Guardando il cielo al di là di un'alta vetrata al piano terra notai il buio denso e opprimente che annuncia le notti nuvolose. Dirigendomi all'aperto fui investita da un gelo quasi doloroso. Io e Vasilisa tornavamo a casa assieme, solitamente, ma la presa mordace del freddo era troppo intollerabile, quella sera.

"Vasilka non è con te, Katija?" Mi chiese mia madre, venendomi incontro con apprensione.
"No, ma credo sarà qui a breve."
Oltre a Vasilisa avevo un fratello, Aleksandr, di dieci anni, e una sorella di sei, Anastasija. Mio padre era morto prima di sapere che sarebbe venuta al mondo. Tubercolosi.
Il sorriso di Darijana si ammorbidì in un'espressione intenerita.
"Sei così graziosa, Katija."
A sentire mia madre ero dotata di un qualche tipo di bellezza nobile.
Lei si impensierì d'un tratto, come se una nube nera le fosse calata sugli occhi.
"Fra pochi anni sarà il tuo turno, lo sai..."
Mi comparse sulle pupille l'immagine di Georgej assieme a Vasilisa. Non sembravano stare troppo male, assieme. Pareva che nulla fosse particolarmente diverso, per noi. Il pensiero di una vita così indifferente mi fece in ogni caso rabbrividire, ma tentai di non pensarci.
In poco tempo tornò Vasilisa e alle nove di sera stavamo mangiando patate con kvass e cipolle. E, ovviamente, la zuppa di cavolo con la straordinaria aggiunta di panna acida.
La notte mi coricai, avevo i muscoli tanto tesi da fare male.
Non ricordai di essermi addormentata, ma il mio ultimo pensiero fu rivolto al suono regolare dei tacchi bassi della zarina.

Qualcuno mi sta tenendo in braccio. Sembra una bambina. Alza e abbassa ritmicamente il ginocchio, ridendo sottovoce e cantando canzoncine in una lingua che non conosco. D'improvviso mi ritrovo in braccio a qualcun'altro, che con una presa salda sotto le mie ascelle schiva le proteste della bambina e mi sottrae ai suoi tentativi di riavermi con sé.
"Guarda, Ira, sei tu."
Un'altra bambina, quella che mi sta tenendo in braccio e pare un po' piú grande della prima, indica con l'indice lo specchio davanti a sé. Vedo un corpo paffuto di infante vestita con cuffietta e nastrini bianchi. Sono io. A tre anni, forse un po' meno.
"Puoi andare da Lioshka, se vuoi." Propone la maggiore, all'ennesimo capriccio dell'altra.

Mi svegliai irrigidita e madida di sudore. Ciononostante sentii un vuoto al petto richiamando a me il sogno, una strana nostalgia nei confronti di qualcosa che non era accaduto.
Sembrava ancora piena notte ma non riuscii più a dormire. Questa era solitamente una disgrazia per qualcuno che avrebbe avuto un gran daffare per tutta la giornata.

Il freddo non è qualcosa a cui ci si abitua. Permeava nelle ossa e  gelava le articolazioni ogni singolo giorno. Anche Vasilka era immusonita più del solito.
Più si avvicinava il matrimonio, più si intestardiva a voler somigliare a un cielo rannuvolato.
La giornata trascorse strenuamente piano, la noia acuiva la condizione di solitudine nella quale eravamo gettati. Regnava un'aria tesa. A poche persone piaceva lo zar. Mia madre era una fra queste. Sembrava che la nobiltà stesse tentando disperatamente di tenere uniti i tasselli della monarchia, ma senza uno strabiliante successo.

NOTE:

• Katija è il diminutivo di Ekaterina.

• Il kvass è una bevanda fermentata che veniva utilizzata anche per insaporire alimenti come, ad esempio, le patate.

• Ira è il diminutivo di Irina.

• Lioshka è il (uno dei, in realtà) diminutivo di Aleksej.

The tsars' Russia: the untold endDove le storie prendono vita. Scoprilo ora