Simone non era abituato ad essere in attesa di qualcosa di bello. Non era abituato ad avere degli impegni di svago con altre persone, il suo svago era la fotografia e, anche in quell'occasione, girava per città, parchi, montagne, per fotografare paesaggi e mai persone. Era abituato anche ad andare agli Uffizi da solo, gli unici contatti che aveva erano con sua madre ogni tanto durante la settimana e con i suoi colleghi di corso, con cui si limitava comunque a parlare di eventuali progetti in comune.
Per il resto del tempo, Simone, specie negli ultimi anni, si era costruito questa bolla in cui le implicazioni che si portano dietro i rapporti umani non erano contemplate. Era solito rifiutare gli inviti dei suoi compagni di corso, preferiva rimanere a casa per i fatti suoi, era, inoltre, fermamente convinto che questa bolla che si era costruito gli avrebbe impedito di soffrire ancora. L'abbandono di suo padre aveva radicato dentro di sé l'idea che i rapporti umani portassero sofferenze e delusioni, che lui stesso fosse portatore di delusioni, come se avesse con sé un bigliettino da visita in tasca che diceva prima o poi ti stancherai di me, ti risparmio la fatica e vado via prima io. Era questo, insieme a molte altre cose, l'effetto collaterale dell'abbandono privo di notizie e spiegazioni da parte di suo padre.
Eppure Simone non era un ragazzo sgradevole, anzi. Simone era un ragazzo dolce, affettuoso, dotato di uno spiccato senso dell'umorismo, era attento ai dettagli, riservava agli esseri umani che tanto considerava deludenti, quelle piccole attenzioni che si premurava di riservare alle opere che ristrutturava. Era, inoltre, interessato a moltissime cose oltre all'arte. Amava prendersi cura delle piante, leggere poesie, gli piaceva guardare lo sport in tv, gli interessava la politica estera, seguiva con attenzione le battaglie umanitarie di Amnesty, eppure, nonostante questo, sentiva di dover coltivare tutto questo da solo, senza condividerlo con nessuno.
Simone sentiva di avere i suoi bordi rotti in alcuni punti e frastagliati in altri, il contenuto che c'era dentro di lui si riversava per terra quando camminava, i colori che aveva col tempo erano sbiaditi, il rifiuto che rifilava a ogni rapporto umano non lo aveva portato a soffrire, ma peggio, lo aveva portato a spegnere la sua luce.
Tranne in quell'ultima settimana. In quell'ultima settimana Simone aveva accettato ben tre inviti. Il primo per uscire a bere qualcosa con i suoi compagni di corso al JJ, il secondo per andare agli Uffizi, in compagnia di Manuel, il terzo per andare a Siena, sempre in compagnia di Manuel, ma questa volta anche con due sue compagne di corso, Chicca e Luna.
In ordine di tempo, tutto ciò, aveva iniziato ad accadere neanche due settimane prima, dal lunedì mattina in cui Simone aveva incontrato Manuel per caso agli Uffizi, dentro la stanza che conteneva il dipinto dell'angioletto col liuto.
Manuel non lo conosceva affatto, pochissimo, a dir la verità, ma gli occhi buoni e profondi che il ragazzo aveva gli trasmettevano calma e tranquillità. Non si era mai trovato nella situazione in cui qualcuno, semplicemente, gli piace e non sa spiegarsi perché, dunque era confuso, ma quella confusione, per una volta, non lo stava spingendo ad auto sabotarsi.
Simone si era ritrovato, al suo terzo incontro con Manuel, a raccontare a quest'ultimo del trauma lasciatogli da suo padre, della morte di suo fratello Jacopo e dell'esperienza a Roma nel cercare colui che lo aveva messo al mondo e poi abbandonato. E poteva giurare di non aver visto pietà negli occhi di Manuel, bensì ammirazione? Stupore?
Manuel lo ammirava davvero?
Sei la persona più coraggiosa che conosca, Simo gli aveva detto.
Tutta quella umanità ed empatia Simone non l'aveva mai avvertita con nessuno. È anche vero che non aveva mai dato modo a nessuno di guardargli dentro, ma era anche vero che con nessuno aveva mai avvertito il senso di familiarità che gli aveva trasmesso lo sguardo di Manuel, quel giorno agli Uffizi.
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Sindrome di Stendhal
Teen FictionLa sindrome di Stendhal è un'affezione psicosomatica che provoca tachicardia, capogiri, vertigini, confusione e allucinazioni in soggetti messi al cospetto di opere d'arte di straordinaria bellezza, specialmente se sono localizzate in spazi limitati...