Prologo

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La sindrome di Stendhal è un'affezione psicosomatica che provoca tachicardia, capogiri, vertigini, confusione e allucinazioni in soggetti messi al cospetto di opere d'arte di straordinaria bellezza, specialmente se sono localizzate in spazi limitati.

Manuel fissava la tela bianca da ormai un'ora, seduto sullo sgabello nello stanza del suo appartamento che aveva adibito a personale laboratorio artistico non appena ci si era trasferito. Spostava continuamente lo sguardo dai colori posizionati sul tavolino di fianco a lui alla tela bianca senza riuscire a trovare ispirazione.

Se lo ripeteva spesso Manuel, ogni qual volta questo accadeva, che non si mette fretta all'arte, ma da un po' di tempo non riusciva a disegnare più nulla. Il suo ultimo lavoro risaliva a un mese prima, e tra l'altro era una riproduzione di un quadro di Van Ghog, quindi nemmeno una sua idea originale. Dipingere non era la sua fonte di guadagno, anzi, era piuttosto geloso delle sue opere, non aveva mai avuto intenzione di venderle, non aveva mai ceduto alla tentazione di guadagnare donando a qualche estraneo il mondo pieno di chiaroscuri che viveva nella sua testa.

Manuel era un insegnante di storia dell'arte, in un liceo artistico di Firenze. Era riuscito a trovare il perfetto equilibrio tra la sua passione e un modo per poter vivere di essa. Si era trasferito a Firenze da due mesi con l'inizio dell'anno scolastico e quando aveva saputo che gli avevano assegnato una cattedra in una città meravigliosa come quella, aveva fatto i salti di gioia, abbracciando sua madre Anita, che era ogni giorno più fiera di lui. Trasferirsi da Roma a Firenze, per un amante dell'arte in tutte le sue forme, era una botta di adrenalina non indifferente, nonostante per Manuel nessuna città è più bella di Roma, però Firenze secondo lui meritava un solido secondo posto.

Era arrivato nel capoluogo fiorentino convinto di poter donare ai suoi ragazzi, attraverso i suoi occhi e la sua innata sensibilità artistica, una lettura molto particolare e attenta della strabiliante arte che abitava quella città; era intenzionato a far capire alle sue classi che l'arte poteva essere raccontata e spiegata in un modo diverso dalle solite noiose lezioni a cui anche lui era stato spesso sottoposto. Annoiare parlando di arte Manuel lo considerava un crimine.

Era altresì convinto che non avrebbe mai perso l'ispirazione trasferendosi a Firenze, che gli sarebbe bastato guardare fuori dalla sua finestra per rinchiudersi poi per ore nel suo laboratorio.

Era il 25 novembre, però, e da due mesi Manuel non riusciva a disegnare più niente di suo.

Frustrato, si alzò dal suo sgabello, deciso a farsi una doccia e a girovagare per il centro per respirare il profumo dell'arte che lo circondava, sperando ancora una volta che Michelangelo, Giotto, Botticelli e via discorrendo potessero in qualche modo insinuarsi fin dentro la sua testa.

Arrivò, quindi, non molto dopo, alla Galleria degli Uffizi, uno dei posti in cui sceglieva di passare del tempo quando desiderava silenzio oppure riconnettersi con sé stesso.

Attraversò l'ampio e imponente ingresso e, facendosi guidare semplicemente dal suo istinto, si diresse nella sala del Cinquecento. Passando per un corridoio non molto lungo, girò poi verso una stanza alla sua destra.

Un piccolo quadro, non più grande di 50 centimetri in totale, attirò la sua attenzione. Quella per Manuel era la terza volta in due mesi agli Uffizi, ma quel quadro, che ben conosceva, non sa perché non si era mai fermato a osservarlo. La stanza in cui si trovava non era molto grande, ma era vuota. Con le mani nelle tasche si mise di fronte al quadro e, come amava fare, lo guardò studiandone ogni dettaglio.

All'interno della cornice, vi era raffigurato un angioletto intento a pizzicare le corde di un liuto con la guancia posata su di esso, il quale tra le sue manine appare esageratamente grande; due piccole ali bianche e rosse spuntano dalle spalle del tenero angioletto.

Sindrome di StendhalDove le storie prendono vita. Scoprilo ora