•XIV•

216 11 61
                                    

La mattina del 6 novembre, essendo solo le 5.30 del mattino, Celeste si era svegliata di cattivo umore. Tutta la notte, non aveva sentito altro che il vociare sguaiato dei tedeschi e il loro ridacchiare continuo non aveva fatto altro che irritarla: non aveva chiuso occhio.

Per un'ora intera aveva deciso di occupare il suo tempo svolgendo qualche faccenda: per questo pulì il salone e stirò tutti i vestiti che c'erano nell'alta pira sul divano. 

Come una bambina felice, pur di non annoiarsi, quando utilizzava la scopa la usava come l'asta di un microfono, mentre volteggiava come una farfalla leggiadra quando poneva un capo stirato sul mobile per farlo asciugare dal vapore. 

Si sentiva prossima allo sfinimento, negli ultimi tempi. Per quanto andasse a letto presto, prima di una certa ora non riusciva ad addormentarsi a causa dei tedeschi o delle loro motorette. E poi si svegliava sempre più presto, a causa del suo sonno estremamente leggero, che le faceva percepire persino il bambino che piangeva a due case di distanza. 

Preparò la colazione per tutte con i fiocchi d'avena. Lei non riuscì a mangiare: aveva lo stomaco sottosopra. Si chiedeva da un paio di giorni se avesse potuto contrarre in qualche modo l'influenza. 

Comunque fosse, il pub andava aperto. I suoi clienti abituali sarebbero andati lì per fare colazione al loro orario abituale: 7.30. Pertanto, indossò un semplice vestito giallo, per ispirare gaiezza in coloro che la vedevano, per quanto lei fosse l'esatto opposto. 

Questo aneddoto riguardo i colori l'aveva scoperto grazie a suo padre, che l'aveva portata a vedere una serie di opere, in Germania - quando vi erano andati in vacanza, era solo una bambina - dipinti da un gruppo di artisti che andava sotto il nome di Der blaue Reiter (Il cavaliere azzurro). Aveva solo sei anni, ma aveva imparato una serie di cose che ancora ricordava. 

Per esempio il giallo rappresentava l'elemento allegro e un po' frivolo femminile, l'azzurro era simbolo della mascolinità, il rosso era il colore delle passioni più sfrenate, il bianco il colore della purezza e innocenza. 

Di solito indossava, quando andava a lavoro, qualcosa in base ai clienti che sapeva avrebbero frequentato il locale in quel giorno. Il sabato erano assidui frequentatori uomini che avevano combattuto la Grande Guerra, quindi erano persone che avevano bisogno di un colore che esprimesse spensieratezza. Per questo, quel 6 novembre aveva indossato un abito giallo con maniche lunghe. Si era decisa finalmente a indossare anche le calze, perché iniziava a fare fresco. 

Proprio mentre si preparava per uscire prendendo la borsa con le chiavi, il trillo del telefono la bloccò. Chi può essere, a quest'ora?, si chiese. 

Alzò la cornetta, quasi spaventata. Aveva il timore che quel telefono, per quanto aveva squillato, potesse esplodere. 

Avvicinò la cornetta all'orecchio. «Chi parla?» 

Ormai la riconosceva prima che iniziasse a parlare: le bastava sentire il sospiro rilasciato prima di parlare. «Sono io, Celeste», disse la voce. «Ti posso rubare un attimo o hai da fare?» 

«Zia, per te potrei perdere anche tutta la giornata» disse Celeste, entusiasta di sentire la voce della zia Clara. 

Aveva provato uno strano sentore, come se qualcosa non andasse. La voce della zia, solitamente calma, aveva tremolato, quando aveva pronunciato quella domanda. «Devo dirti una cosa importante!» disse prendendo un lungo respiro. Tirò su col naso, segno che stava piangendo.

«Zia, è tutto a posto lì?» chiese la giovane preoccupata. Forse non aveva mai sentito la zia parlare in quel modo. Sentiva il suo respiro affannoso dall'altro capo del filo. «Zia?» 

Rosa e CrisantemoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora