silenzio. Potevo sentire in lontananza il fruscio di un qualche animale che si muoveva nelle tenebre. -Perché lo volevo- una risposta che non era una risposta. -Tornerò da te

E io mi sciolsi su quelle parole.

La casa delle maschereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora