4. Scrupoli

19 1 0
                                    

Eva rientrò in classe e si sedette al suo solito posto rasomuro.
Cercò di concentrarsi sulla lezione pur di non pensare a nulla. Mentre la professoressa di lettere spiegava, si portò involontariamente la mano al collo, grattandosi con i polpastrelli dove Lavinia aveva appoggiato il suo viso.
Ripensò a quello che era successo e il suo corpo fu percorso da un brivido.

***

Anche Lavinia era in classe, parlottava e scherzava e rideva con la sua compagna di banco.
Alla fine dell'ora, come gli altri si alzò e andò a chiacchierare con gli altri amici della sua classe.
Era seduta sulle gambe di uno dei ragazzi, assieme ad altri parlottavano di una interrogazione programmata per la settimana prossima, quando dalla porta della classe sbucò il viso di Matteo.
Gli occhi di Lavinia luccicarono. Matteo era, per lei, come un fratello maggiore, e anche se aveva solo un anno in più di lei, era il suo punto di riferimento.
Lavinia diede un bacino sulla guancia al ragazzo su cui era seduta, poi scappò via verso la porta.
Lei e Matteo si salutarono e fecero due passi nel corridoio, poi si appartarono vicino ad una finestra.
«Matteo, ho bisogno di un consiglio».
Lui la guardò facendo guizzare gli occhi. «Cosa c'è, Lavinia?»
«C'è una persona che mi piace, ma non riesco a capire cosa prova per me e se sto facendo bene a fare quello che faccio ».
«Che vuoi dire, Lav?»
«...Ho paura di aver esagerato, di averla messa a disagio»
Matteo guardò "la sua piccolina". Lo legava a lei un affetto realmente fraterno, ed era contento di vedere che si faceva degli scrupoli riguardo ai sentimenti altrui.
«Forse potresti provare a passare del tempo con questa persona... Senza metterle troppe pressioni».
Lavinia si morse il labbro inferiore.
«È che... Quando sono con quella persona... Non riesco a trattenermi. Vorrei fare ciò che desidero e basta. Ma è una persona troppo chiusa. Non riesco a capirla».
«Hai più paura di farle male o di non piacerle?»
«...»
Lavinia si rabbuiò, ma solo uno come Matteo avrebbe potuto cogliere il suo stato d'animo dietro la sua solita apparenza raggiante.
«Stai tranquilla, Lavinia. Lo sai che io non ti giudico. A me puoi dire tutto».
«Ma lo so!» sorrise la ragazza.
«Fatico a ragionare su queste cose per conto mio. Parlare con te mi aiuta sempre a capire meglio cosa mi passa per la testa...»
«È giusto così. Tu sei pura vitalità, puro istinto. Non puoi fermarti a pensare troppo. Sei tutta azione!».
Matteo rise, e anche Lavinia; ma dietro a quel riso la amareggiava la consapevolezza che forse non sarebbe mai riuscita a comportarsi diversamente. Ad essere anche un po' pensiero, e non solo azione.
Ma aveva ragione Matteo, che la conosceva bene. Non era da lei fermarsi a pensare, non le veniva, proprio non le riusciva. Si sforzò, si chiese se avesse mai provato ad immedesimarsi in Eva, se si era mai chiesta cosa provasse, al di là di ciò che interessava a lei, Lavinia.
Ma quell'abbozzo di pensiero volò via come delle rondini che inseguono insetti nel cielo rosso della sera, quando entrò in classe e già parlava e scherzava con altre amiche, altri amici.
Matteo la guardò rientrare scuotendo la testa, sorrise e poi anche lui si avviò verso la sua sezione.

***

«Eva»
Lavinia la chiamò, sorridente.
«Eva, hai lasciato la felpa a casa mia l'altro giorno...»
Eva si girò verso di lei e la guardò sbigottita, come se non sapesse di cosa stesse parlando.
«...Non ti eri accorta?»
Eva le rivolse uno sguardo che era un misto di imbarazzo e di aria svagata, come se volesse dissimulare sia il fatto di non essersi nemmeno resa conto di aver dimenticato la felpa da lei, sia l'imbarazzo che in realtà provava per averlo fatto.
Lavinia trattenne a stento una risatina, Eva era così tenera! Avrebbe voluto stringerla fra le braccia e stamparle un bacio... Come faceva con tanta naturalezza con i suoi amici e con le sue amiche.
Ripensò alla sua chiaccherata con Matteo e si sforzò di avere un atteggiamento diverso:
«Preferisci che te la riporti a scuola o...»
«Va bene» disse Eva con il suo solito tono brusco «Ehm, mi spiace... Se ti va...»
Stava per chiederle di portargliela a scuola, ma poi le sembrò già di darle un'incombenza troppo grande.
«Boh, se vuoi ti accompagno a casa e...» voleva dire: "se vuoi ti accompagno a casa e me la porti giù", ma non le sembrava plausibile dare un simile incomodo a qualcuno.
«Certo!» disse Lavinia «Passa da me, ti porto la felpa giù».
Forse nemmeno a Matteo avrebbe confidato che dormiva con la felpa di Eva tutte le sere, che l'aveva indossata immaginando che fosse Eva ad avvolgerla; del resto erano fatti suoi, di cui godeva per conto suo, e che non sentiva il bisogno di confessare a nessuno.
Per quello che la riguardava, quello che accadeva fra lei e l'odore della felpa di Eva erano affari suoi.
Le sarebbe piaciuto poterla tenere con sé, ma non avrebbe mai tenuto una cosa non sua, specie poi perché vedeva Eva sempre con gli stessi vestiti, immaginò che ne avesse pochi e che tenere una sua felpa sarebbe stato ancora più scorretto di quanto già lo sarebbe stato normalmente.
E poi, almeno aveva un'occasione per poterle parlare quel giorno stesso. Fare un pezzo di strada con lei. E forse sarebbe riuscita a portarla a casa sua...
Le vennero alla mente le parole di Matteo. Voleva che si chiedesse se si stava comportando in maniera egoista?
Cosa conosceva di Eva, in fondo? Cosa la legava a lei se non la profonda attrazione che sentiva di avere nei suoi confronti? Forse si pentì di essersi confidata con lui quella mattina.
Perché pensare a queste cose inutili? A che serviva?
“Eri solo preoccupata di rispettarla” le sembrò di sentire Matteo che con la sua voce dolce la pungolava, cercando di aiutarla a riflettere.
Il pullman arrivò, Lavinia era come al solito circondata dalle sue amiche, salì assieme a loro e si sedettero tutte; salì anche Eva, che si attaccò ad una sbarra al centro della vettura.
Lavinia era seduta sulle ginocchia di una delle sue amiche, erano tutte al fondo del bus che ridevano e facevano baccano. Eva la teneva d'occhio, perché non si ricordava la fermata a cui sarebbero dovute scendere.
Quella scena la metteva a disagio, ma pazienza. Del resto erano tante le cose che la mettevano a disagio. Si sforzò di non pensarci.
Dopo diverso tempo e diverse fermate, le amiche di Lavinia erano scese quasi tutte. Salutò le poche rimaste e si avviò verso Eva.
«Fra poche fermate dobbiamo scendere» le disse, investendola con il suo solito sorriso.
Eva annuì.
Il pullman si era quasi svuotato. Eva si lasciò andare pigramente su una delle sedie. Pensava a quelle amiche di lei. Si sarebbe mai seduta anche sulle sue gambe? Scosse impercettibilmente la testa. Lavinia le si avvicinò.
«Sei stanca? Tranquilla, fra poco scendiamo».
Eva annuì ancora con un mugugno.
Di lì a poco arrivarono alla fermata di Lavinia, scesero e si incamminarono verso casa sua.
Lavinia cominciò a parlare della giornata appena trascorsa, delle ore di educazione fisica passate insieme, le chiese se si fosse divertita durante il torneo di pallavolo. Eva rispondeva poco, a monosillabi, per non dire a grugniti. Forse sta pensando a quando l'ho seguita nello spogliatoio? Si chiese Lavinia.
O a quando mi sono appoggiata a lei durante l'intervallo?
È imbarazzata, per questo mi risponde a fatica?
Niente, Lavinia non sapeva come fare. Si rese conto che se anche fosse riuscita a portarla a casa sua, la situazione sarebbe solo peggiorata, e l'imbarazzo di Eva sarebbe soltanto aumentato esponenzialmente.
Le chiese di aspettarla sotto casa, che le avrebbe portato la felpa.
Lavinia salì in casa, prese la felpa –respirandone l'odore per l'ultima volta– la infilò in una busta, prese due panierini al volo e uscì di nuovo.
Mentre scendeva, immaginava che non l'avrebbe trovata più lì, e che fosse andata via. Invece stava lì, con le mani nelle tasche ad aspettarla.
«Ecco la tua felpa, Eva».
Eva allungò goffamente la mano per prenderla.
«Ti va di andare qui ad un parchetto vicino a casa mia a mangiare qualcosa?» disse ancora Lavinia «Ci sono i tavoli di legno là al giardino, possiamo sederci lì».
Eva sembrava sollevata all'idea di non dover salire su a casa ma di potere stare in un luogo maggiormente neutro.
Si incamminarono allora verso il parchetto.
Una volta lì, Eva si accese subito una sigaretta, senza toccare il cibo.
Lavinia non amava mangiare con l'odore di sigaretta che aleggiava nell'aria, e a parte quello, in quel momento non aveva molto appetito.
Stettero un po' in silenzio mentre Eva fumava.
Eva non sembrava turbata dai silenzi. Lavinia se lo chiese, avrebbe tanto voluto sapere cosa le passava per la testa... Si sentiva più a suo agio nel silenzio? O stava ancora peggio ma lo mascherava bene?
«Ti piace qui?» le chiese.
Eva sbuffò via un po' di fumo.
«Sì», rispose.
«Oggi ti ho detto che mi piaci
perché...
Perché è vero. Mi piaci. Mi sento attratta da te.
Però...
Però, vorrei sapere cosa pensi tu. Cosa pensi di tutto quello che ti ho detto, cosa pensi di me».
«Beh... Anche tu...»
Pausa.
«Anche io... Cosa?
Silenzio.
Dimmi, Eva, sentiti libera di parlare liberamente...» la incoraggiò Lavinia.
Ma Eva prima si era interrotta perché stava per dire "anche tu sei una bella ragazza", che non c'entrava niente né con ciò che pensava, né con ciò che avrebbe voluto dire, né con la realtà (dire "anche tu" avrebbe presupposto considerarsi implicitamente bella a propria volta, e non era il caso di Eva, comunque).
E che cos'era ciò che realmente voleva dire? Voleva dirle "anche tu... mi piaci"?
No, perché Eva non si sarebbe mai posta sullo stesso piano.
Ciò che Eva pensava è che si sentiva inferiore a Lavinia, in tutto e per tutto, e per questo faticava a processare questa situazione per lei completamente assurda e inaspettata.
Piacere a Lavinia in qualche modo scombussolava tutte le convinzioni che aveva su sé stessa, che comunque erano ben radicate, e quindi non si fidava. Aveva una buona considerazione di Lavinia come essere umano, ma non pensava che il suo interesse per lei avesse radici solide. Si aspettava che uno di quei giorni sarebbe passato, così come era venuto. Che fosse solo un capriccio, una strana fissa del momento.
E forse Eva in un angolo del suo cervello pensava che
sarebbe bastato aspettare un po', fino al momento in cui le sarebbe passato.
Eppure Lavinia, da che si erano incrociate, era sempre stata gentile e sorridente con lei. ”Come è con tutti”, si poteva ribattere.
E allora? Ad Eva sarebbe andato bene anche così. Una gentile cordialità, essere trattata in maniera sorridente e gentile da lei. Tutto quello che stava accadendo ora, per lei era anche troppo.
Eva indicò timidamente uno dei panierini, come a chiedere se poteva mangiare. Lavinia spalancò gli occhi come per dire "eccome!" e tirò fuori da una busta tutto il corredino di tovagliette, posatine e tovaglioli.
Guardare Eva mangiare così di gusto il suo cibo la riempiva di contentezza e di soddisfazione. Mangiava anche lei, con un sorriso che le si allargava da un orecchio all'altro.
Poi, Eva disse che doveva andare.
Lavinia allora le porse la busta entro cui aveva messo la sua felpa. Eva fece per prendere su solo la felpa, ma Lavinia insistette affinché tenesse anche la busta, per portarla a casa.
Ad Eva impacciava avere buste per le mani. Ma Lavinia ci teneva che avesse a casa qualcosa di suo... Sempre se non l'avesse buttata via a casa o appena girato l'angolo. Sorrise fra sé e sé, pensando che Eva si sarebbe disfatta di quella borsa come niente fosse, mentre lei le stava dando tutto quel significato.
Si salutarono senza un contatto fisico e poi Eva si incamminò da sola verso la fermata del pullman.

LaviniaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora