CAPITOLO 3

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Il telefono squillò sei volte prima che la voce di Chloe riempisse il silenzio del bagno, l'avevo messa in vivavoce per potermi infilare nella vasca e godermi un bagno caldo e rilassante.

«Allora? Com'è stato il volo per New York?» Mi chiese con voce serena.

Scivolai ancor di più nella schiuma che profumava di cocco:«Rilassante», chiusi gli occhi:«Fin quando non mi sono addormentata».

«Non dirmi che lo hai sognato di nuovo?»

Sospirai:«Vorrei dirti il contrario, ma sai quanto me che è sempre presente».

Il mio tono di voce era basso e anche quello di Chloe era cambiato. Parlavo sempre con lei quando avevo bisogno di sfogarmi e sapevo che mi avrebbe ascoltata in silenzio senza giudicare la mia mente folle che si ostinava ancora a ricordare ciò che avrei dovuto dimenticare già da tempo.

«Immagino quanto tu sia rimasta turbata», commentò con un velo di rammarico.

«È una costante della mia vita, devo conviverci». Ammisi.

E chissà se ero davvero pronta ad accettare che gli abusi di mio padre mi avrebbero perseguitata per tutta la vita. Ogni volta che mi toccavo la pelle, che sfioravo il mio viso, che spazzolavo i capelli, sentivo i suoi calli tenermi bloccata sotto il cuscino e il suo corpo pesante possedere il mio troppo giovane e debole per pensare fossero solo delle carezze.

«Dovresti seriamente prendere in considerazione l'idea di farti aiutare da qualcuno più esperto di me», mi diede un consiglio che dalla sua voce avevo sentito fin troppe volte:«Io posso solo ascoltarti ma uno specialista potrà davvero aiutarti lì dove io non riesco».

Sospirai, ancora:«Hai ragione ma lo sai quanto per me sia difficile parlarne».

«Con me lo hai fatto, anche con mamma».

Chiusi gli occhi:«È diverso, voi lo avete vissuto insieme a me».

Chloe tossì:«Non insisto, ma ci penserei».

Ed io già sapevo che, quando avrebbe avuto la giusta occasione, avrebbe riaperto l'argomento. Non che la cosa mi desse fastidio, amavo il modo in cui Chloe e Beth si prendevano carico dei miei tormenti, ma per me non era mai stato facile aprirmi con persone che non fossero loro due.

«Devo dirti altre cose», cambiai argomento:«Non sono sola in questa casa».

Mentre parlavo, con il telefono poggiato sul muretto accanto alla vasca, mi alzai tenendo ben strette le mani sul bordo in ceramica bianca e svitai il tappo per vedere l'acqua sparire lenta nei tubi. Traballando con un piede sul tappeto, afferrai l'accappatoio azzurro e quando lo annusai capii subito che l'odore sul tessuto era lo stesso che avevo sentito sulla pelle di quel ragazzo un'ora prima: vaniglia.

Era questo il profumo dolce che emanava se non lo mischiava all'acre dell'erba fumata.

«Certo che non sei sola, ci sono i tuoi zii con te», ironizzò Chloe.

Mi guardai allo specchio, asciugando via la condensa dal vetro:«Non è questo ciò che intendevo. I miei zii hanno adottato un ragazzo, anni fa».

«E lo scopri solo adesso?»

La mia espressione si incurvò in una smorfia contrariata:«Aspettavano di vedermi prima di dirmelo».

«Li capisco, ma avrebbero potuto anche accennare qualcosa». Dal suo tono di voce capivo quanto fosse turbata:«Immagino che sia abbastanza piccolo da fare un gran casino».

Sospirai schiarendomi la voce:«Non è proprio piccolo, diciamo che...», feci una pausa:«È più grande di me», dissi d'un fiato.

Non aveva senso tentennare sulla questione, in fin dei conti io avevo deciso di abitare con i miei zii a discapito del nuovo membro di famiglia. Era pur vero che, avendolo saputo solo dopo il mio arrivo a New York, non avrei avuto altra scelta a riguardo, ma se entrambi saremmo stati ognuno al proprio posto allora a me andava bene così.

LeahDove le storie prendono vita. Scoprilo ora