"Cosa ti ha detto il dottor Botkin?" Chiesi con finta noncuranza a Elizaveta.
"Ha semplicemente consigliato per te dell'aria di mare non appena tornerà la bella stagione. Livadija ti piacerà tantissimo, vedrai."
"Livadija?" Ripetei in una tacita domanda.
"Sì, Livadija. E' il luogo in cui passiamo l'estate. Te lo assicuro, è un posto idillico, così calmo e soleggiato... non ha nulla a che vedere con San Pietroburgo. Dal palazzo, poi, c'è una vista magnifica! Tatijana in special modo lo ama sin da quando era piccola. Anche a te piaceva il mare..."
Continuò a parlarmi di Livadija, ma mi sembrò lo stesse facendo solo per distrarmi dall'origine del nostro discorso. Per alleviare il fastidio e non tentare di giungere a conclusioni che non mi avrebbero in alcun modo dato conferma di veridicità delle sue parole, contai i passi che stavamo facendo per arrivare alla meta per me ancora indefinita. Avevo imparato i numeri solo fino al cinquanta, quindi dopo quarantanove passi ero obbigata a cominciare da capo.
Elizaveta camminava svelta, con trepidazione, conducendomi da qualche parte con fretta ed entusiasmo.
Alcune sue parole mi distolsero dai miei pensieri, inducendomi a prestarle più attenzione: "Stiamo organizzando una festa per il tuo ritorno. Che emozione, la tua prima festa! Ci saranno vestiti sontuosi, e decori d'oro, e tutti saranno così contenti di vederti! Ho voluto che nessuno te lo dicesse perchè preferivo fosse una sorpresa, ma adesso è meglio che tu sappia come comportarti davanti a certe persone."

Una festa.
Una festa in mio onore.

Una scia di brividi gelidi percorse la mia spina dorsale.
Quante persone avrei incontrato? Cos'avrei dovuto dire, o fare, o ricordare? Avrei dovuto sospettare che non avrebbero preso con leggerezza il ritorno, ma credevo - speravo - che non avessero intenzione di fare qualcosa che mi ponesse in luce in questo modo così efferato.
Era una questione ben più ampia della semplice timidezza: io non avevo la minima idea di cosa fare in mezzo all'aristocrazia europea. Forse Ella non si rendeva conto della mia totale inesperienza, troppo accecata dall'eccitazione per i preparativi, ma io non potevo abbandonarmi in questo modo alle sue cure incaute, se il suo fine ultimo era davvero avventato quanto sembrava. Voleva fingessi? Fin quanto potevo spingermi a dire? Ero tenuta ad avere conversazioni simili a quelle con Aleksej e gli altri anche in pubblico o gli eventi ufficiali erano dedicati alle chiacchiere mondane? Il confine fra formalità e frivolezza non mi era ancora molto chiaro.
Un dubbio che fino ad allora avevo ignorato emerse dal suo angolo sottinteso con brutalità: quelle persone sapevano da dove venivo? Avevano una minima idea di chi fossi realmente?
Evidentemente Elizaveta prese il mio silenzio come un assenso, tant'è che mi chiese con fervore cosa ne pensassi. Saggiando le parole, scelsi di dirle una verità edulcorata che non ferisse il suo entusiasmo. Ai nobili non piaceva avere torto, lo sapevo da molto tempo prima di diventare una di loro.
"Hai davvero pensato a ogni dettaglio? In così poco tempo? Non ti sembra... sconsiderato, portarmi a una festa? Specialmente una in cui avrò un ruolo centrale. Credo sia ancora presto, io non sono preparata ad un evento del genere. Non fraintendermi, amerei partecipare, ma ho davvero il terrore di fare qualcosa di sbagliato. Aspettiamo ancora un po' di tempo, ti prego."
La granduchessa mi prese la mano: "Tutto è stato calcolato alla perfezione. Inoltre, stiamo andando da una persona che ti aiuterà proprio in questo. Non hai di che preoccuparti, tesoro."
Girai la testa e vidi dissolta l'eccitata contrizione del volto che aveva incollata addosso l'ultima volta che l'avevo guardata in faccia. L'aveva barattata per un viso sereno e dai contorni amorevolmente rilassati. Non sapevo quando avesse abbandonato l'aria nervosa che precedentemente l'aveva circondata, ma ora negli occhi di Elizaveta leggevo solo affetto e remissiva calma.
Nel fondo delle sue pupille, però, riecheggiava un rancore lontano, l'ultimo singulto di una lotta distante, come se in tempi ben antecedenti avesse discusso animatamente con qualcuno delle parole che mi rivolse pochi istanti dopo: "A volte scordano che sei solo una ragazzina che non sa nulla di questo mondo."
Aprii la bocca per rispondere ma non emisi suono, perchè proprio in quel momento Elizaveta aprì con decisione una porta, facendomi cenno di entrare prima di richiuderla dietro di sè.
Seduta, con calma calcolata, stava una donna dal viso tondo e i lineamenti morbidi.
"Questa donna è Anastasija Vasilevna Gendrikova."
La suddetta inclinò il capo, in quello che interpretai come un tacito saluto più che un gesto di condiscendenza.
"Ha gentilmente accettato di occuparsi della tua approssimativa formazione. Ti farà un riepilogo del tuo albero genealogico e di quello delle principali personaltà di spicco che saranno presenti. E' necessario che tu li impari al più presto, quantomeno prima della festa."
Avevo... tre settimane per apprendere tutto?
Mi infastidiva sapere le cose solo quando ormai erano già state programmate e messe in atto da altri, senza che potessi ribattere nulla. Non che avrei mai pensato di essere in grado di discutere con nessuno, ma mi faceva sentire frustrantemente non ascoltata.

The tsars' Russia: the untold endDove le storie prendono vita. Scoprilo ora