Maggio 1945.
Era passata più di una settimana da quando il nuovo gruppetto era diventato parte della comunità. Ormai si erano ben ambientati con tutti gli altri e avevano iniziato a collaborare tra loro e con gli adulti che si prendevano cura di loro.
Una ragazza di sedici anni, di nome Ra'hel, prendeva spesso l'iniziativa, al mattino, di svegliare gli altri con la dolcezza delle note del pianoforte, che smorzava la forza stridente del canto del gallo.
La ragazzina si era circondata di un gruppetto di amiche, con le quali era solita, dopo colazione, fare il bucato.
Quella mattina del venerdì 23 maggio 1945 le venne un'idea che discusse nella sua cerchia.
«Siccome è un bel po' che non ne festeggiamo uno, che ne dite di ricominciare a onorare la solennità del sabato?»
«Uno Shabbat? Qui?» chiese Esther. «Ma, se a parte noi ragazzi e ragazze e i bambini, sono tutti cattolici qua?»
«Sarebbe un modo per introdurli alla nostra cultura...» chinò il capo leggermente di lato, con un sorriso a trentadue denti. Le mani creavano una leggera pressione sulla tinozza.
Esther e Lena - le due ragazze che si erano incontrate prima nel carro coperto, e che poi avevano solidificato il loro legame il giorno della prima doccia alla tenuta - si guardarono interdette, pensando che forse Ra'hel fosse impazzita.
La ragazza prese un lenzuolo dalla tinozza, e chiese a Lena di aiutarla a strizzarlo. L'acqua colpiva il pavimento della terrazza con un tonfo rumoroso, provocando le risate dei bambini più piccoli che ronzavano intorno a loro, mentre giocavano a palla.
Quando, a furia di strizzare, le due estremità del lenzuolo iniziarono ad avvicinarsi, Ra'hel guardò Lena e le disse, fissandola negli occhi scuri: «Sono seria!»
Lena ed Esther pensarono che, se la loro amica ci tenesse tanto, forse valeva la pena fare un tentativo. Dopo aver finito, tutte e tre chiamarono a raccolta i loro compagni in mensa e spiegarono la loro idea: fu accolta fra le ovazioni di tutti, o quasi. Gabriel se ne stava sempre in disparte.
Tutte e tre uscirono dall'edificio per recarsi al giardino di rose della "mamma della tenuta". Ormai anche loro avevano preso l'abitudine di chiamarla così, visto che non conoscevano il suo nome.
«Mamma della tenuta?» si avvicinò Ra'hel un po' tremolante. «Posso farti una domanda?» I suoi occhietti chiari fissavano quelli della "mamma della tenuta", che la osservava curiosa.
Al di là del muro sbucò la testa dell'uomo zoppo, che stava rompendo della legna per costruire letti per i futuri nuovi arrivati. «Ciao ragazze» disse, scuotendo la mano libera.
Lo salutarono con un cenno del capo e un sorrisetto. Lena, notò Ra'hel, era leggermente arrossita: aveva confessato a lei ed Esther che lo zoppo le piaceva, per quanto fosse molto più grande di lei, appena sedicenne.
«Ditemi pure!» disse la donna con una certa disponibilità.
«Vorremmo festeggiare lo Shabbat, con tutti».
«Uno Shabbat?» La donna sembrò dubbiosa. «Carlo, puoi venire un momento?»
L'uomo zoppo si incamminò verso di loro. La sua andatura claudicante non gli permetteva di andare troppo in fretta. «Cosa posso fare?» disse una volta arrivato, ponendosi le mani sui fianchi. Con un sorriso, Ra'hel fissò Lena, che aveva abbassato gli occhi sull'erba.
«Le ragazze hanno chiesto di festeggiare lo Shabbat. Puoi aiutarle a preparare tutto? Io non so proprio cosa fare» disse emettendo una risatina nervosa. Al ché, Ra'hel risultò raggiante, perché comprese che anche l'aiutante della "mamma della tenuta" fosse ebreo o che comunque conoscesse la cultura ebraica.
«Se mi aiutano a ricordare come si fa, non ci sono problemi». Sorrideva. Però con gli occhi lucidi, che riempirono di tristezza il cuore di Ra'hel.
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«Potete darmi un attimo?» chiese Carlo, già allontanandosi con la sua andatura zoppicante per andare nel magazzino dove conservavano la legna.
«Certo» sentì rispondere alla sua amica, da lontano.
Quando fu finalmente solo, le lacrime gli sgorgarono copiose dagli occhi. Tutto si sarebbe aspettato, fuorché qualcuno che gli chiedesse di festeggiare uno Shabbat.
Aveva deciso di diventare laico, proprio per evitare di dover festeggiare la solennità del sabato.
E invece, si ritrovava a piangere come un bambino in un magazzino pieno di cocci di legna, proprio a seguito di quella richiesta.
L'ultima volta che ne stava festeggiando uno, era iniziato un vero e proprio incubo per lui e per tutto il ghetto di Roma. Si sentiva, però, egoista a piangere in quel modo, quando i poveretti di cui si prendevano cura avevano vissuto un vero e proprio Inferno, perché lui, al contrario loro, era stato benedetto con una manna dal cielo: qualcuno aveva deciso di rischiare per lui e aiutarlo.
Quando la compagna di lavoro lo raggiunse, sentì una sua mano poggiarsi delicatamente sulla spalla: era così rassicurante. «È tutto a posto, Carlo?»
«Sì» rispose lui, asciugandosi le lacrime con il dorso delle mani. Gli occhi erano ancora gonfi, ma nonostante ciò, le labbra gli si curvarono in un finto sorriso. Si erano materializzati, davanti ai suoi occhi, i dolorosi ricordi di un'intera vita. Ma per quei bambini voleva dimostrare di essere forte: per quanto difficile.
Si incamminò verso l'uscita, ancora forzando il sorriso. Disse: «Sono pronto, se i ragazzi vogliono iniziare», cercando di camminare il più velocemente possibile, per recuperare tutto l'occorrente: questa velocità però, gli provocava fitte di dolore nella gamba. E non solo.
I bambini e i ragazzi lo seguirono con occhi ricolmi di gratitudine.
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Eccoci con un nuovo aggiornamento. Com'è vi sembrano le tre amiche insieme? E quanto è carina Lena, con la sua prima cotta? E come vi sembra Carlo?
Fateci sapere con un feedback ❤,Lilingel
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Rosa e Crisantemo
Historical Fiction1945. Roma. Una giovane donna lavora all'interno di una organizzazione che si occupa di aiutare i bambini e i ragazzi sopravvissuti ai campi di sterminio. Attraverso le loro storie ricorda anche la sua storia di guerra, nel 1943, quando l'occupazion...