5- BELLE

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La mia compagna di stanza aveva un aspetto curioso. Ciò che mi colpì subito di lei fu l'enorme quantità di metallo che aveva addosso. Doveva essere un'amante del metal e grande amica del punk. Jodie era di poco più alta di me ma grazie agli anfibi con il plateau più enorme che avessi mai visto sembrava un gigante. Era magrolina e il suo viso era truccato in modo pesante, molto di più di quanto fosse necessario, a mio avviso. Tutto sommato era una ragazza originale e il sorriso che mi aveva riservato quando ero entrata in camera mi aveva fatto ritornare il buon umore. Almeno lì, tra quelle quattro mura, c'era una persona davvero contenta della mia presenza.

«Ehm sì, sono Belle. È un piacere conoscerti.»

«È un piacere anche per me! Sono stata in ansia tutto il tempo, non vedevo l'ora di scoprire di fosse la mia compagna di stanza!»

Avrei scoperto in seguito che Jodie era una persona, a differenza di quello che poteva sembrare dal suo aspetto, solare e allegra e soprattutto dall'animo buono e gentile.

«Vieni, Belle, questo è il tuo letto, l'armadio, la scrivania, insomma la tua parte della camera. Il bagno è dietro quella porta lì e per quello che riguarda me posso assicurarti che la notte non russo.» scherzò e io mi ritrovai a sorridere.

Mi avvicinai all'armadio e aprendo una delle ante lo scoprii pieno delle mie cose. Le valigie erano arrivate e ora non mi restava altro da fare se non disfarle. Mi annoiava parecchio farlo ma tanto valeva levarsi subito il pensiero.

«Wow, hai parecchia roba lì dentro, Belle.»

Non potei darle torto. Aveva ragione, mi ero portata dietro quasi tutto il mio guardaroba tra quello invernale ed estivo ma era stato più forte di me farlo e poi non avendo mai viaggiato e non sapendo che cosa aspettarmi non avevo saputo fare una scelta e nel dubbio avevo messo quante più cose potessi in valigia.

«Almeno non sei una da rosa confetto. Sarebbe stato troppo per me.»

Scommettevo che il suo colore preferito fosse il nero e che se non fosse stato per l'obbligo di indossare la divisa a lezione era proprio così che si sarebbe vestita lei di sana pianta. Anche a me piaceva il nero, a dover essere onesti, ma avevo un incarnato troppo chiaro e indossarlo mi faceva sembrare più cadaverica di quanto non sembrassi già.

«Odio il rosa. E pure i confetti.» ammisi un secondo prima di vederla scoppiare a ridere.

«Sono sicura che andremo molto d'accordo io e te.»

«Lo spero proprio!»

«Ehi, ti va di scendere al bar? Puoi sistemarti con calma anche dopo.»

L'idea mi allettava parecchio, merito o colpa del fatto che fossi parecchio pigra che quindi l'idea di sistemarmi non mi allettava più di tanto.

«Ok, andiamo.»

Seguii Jodie fuori dalla camera che la osservai orientarsi piuttosto bene tra quei corridoi, scalinate, e cortili. Mi confessò che era arrivata da qualche ora e che aveva fatto più di un giro in attesa di vedermi arrivare.

La caffetteria del campus era affollata di gente. Tutti studenti, tutti rigorosamente in divisa e tutti palesemente a loro agio.

Io e Jodie ci sistemammo in uno dei pochi tavoli rimasti liberi e lei si mosse verso il bancone a ordinare per entrambe.

Nell'attesa mi guardai un po' in giro. Quella sarebbe stata la mia nuova casa per i successivi quattro anni e non avevo ancora capito se la cosa mi entusiasmava o mi faceva venire voglia di vomitare.

Fino a prima di incontrare Peter ero eccitata all'idea di cominciare quell'avventura, adesso non ne ero più molto convinta.

«Ecco a te.»

Afferrai la tazza in ceramica antica togliendola dalle mani della mia compagnia di stanza.

L'odore del caffè mi diede la giusta scossa.

«Mm... è buono.»

Cominciammo a parlare del più e del meno e in pochi minuti scoprii un sacco di cose su Jodie. Era di Liverpool e suo padre era un pezzo grosso delle banche mentre sua madre un'ex reginetta di bellezza. Ammise con candore assoluto che per via del tormento che quest'ultima le ha dato fin da quando era bambina, a quindici anni aveva cominciato a vestirsi da punk e ad ascoltare musica che la sua genitrice non approva solo per il gusto di farle saltare i nervi e farle passare la voglia di trascinarla a ogni evento possibile esibendola come una bambola.

Alla fine si era ritrovata a scoprire una nuova versione di sé stessa e aveva preso ad amare il punk e il rock più di quanto avesse mai amato altro.

Anch'io le parlai un po' di me. Cercai di non entrare molto nel dettaglio anche perché non mi piaceva aprirmi. Non era per mancanza di fiducia più che altro per una questione di riservatezza. Sì, io ero parecchio riservata. Ero il tipo di persona che ascoltava tanto gli altri ma che parlava molto poco di sé.

«Io sono così emozionata all'idea di frequentare questa università, non vedo l'ora che arrivi domani.» esclamò con sempre più enfasi nella voce «A proposito di domani: tu quali corsi frequenti?»

Smisi di ascoltarla e non del tutto volontariamente perché i miei occhi si incastrarono in un altro paio di iridi che mi lasciarono senza fiato. Così profonde, mi trasmettevano l'energia di una marea in tempesta. Ma non fu quello il particolare che mi colpì. No, gli occhi del ragazzo che mi stava fissando erano di due colori diversi. Uno era come il ghiaccio, come il candore della neve, l'altro era scuro, era pura tenebra e buio.

Mi sentii rimescolare le viscere e nonostante quel contatto visivo durò giusto un paio di secondi, mi resi conto in fretta che mi aveva sconvolta e lasciata senza fiato.

«Belle? Belle, mi stai ascoltando?»

No, avevo smesso completamente di farlo e non avevo idea di quello che Jodie mi avesse detto.

Seppur a fatica, come se fossi sotto un incantesimo, distolsi lo sguardo e tornai a dedicarmi alla mia nuova e fresca amica.

«Ehm...scusami, mi sono distratta un attimo. Dicevi?»

«Ti ho chiesto che a che corsi ti sei iscritta?»

«Ah, i corsi, certo certo, io...» e tornammo a parlare ma dentro di me, nella mia testa, c'era ancora il ricordo troppo vivo di due occhi rari, anzi molto di più, unici, e della sensazione che mi avevano lasciato addosso e che non accennava a diminuire.


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