01. Underneath

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-Adam, smettila di giocare con quella pianola e vieni a darmi una mano con la tavola! –

 -Arrivo, Minerva, arrivo. Stavo solo... -
-So benissimo cosa stavi facendo, stavi giocando, come tutti i bambini, ma adesso ho bisogno di te qui –
-Sono subito da te! Ma comunque, è un pianoforte, non una pianola. –
-Sia quello che sia, questa tavola intanto non si preparerà da sola. Deve essere tutto perfetto per oggi, mio caro Adam, ricordatelo. –
-So bene che oggi deve essere tutto perfetto, non preoccuparti –
-Bene, i piatti sai dove sono, lo stesso vale per le altre posate e i bicchieri. Intanto vado a vedere a che punto siamo con il resto e, soprattutto, sono proprio curiosa di sapere dove si sia cacciata tutta la ciurmaglia! –

Adam sorrideva, e intanto svolgeva le mansioni a lui richieste. Erano passati sedici anni dal suo abbandono davanti all'orfanotrofio. Nessuno, da quel momento, aveva mai voluto adottarlo. 'Non è il bambino che fa per noi', 'Ha un non so che di cupo e triste', 'È troppo timido': queste erano state le terribili risposte che Minerva, e ben presto anche Adam, avevano ascoltato. Un rifiuto, un relitto. Ecco come si sentiva. Nessuno era riuscito veramente a capirlo. Solo Minerva e Petunia si erano date da fare per crescerlo, e solo loro riuscivano veramente a interpretare ogni suo gesto, da un sorriso, a una carezza, al pianto. Aveva sempre cercato di nascondere ogni sua emozione, ma era sempre inutile, perché queste continuavano a affiorare, ribelli. Quel giorno sarebbe stato importante, un giorno che non puoi dimenticare, che sarebbe sempre rimasto impresso. Aveva compiuto sedici anni da poco, e una famiglia aveva deciso di adottarlo. Le cose del destino sono proprio strane: per sedici anni,e soprattutto in tenera età nessuno ti vuole, e adesso che sei grande ecco che spunta fuori una famiglia che continua ad insistere per averti con loro. A volte la vita, oltre ad essere strana, è anche bella, allora.

-Caroline, adesso aiuta Adam con la preparazione della tavola. Ti ho già spiegato che deve essere tutto perfetto, vero? –
-Zia Minerva, è da una settimana che continui a ripetermelo. Tutto sarà perfetto, promesso –
-Lo spero! Ma voglio che tu smetta di chiamarmi così, lo sai che mi da fastidio. –
-Va bene, zia – disse Caroline, scappando sorridente.
Minerva si fece vedere irritata, ma non poteva nascondere a sé stessa quanto fosse felice che qualcuno la chiamasse 'zia'. Si erano creati dei legami così profondi con quei ragazzi, così veri, che stava diventando insopportabile la separazione. Adam sarebbe stato affidato ad una famiglia, così come Caroline. La loro assenza si sarebbe sentita, eccome. Tutti i bambini più piccoli stravedevano, soprattutto per Adam. Il suo modo di porsi nei confronti degli altri, così gentile e fraterno, li faceva sentire protetti. Adam era diventato per loro il fratello maggiore che non avevano mai avuto.

-Adam, eccomi. Cosa devo fare? –
-Puoi prendere le posate! Dovrebbero essere nel lavandino, da qualche parte. – Caroline aveva constatato che Adam era molto nervoso. Ogni volta che non parlava, lo era. Ormai lo conosceva bene, e lui stesso non poteva mentirgli.
-Come stai? – domandò lei repentina.
-Puoi benissimo intuirlo, Caroline. Ormai mi conosci: sono nervoso e ho paura. –
-Paura? –
-Paura di essere rifiutato, ancora un'altra volta. Sai come ci si sente...non è per nulla facile.–
-Lo so Adam, vedrai che questa volta sarà diverso. –
-Lo spero – disse il ragazzo singhiozzando
-Te lo prometto – disse Caroline, abbracciandolo. – Ascolta – disse lei – a che punto sei con quella cosa? –
-Quale cosa? –
-Non puoi nascondermi nulla, lo sai. Dai racconta! –
-Non riesco a capire a cosa tu ti riferisca – Adam cercò di sviare il discorso, non voleva parlare a nessuno di quello che stava progettando, nella sua mente.
-Con me non puoi fare il furbo, ricordati. È da un mese a questa parte che stai scrivendo qualcosa, e da giorni provi melodie sul pianoforte. Dai non fare il prezioso. –
-Mi stai spiando per caso? – disse Adam sorridendo – non è nulla di che, solo due versi che volevo adattare a una melodia, tutto qua. –
-Non sminuire mai quello che fai. Ti va di farmela sentire? –
-Ma sei davvero sicura di quello che stai dicendo? –
-Più che sicura. Spara. –
-Ti avverto, è ancora una bozza. Anzi forse più di una bozza. Non so nemmeno se mi piace ancora. – -Sono tutta orecchie. –

Adam si sedette al pianoforte, e iniziò a suonare una melodia..."Strip away the flesh and bone, look beyond the lies you've known. Everybody wants to talk about a freak, no one wants to dig that deep: let me take you underneath..."
Caroline aveva i brividi, alla prima nota. Non si era mai emozionata così tanto, aveva pensato. Adam stava raccontato la sua storia, tramite melodia e voce: una storia di sofferenza, di tradimenti, di incomprensioni. Una storia di un 'mostro', così si era definito nella sua canzone.

-Adam... - cominciò Caroline – dove hai imparato? –
-A fare cosa? – chiese lui-A fare tutte quelle cose. A cantare, a suonare...a farmi piangere. –
Adam aveva scorto le lacrime di Caroline, per questo si era alzato dalla sedia e era andato ad asciugargliele.
-Non dire niente a nessuno, promettilo. Questo sarà un segreto tra me e te –
-Ma non è giusto, devi seguire questa passione! Sei perfetto! –
-Ho solo sedici anni, e sono un 'senza famiglia'. Chi mai vorrebbe ascoltarmi? –
-Non osare ripeterlo. Meriti questo ed altro. E pian piano vedrai che te ne accorgerai anche tu –

-Caroline, Adam, dove siete finiti? – irruppe Petunia
-Zia Petunia arriviamo, un momento! – rispose Caroline-Correte di sopra a cambiarvi! Gli ospiti saranno qui a breve! –


***

Non era la prima volta per Adam. Aveva sfoggiato più volte quella camicia bianca, quel papillon nero, e quel pantalone nero. Li aveva sempre odiati, perché le cose non erano mai andate come voleva lui. Tutto ciò che voleva era una famiglia, dopotutto. Non si lamentava né di Petunia, né di Minerva, poiché erano state per lui due figure molto importanti, che lo avevano cresciuto e, soprattutto, gli avevano voluto bene. Non avrebbe nemmeno rinunciato all'affetto di Caroline e di tutti gli altri bambini, con cui aveva strettamente legato. Ma lui voleva una famiglia: una madre che lo avrebbe svegliato ogni mattina, un padre con cui condividere le sue più grandi passioni, chissà magari gli avrebbe insegnato a suonare il piano. E invece aveva sempre dovuto imparare a fare tutto da solo. -Adam sei pronto? – entrò Caroline.
-Non sono sicuro di volere indossare queste cose – rispose – portano sfortuna. Ci vuole qualcosa di nuovo –
-Beh, detto a poche ore dall'incontro non sembra essere possibile trovare altri vestiti, non credi?! – -Ma io non voglio altri vestiti, dico solo che questi possono essere usati in modo diverso! –
-E come, vuoi spiegarmelo? –
-Aspettami, ti stupirò! Tutto ciò di cui ho bisogno sono...uhm vediamo...una macchina per cucire e un po' di vernice bianca. –
-Tu sei pazzo. – esclamò Caroline
-Lo so, ed è arrivato il momento di farmi conoscere per quello che sono veramente –
Caroline era di guardia alla porta del ragazzo pazzo che stava per mettere in scena la sua fine. Era stato presentato alla famiglia come un ragazzo discreto, serio e soprattutto elegante. Cosa sarebbe successo?
-Ah una cosa – la testa di Adam spuntò all'improvviso dalla porta.
-Sarei potuta morire d'infarto, diamine! – esclamò Caroline – cosa vuoi? –
-Ti scoccerebbe prestarmi la tua matita nera? –
-Cosa diamine ti sei fumato? – chiese sconcertata
-Niente, ovviamente. Dai, saranno qui a momenti –
-Io non c'entro niente in questa cosa, sappilo. – disse Caroline
-Infatti è tutto frutto del mio cervello! Niente di scandaloso, fidati – commentò sarcastico Adam.
-Ho paura – commentò Caroline tra sé e sé.

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