Capitolo 18

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"Ci ho messo veramente una vita a svegliare Bombur, quella notte. Quando dorme - e ti posso assicurare che prende sonno ovunque e in qualsiasi momento della giornata con estrema facilità -, dorme di un sonno profondissimo. È da dopo l'avventura nella foresta che è così. Dice sempre che cerca di riacchiappare i magnifici sogni che ha fatto allora." (1)

Bofur

Bard l'Arciere si presentò ai Cancelli di Erebor all'alba del giorno successivo, e trovò la Compagnia di Thorin Scudodiquercia al completo ad attenderlo sui bastioni; lo hobbit compreso, pochi passi più indietro rispetto agli altri.

Bilbo inspirò a fondo e guardò il cielo grigio. La cappa di nuvole basse prometteva un'altra giornata senza sole. Pensò che, dopotutto, quello era proprio il tempo adeguato a quel momento; e tanto ormai, in ogni caso, erano tutte così le sue giornate: cieli spenti, fredda pietra. Nulla gli mancava come l'erba sotto i piedi.

Spostò lo sguardo in basso. Man mano che Bard si avvicinava e smontava dal suo cavallo, ne registrò l'aria stanca e i vestiti sporchi e strappati. Insomma, i suoi indumenti sporchi e strappati lo erano stati sempre fin troppo per il gusto di un Baggins, ma ora se possibile lo erano ancora di più.

Nonostante tutto, però, il passo del discendente di Girion era fermo e deciso, mentre copriva gli ultimi metri a piedi. E a buon diritto: alle sue spalle, alle porte di Dale, Bilbo poteva scorgere l'esercito più stupefacente che si potesse immaginare; era un vero e proprio esercito degli elfi, uno di quelli di cui aveva letto soltanto nei suoi libri e visto soltanto nella propria fantasia.

"Perché il Re Sotto la Montagna si rinchiude dentro, come un rapinatore nel suo covo?" proruppe Bard, ad indirizzo di Thorin.

"Forse perché mi aspetto di essere rapinato," replicò prontamente il nano dall'alto dei bastioni, mentre con un cenno della testa dava ordine a Kili di tenere il nuovo arrivato sotto tiro, senza preoccuparsi di essere discreto nel farlo.

Fra Thorin e Bard era sempre stato odio a pelle, Bilbo era certo che quella conversazione non sarebbe finita affatto bene; benedisse mentalmente ogni singolo metro che li divideva.

"Non siamo qui per rapinarti, ma per ricordarti la tua promessa: una parte del tuo tesoro in modo che il popolo di Esgaroth possa ricostruirsi una vita," proseguì Bard, alzando il mento.

"Non tratterò un bel niente, finché un'armata sosta davanti alla mia porta."

"Quell'armata attaccherà questa montagna, se non arriviamo ad un accordo."

"Le tue minacce non mi fanno paura," ringhiò il Re Sotto la Montagna.

"E cosa ne è della tua coscienza?" scattò Bard, incapace di trattenere oltre la rabbia. "Ti abbiamo offerto il nostro aiuto, e in cambio abbiamo ricevuto solo morte e rovina. Avevamo un patto!"

"Lo chiami un patto, barattare l'eredità del nostro popolo con coperte e cibo? Non avevamo nessuna scelta!" lo interruppe Thorin, con altrettanta furia. "Dimmi, Bard l'Ammazzadrago, perché dovrei onorare tali termini?"

"Ci hai dato la tua parola. Non significa niente per te?" chiese Bard, incredulo davanti a tanta testardaggine e così poca ragionevolezza.

Anche Bilbo - che si rese improvvisamente conto di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo, ritrovandosene a corto - esaminò il profilo di Thorin, in attesa, chiedendosi lui stesso dove sperava di arrivare comportandosi così.

Non aveva scelta, con un esercito che incombeva su di lui e nient'altro che una manciata di nani a difendere la Montagna, non patteggiare avrebbe significato sconfitta per loro. Morte, se le cose fossero andate veramente male. Thorin non poteva essere così presuntuoso o folle da non rendersene conto. Tuttavia, non sembrava nemmeno particolarmente disperato, e Bilbo temeva che il motivo fosse che avrebbe preferito farsi uccidere piuttosto che farsi catturare da Bard o, peggio, di nuovo da Thranduil.

With my bare feet || BagginshieldDove le storie prendono vita. Scoprilo ora