Ricominciare a pubblicare questa storia da zero non è stato facile, ma vi ringrazio dal più profondo del mio cuore per il costante supporto che mi dimostrate. 🤍
Vi chiedo di lasciare una stellina e un piccolo commento se vi va! È un piccolissimo gesto che aiuterà a far conoscere e amare la storia di Olimpia e Adelwin 🙏
E ora... avete preparato le valigie? Parigi vi attende 💌
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Il viaggio era trascorso nel più rigoroso silenzio, da quando era passato a prendermi con la sua jeep alle sette del mattino, fino a quando eravamo atterrati all'aeroporto di Cherles de Gaulle.
L'unica interruzione era stata l'inaspettata accortezza nel chiedermi se preferissi il posto dalla parte del finestrino. Avevo risposto in maniera affermativa perché mi era sembrato che a lui non facesse alcuna differenza, infatti aveva passato quell'ora e mezza a sfogliare il giornale nel suo Ipad nero.
Una volta arrivati mi ero preoccupata solamente di non rimanere indietro seguendo la sua figura come un'ombra. Era apparso chiaro da subito come Adelwin fosse un habitué in quella città. I suoi occhi continuavano ad essere fissi sullo smartphone mentre organizzava l'agenda o rileggeva appunti riguardanti la compravendita di quel pomeriggio. Ignorava completamente una delle città più famose al mondo scorrerci davanti durante il tragitto che il taxi stava compiendo verso l'albergo.
I colori di Parigi mi travolsero. Si trattava della città della moda e non potei fare a meno di notarlo nei differenti stili di tutte le persone che la stavano popolando. Era semplice riconoscere i semplici turisti, con tutti i nasi rivolti all'insù, intenti ad osservare ogni più piccolo dettaglio, rispetto ai classici abitanti della città che camminavano tranquilli, alcuni di loro persino scocciati nel dover fare qualche slalom pur di evitare dei curiosi sbadati.
Le strade erano un trionfo di Pâtisserie e Boulangerie, dalle dimensioni e colori così differenti da farmi desiderare di entrare in ognuna di esse.
Mi scappò un sorriso quando notai un uomo di una certa età intento a slegare una vecchia bici con una baguette sotto il braccio. Un vero e proprio cliché, ma fu comunque una delle scene più adorabili che vidi.
Quando il taxi si fermò e fu il turno di scendere, per poco non mi trovai a sbarrare gli occhi per l'enorme emozione.
Il Grand Hôtel du Paris esibiva la sua bellezza senza tempo davanti a noi, totalmente consapevole di essere un vero sogno ad occhi aperti. L'entrata era sproporzionata, messa in risalto da una cornice elaborata in ferro battuto e verniciato di nero in aperto contrasto con il beige della facciata. Ai lati erano posti due grandi lampade da esterno dalla forma di un antico lampione e un arco di piante rampicanti verdi rendeva il tutto ancora più magico.
«È di tuo gradimento?» Sentii la voce di Adelwin per la seconda volta in quella giornata.
Mi limitai ad annuire cercando di contenere il sorriso che aveva preso ad illuminare il mio viso da quando eravamo atterrati.
Bürk era quasi stabile a Parigi e spesso mi aveva invitato a raggiungerlo, purtroppo per via degli impegni scolastici non ero mai riuscita a dare seguito a quella richiesta e in quel momento me ne pentii amaramente.
Parigi aveva già conquistato il mio cuore, d'altronde era conosciuta come la città dell'amore. Ed il fatto che fossi lì con Adelwin...
Percorremmo il sentiero con le lastre in pietra fino a varcare quella soglia. La meraviglia iniziò a far luccicare i miei occhi come una bambina che entra per la prima volta in un negozio di caramelle.
L'eleganza di quel luogo, il fascino dell'antico conservato con attenzione e un'infinita cura, tutto sembrava voler far trasparire ricchezza sicuramente, ma soprattutto buon gusto.
Il concierge, un signore anziano con un sorriso davvero gentile, si accertò di prendere le valigie dalle mani di Adelwin e di portarle nelle nostre rispettive camere. Il mio capo si accertò che la receptionist, una donna di mezza età indubbiamente ammaliata dal suo fascino dato l'enorme sorriso riservatogli, avesse tutti i documenti utili alla registrazione prima di salire al secondo piano di quell'edificio che dava su una delle vie più centrali di Parigi.
Proprio per quel motivo non mi sarei mai aspettata un giardino interno di quelle dimensioni. Dalla finestra della mia camera potevo affacciarmi alla tipica distesa verde francese. Si trattava di un piccolo labirinto basso con al centro una modesta fontana rotonda, abbellita da una statua rappresentante una ninfa coperta da un velo intenta a sporgersi sul lato destro, accerchiata da un roseto di rose bianche.
«Che meraviglia», sussurrai fra me e me con un sorriso sempre più grande sul volto.
«Olimpia».
La sua voce mi richiamò alla realtà e quando mi voltai nella sua direzione, notai come non si fosse sporto oltre la soglia della mia camera.
«L'appuntamento è alle due di questo pomeriggio», disse con un tono estremamente professionale. «Ho bisogno di rivedere le ultime cose e poi penso che salterò il pranzo. Preferisco essere lucido».
«D'accordo», mi limitai a dire davanti a quella serietà un po' inaspettata.
Immaginavo che quello non sarebbe stato un viaggio di piacere dato il lavoro e soprattutto la sceneggiata alla quale mi ero lasciata andare qualche sera prima, ma una parte di me sperava che proprio quella potesse essere l'occasione per chiarire le cose.
«Tu sei libera», disse infine. «Ci vediamo al Louvre all'ora dell'incontro».
Non aspettò una mia risposta, si limitò a sparire dalla mia visuale prima che sentissi la serratura della camera accanto scattare.
«D'accordo», ripetei ad alta voce cercando di pensare cosa fosse meglio fare. L'orologio al polso indicava le undici.
Non avendo così tanto tempo a disposizione, decisi di ignorare il richiamo di quel grande – e probabilmente molto comodo – letto a baldacchino. Mi concessi una doccia veloce, stirai i capelli con la piastra da viaggio che avevo fortunatamente messo in valigia e indossai un pantalone nero elegante a palazzo con un maglioncino celeste.
Nella borsa nera, coordinata al chiodo in pelle e agli stivali bassi del medesimo colore, infilai la cartellina con tutti i documenti che mi sarebbero potuti tornare utili. Intrappolai i ciuffi ribelli che continuavano a cadermi sulla fronte con il mio paio preferito di Ray-Ban e mi tuffai nella folla parigina.
Fu semplice trovare l'entrata del museo più famoso al mondo data la centralità dell'albergo. Saltai la fila grazie al badge della Winter Corporation che Adelwin mi aveva fornito insieme ai documenti ed entrai a grandi passi con l'emozione che continuava a stravolgere i battiti del mio cuore.
Nel momento in cui varcai l'entrata, qualsiasi pensiero logico abbandonò la mia mente ed iniziai un viaggio alla scoperta di tutte le opere che, fino ad allora, avevo avuto modo di conoscere solamente grazie ai libri d'arte.
La prima ala che visitai fu quella della civiltà egiziana, una scelta sicuramente dettata dalla curiosità e dall'ammirazione verso quella capacità di mantenere vivo un concetto così astratto come l'immortalità.
Passeggiai tra alcune delle più grandi opere Greche, Etrusche, Romane, trattenendomi un po' più del dovuto davanti alla Venere di Milo, ammirandone l'indiscussa bellezza.
Totalmente persa nei dipinti rinascimentali, vagai fino alla sala dove il rumore dei tacchi ai miei piedi cessò davanti alla mia opera preferita in assoluto.
Nessun libro d'arte, nessuna descrizione accurata, ma soprattutto nessuna immagine avrebbe mai potuto rendere giustizia a tanta meraviglia.
Il cuore iniziò a battere forte nel petto mentre i miei occhi presero ad accarezzare quei canoni estetici d'altri tempi. Nell'atto prima del bacio, Amore abbraccia Psiche come se fosse l'unica persona alla quale potersi ancorare e lei lo ricambia allungandosi verso di lui, scoprendo i fianchi prosperosi e allo stesso tempo delicati. Ogni linea, ogni curva, ogni dettaglio era stato scolpito con una precisione, con una passione che rendevano quell'opera leggendaria.
Era incredibile come due corpi riuscissero ad esprimere una geometria accurata pronta a raggiungere l'apice nella sua tensione emotiva che si percepiva solo dall'inclinazione dei loro visi, dei loro sguardi, delle loro labbra.
«Perché forte come la morte è l'amore, tenace come gli inferi la passione».
Sussultai appena quando quel timbro caldo si fece spazio fra i miei pensieri e nel momento in cui mi voltai verso di lui, il cuore fece una capriola per tanta bellezza.
Trovai i suoi occhi già intenti ad osservarmi. La luce proveniente dalla finestra illuminava le sue iridi, donando nuove sfaccettature a quell'azzurro ghiaccio. Incredibilmente elegante e professionale, il completo scuro metteva in risalto il fisico statuario. I capelli erano perfettamente pettinati e i lineamenti del suo viso sembravano rilassati nonostante l'occasione importante.
«Perdonami», disse davanti al mio silenzio. «Non volevo interrompere la tua visita».
Lo sguardo di Adelwin si diresse verso la statua mentre i miei occhi si concessero di ammirare qualche secondo in più la nuova opera d'arte apparsa accanto a me.
«Ho sempre trovato affascinante l'arte», ammisi in un sussurro, abbassando lo sguardo, quasi provando un'irrazionale paura. In quelle ore ero stata completamente assorta da tutte quelle correnti artistiche, dagli stili, dalle tecniche, dai differenti sentimenti che le opere scaturivano in me.
«Lo so», replicò con una serietà disarmante prima di concedermi nuovamente tutta la sua attenzione. «Ricordo bene come ti piacesse disegnare».
Battito. Balzo. Battito.
«In realtà mi sono sempre chiesto come tu abbia fatto a stare lontano da queste opere tanto a lungo».
La sua voce accarezzò i miei pensieri, mentre mi accorgevo, per la prima volta, di come i suoi occhi riuscissero a vedere la mia anima.
Un calore familiare iniziò a propagarsi dal centro del mio petto, raggiungendo il mio viso che all'improvviso sembrò essere stato esposto alle ore più calde di una giornata estiva.
«Perdonami», ripeté per la seconda volta. «Non volevo metterti in imbarazzo in alcun modo. Sono semplicemente cose che io ho notato negli anni». L'angolo destro delle sue labbra si alzò appena, troppo poco per un sorriso, ma troppo per mascherare la sua solita indifferenza.
Per una manciata di secondi, i nostri sguardi rimasero sospesi nel limbo di tutte quelle verità che nessuno di noi due era pronto a raccontare.
«Trovo affascinante come la mano umana possa aver creato un'opera tanto realistica», dissi cercando di ignorare la felicità che stava crescendo nel petto. «La bellezza complessiva è quasi scontata se si osserva con obiettività, ma la loro posizione, la geometria celata da tutti quei minuziosi dettagli, la composizione finale che esprime dei sentimenti così reali seppur raccontati tramite marmo freddo come il ghiaccio e...» M'interruppi sentendo i suoi occhi osservare me e non la statua di cui stavo parlando.
«I dettagli sono fondamentali se si vuole cogliere il reale messaggio celato tra le righe». La sua voce uscì ferma mentre un brivido mi scosse nel profondo.
«Mr. Winter!»
La figura di un uomo molto robusto s'intromise in quel momento intimo, nonostante gli innumerevoli turisti attorno a noi.
Ci venne incontro quasi correndo, con passi incerti e molto goffi dovuti sicuramente all'importanza della sua stazza. Nonostante il fisico rotondo, indossava un abito estremamente elegante e dagli anelli d'oro che adornavano le mani tozze, intuii che si trattasse di qualcuno di molto importante.
«È così bello riuscire a dare finalmente un volto ad una voce tanto amica!»
Il viso rotondo si contrasse in un sorriso carico di reale che mi distrasse dai ricordi che tentavano di risalire in superficie. Nell'inglese che lasciò le sue labbra mantenne l'accento francese, risultando ancora più buffo.
«Il piacere è tutto mio, Lemaire». Adelwin strinse la mano, a quello che collegai essere il nostro cliente, con l'accenno di un sorriso di cortesia. Era chiaro che non lo considerasse un amico, ma allo stesso modo la sua professionalità traspariva dalla sua postura ferma e sicura di sé.
«Lei è la signorina Körtig», mi presentò. «Assisterà al nostro incontro e prenderà tutte le note del caso».
Dalla sua affermazione sembrava non ammettere repliche, ma l'uomo storse il piccolo naso a punta e per una frazione di secondo, i suoi occhi si socchiusero quasi stesse cercando di leggere le mie reali intenzioni dal mio sguardo.
«Non l'avrei portata con me se non mi fidassi ciecamente di lei».
La voce di Adelwin uscì risoluta, ma non fui l'unica a notare la punta di minaccia che macchiò le sue labbra nel momento in cui quelle parole si dispersero nella grande sala.
«Il n'y a pas de problème, mon ami». Prese la mia mano fra la sua e vi lasciò un bacio sul dorso. Adelwin rimase impassibile mentre i suoi occhi puntarono ad una figura a qualche metro da Lemaire.
«Oh, oui oui», disse accorgendosi di non aver introdotto nel discorso proprio l'uomo dietro di lui. «Questo è mio figlio Damien».
Chiamato in causa, l'uomo si avvicinò a noi. Superava il padre di una ventina di centimetri, toreggiando su di me con una stazza importante, ma riuscendo perfettamente a guardare negli occhi Adelwin. Il fisico allenato e scolpito era nascosto da un completo elegante sicuramente cucito su misura che lasciava spazio all'immaginazione fatta eccezione per le spalle ampie perfettamente delineate. La cravatta era semplice, di un paio di tonalità più scura rispetto al grigio del completo. Nel momento in cui si sporse leggermente per sfiorare con le labbra carnose il dorso della mia mano destra, sentii gli occhi di Adelwin studiare attentamente la mia figura.
«Enchanté».
Fui io a rimanere letteralmente incantata dal suo sguardo così simile alla luce di uno smeraldo. Percepii appena il leggero strato di barba bionda che mi solleticò la pelle della mano nel momento in cui la accompagnò nuovamente lungo il mio fianco.
«Il piacere è mio», risposi dedicandogli un sorriso leggermente imbarazzato. Un gesto che non dovette sfuggire al mio capo che distrusse quello scambio di sguardi allungando la mano nella sua direzione.
«Adelwin Winter», si presentò con un'improvvisa serietà che calò anche sul suo volto.
«Ho sentito molto parlare di lei», replicò Damien sostenendo quello sguardo gelido con altrettanta fermezza.
Adelwin interruppe la stretta di mano, ma sempre guardandolo negli occhi aggiunse: «È meglio incamminarci».
«Oui!» Lemaire gli diede ragione entusiasta, come se non fosse in alcun modo preoccupato per la trattativa da milioni di euro che si sarebbe svolta di lì a poco.
«Prego». Adelwin esortò Damien e suo padre a fare strada, ma se il signor Lemaire fu felice di aprire le danze, suo figlio allungò il braccio verso il centro della sala.
«Prima le signorine», disse con un'espressione trionfante sul viso.
Ricambiai il sorriso, ma nel momento stesso in cui iniziai ad incamminarmi per seguire il nostro cliente, percepii una leggera pressione alla base della mia schiena.
La figura di Adelwin era apparsa accanto a me e i suoi polpastrelli, appoggiati al mio maglione, sembravano più che mai intenzionati a mantenere quella posizione per tutto il tragitto.
Non mi voltai verso di lui, né gli riservai alcuno sguardo. Continuai a camminare fiera di me, accertandomi che notasse il sorriso trionfante per quella piccola, ma importante, soddisfazione.
Caro Adelwin, gli altri mi vedono. E tu?
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𝑀𝑟. 𝑊𝑖𝑛𝑡𝑒𝑟 - Disponibile su Amazon
Romance18+ | Adelwin Winter è un nome che risuona greve nella fredda città di Berlino. Chiunque riconosce il suo potere, teme il suo confronto, alimenta la sua fama di uomo più crudele e spietato nel campo degli imprenditori. Si possono contare sulla dita...