Capitolo 11

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La sera stessa Draco decise di non presentarsi a tavola per cenare con tutti gli altri: la voglia di contrattaccare Potter, la stanchezza e la presenza di Hermione lo convinsero a rimanere sul suo letto provvisorio.
Era particolarmente turbato, tutto il giorno era rimasto a pensare poiché gli altri tra riposi e chiacchierate ripassavano il piano per entrare alla Gringott, e lui credeva che non lo volessero intorno in momenti così.
Era arrivato a una conclusione su molte cose.
Si sentiva ancora terribilmente fuori posto, dentro quella casa: vedeva come c'era intesa tra di loro, sentimento, fiducia, amicizia. Tutto ciò gli fece pensare ancora di più al fatto che lui, al contrario, non aveva mai avuto qualcuno di così speciale e stretto su cui poter contare; forse Narcissa era stata l'unica ad averlo rialzato ogni volta che cadeva, ma dopo il suo tradimento credeva che ormai avesse perso anche l'unica e l'ultima cosa bella che aveva.
Era come suo solito fare, più aveva una meraviglia nella vita - e non che ne avesse così tante - più riusciva ad allontanarla, toglierla completamente dalla sua vita.
Così decise di fare la stessa cosa con Hermione: lei cominciava a diventare qualcosa di simile alla madre, e pensando e ripensando cominciò a credere di non averne il diritto di averla, di non meritarla.
Era così stupido e ridicolo, si autodistruggeva per cosa? Per ciò che pensava di non meritare, dopo tutta la vita passata dietro l'ombra degli altri, cambiando di continuo facciata della medaglia, in bilico tra valori, ciò che credeva il giusto, e la sua famiglia, che erano così distanti tra di loro provocando ogni volta dolore e risentimento quando tradiva una delle due per affidarsi all'altra.
Forse era anche per questo motivo che non avrebbe voluto farla sua, Hermione: quello era il reale motivo, si rese conto.
Lei era tutto ciò che non poteva essere toccato, sfiorato, rovinato da uno come lui: si sentiva come una lumaca pronta a mangiarsi i petali della rosa più rossa e profumata, perché quello lei era, era pura, saggia, delicata, valorosa, e lui l'avrebbe solo rovinata, spezzata, rotta.
Era così frustrante realizzare il fatto di non poter e ne essere in grado di guadagnare una vita come tutte le altre, come quella delle persone appena sotto il pavimento in cui stava: c'era sofferenza, c'era morte, dolore, ma dall'altra parte c'era la forza, l'animo, il cuore, e tutto questo a lui mancava.
Da quando il signore Oscuro mise piede dentro il Malfoy Manor, capì di dover iniziare a contare solo su se stesso, di non fidarsi, di chiudersi: fidarsi e aprirsi con sua madre lo aveva solamente portato ad essere uno stupido seguace della morte vivente, e del padre ne aveva perso il rispetto da molto tempo, da quando lo vedeva comportarsi con lui in una maniera totalmente differente da come gli altri facevano con i propri figli: mentre loro riuscivano a fargli crescere il sorriso, Lucius ogni volta glielo toglieva dal viso.
Solo qualche anno più in là avrebbe capito che la sua infanzia era sempre stata grigia a causa della sua figura meschina e violenta.
Per questo si autodistruggeva, forse era anche lui il problema, essere nato così in un ambiente totalmente sbagliato per com'era fatto: perché gli altri ragazzi della sua casata riuscivano a rispettare la "purezza" di quegli ideali, e lui no? Li aveva visti alcuni al combattimento a casa di Andromeda, dei ragazzi che riconobbe essere studenti Serpeverde del suo anno, che ancora erano da quella parte.
Lui però agiva diversamente, d'impulso, senza contare delle conseguenze.

Perciò nei giorni seguenti cercò di evitare almeno lei, Hermione. Si era accorto di aver sbagliato, sia a farla credere che di uno come lui ci si potesse fidare, ci si potesse passare del tempo, sia ad essersi aperto anche in quelle piccole accortezze.
La mattina si svegliava, scendeva a fare colazione in silenzio insieme agli altri, cercando in qualche modo di prendersi sempre il posto il più lontano possibile da Hermione, e non la guardava mai, non le mostrava interesse, e non cercava neanche un minimo contatto, che sia solo una sguardo, o uno sfioramento di mani per prendere il cibo al centro del tavolo.
Negli altri pasti succedeva la stessa cosa; mangiava concentrandosi sempre su un punto preciso della stanza; se aveva bisogno di prender parte nelle loro conversazioni, lo faceva, ma il più distaccato possibile da quello che aveva detto Hermione in precedenza, e il più lontano possibile da quello alla quale potrebbe rispondergli.
Durante la giornata invece cercava sempre di evitarla, di evitare gli spazi della casa che lei frequentava di più: il salottino dove c'erano i divanetti, il bagno al piano delle loro stanze e la cucina, l'unico posto in cui poteva - o si era imposto di poter - stare era camera sua, sempre chiusa a chiave quando la abitava, e la sala da pranzo, seduto sulle scomode e scricchiolanti sedie di legno.
Si sentiva ridicolo da una parte: che diamine stava facendo pur di non doverle parlare.
E quando gli capitava di incrociarla, quelle poche volte dato che era molto bravo a evitarla, velocizzava il passo guardando dritto, facendo finto di non aver fatto caso alla sua presenza, nonostante sentisse benissimo il suo sguardo perforargli il corpo.
Quando poi si ritrovava la sera sdraiato sul letto a pensare, si chiedeva cosa lei pensasse di quel suo atteggiamento, prima desideroso e poi distaccato, fin troppo. Era arrivato alla consapevolezza di starle facendo del male, perché lo percepiva da quegli sguardi che gli lanciava, percepiva quelle domande senza risposta e quella delusione.
Ma cosa ci poteva fare: pensò che fosse meglio farla soffrire per qualche giorno a causa del suo atteggiamento, che per la sua intera esistenza a causa dello schifo di persona che lui era.

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 28 ⏰

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