It's hard to dance with the devil on your back

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Tutto il pranzo di Natale e i successivi due giorni Simone li aveva passati a pensare e a ripensare alla decisione che aveva preso la sera della Vigilia. Parlare con suo padre, sentire cosa avesse da dire. Si era confrontato con sua madre, oltre che con Manuel, ed entrambi gli avevano mostrato enorme supporto. Ciononostante Simone cambiò idea svariate volte durante quei giorni.

Dopo la curiosità era subentrata la paura di ciò che quell'uomo, a lui in fin dei conti sconosciuto, avrebbe potuto dirgli. Condivideva con lui solo parte del dna, alcune foto di famiglia che Simone non ricordava di aver mai scattato, il cognome, l'altezza e i capelli ricci, da ciò che aveva potuto vedere, ma niente di più. Nonostante questo lo chiamava "papà" o "mio padre" quando parlava di lui, segno forse non troppo inconscio che, a differenza di ciò che si era raccontato per tutta la vita, un padre lui lo desiderava eccome.

Gli anni di terapia lo avevano aiutato a gestire i momenti di ansia e di sconforto, la poca fiducia nei confronti di sé stesso e del genere umano, ma dentro di sé sentiva che tutti quei problemi li avrebbe potuti risolvere soltanto parlando con suo padre, provando tirare fuori il rancore in maniera costruttiva, facendolo parlare, nella speranza che questa volta l'uomo non gli avrebbe sbattuto ancora la porta in faccia, infilando così un coltello in ferite che Simone stava solo cercando di ricucire.

Si era deciso, quindi, a recarsi da lui, prima di ritornare a Firenze per Capodanno.

Era un pomeriggio del 28 dicembre, quando suonò di nuovo il campanello di quell'appartamento in cui era stato appena tre mesi prima.

Questa volta ad aprire la porta ci fu Dante che, non appena vide suo figlio, si irrigidì sul posto e spalancò i suoi occhi stanchi, molto simili a quelli di Simone.

"Simone..." sussurò l'uomo con la mano ancora sul pomello della porta "Che - che ci fai qui?" chiese poi

"Voglio parlarti. Posso entrare?" andò dritto al dunque Simone, senza convenevoli

Dante battè le palpebre due o tre volte come per assicurarsi che tutto fosse reale e poi annuì, spostandosi e lasciando entrare suo figlio in casa sua.
Simone si guardò intorno. Quell'appartamento era buio, privo di colori, triste. Non c'erano foto appese al muro, né quadri, niente che facesse intendere che quell'uomo una vita, delle passioni, l'avesse.

"Ti posso offrire qualcosa?" domandò con tono basso Dante

Simone negò col capo continuando a guardarsi intorno

"Siediti pure, se ti va" continuò l'uomo

Simone si sedette lentamente, con fare incerto, su quel divano di pelle rossa, tastandolo poi con le mani, un po' tremava, gli batteva forte il cuore e stava cominciando a sudare. Tirò un lungo respiro quando Dante si sedette alla poltrona di fronte a lui.

"Scusami per essermi presentato sotto casa tua, Simone. Sono stato indelicato ed egoista" disse Dante abbassando istintivamente lo sguardo.

"Credo che siano molte le cose per cui tu debba scusarti con me. L'esserti presentato sotto casa mia è l'ultima della lista, per quanto mi riguarda. Ma non sono venuto qui per litigare. Ho delle cose da chiederti e vorrei che tu fossi sincero con me. Questa è la tua occasione per non essere egoista" affermò Simone con tono deciso, stupendosi da solo del coraggio che stava tirando fuori.

"Puoi chiedermi tutto ciò che vuoi" sorrise lievemente Dante alzando lo sguardo.

"So che non è stata mamma a dirti dove fossi. Voglio sapere chi te l'ha detto. Con chi altro della famiglia sei in contatto? Devo capire perché non esiste una singola persona in questa famiglia, oltre mia madre, che mi vuole bene" iniziò Simone con lo stesso tono deciso con cui aveva parlato poco prima. Si sistemò meglio sul divano mentre continuava a dosare bene il suo respiro.

Sindrome di StendhalDove le storie prendono vita. Scoprilo ora