Faceva freddo. La casa era sempre gelida da quando lui se n'era andato. Il soggiorno, un tempo illuminato e investito da un'atmosfera gioiosa, ora era buio e triste. Dalla cucina non provenivano più le risate della mamma e il profumo delle leccornie, ma solo la cupezza di una dispensa troppo vuota.
A volte, nel buio della sua stanza, sognava suo padre, o forse la sua vecchia vita. Brevi momenti, in una esistenza infelice e sofferta, che le riempivano il cuore di gioia: la mamma che cantava spensierata al piano; le gemelline, con grandi fiocchi rossi che adornavano i loro capelli, la guardavano estasiate. E poi il dolce e rassicurante sorriso del papà, primo ammiratore della mamma. Diceva sempre che Dio l'aveva benedetto, dandogli quattro donne nella sua vita. Erano perle preziose, per lui.
In quei momenti di gioia e allegria, spesso si vedevano anche le teste dei vicini, affacciate alla finestra, per ascoltare incantati le sue dolci melodie.
I suoi sogni si interrompevano sempre bruscamente: la voce angelica della mamma si tramutava in un urlo straziato e il suo viso diveniva una maschera di terrore; le bimbe gridavano; delle persone vestite di nero entravano bruscamente in casa loro, buttando giù la porta e distruggendo tutto ciò che finiva tra le loro mani. Afferravano il padre e lo scaraventavano contro la credenza di vetro.
Desiderava tanto poter fare qualcosa per fermare quelle persone, ma rimaneva paralizzata sul posto. Qualcosa l'aveva fatto: aveva urlato... o almeno così ricordava: nei suoi incubi tutto avveniva così burrascosamente che poteva essere stata anche sua madre a urlare, o forse le guardie.
Suo padre era calmo, i suoi occhi rassicuranti come sempre. Per un breve secondo i loro occhi si incrociarono: l'animo di lei più confortato.
«Prenditi cura della mamma» gridò l'uomo, trascinato via da due delle persone in nero.
Fu l'ultima volta in cui lo vide vivo.
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La vita era troppo breve per morire con dei rimpianti: era questo a cui stava pensando Celeste mentre guardava la finestra. Era ancora sdraiata sul letto, e da lì poteva vedere le prime luci dell'alba che illuminavano la stanza di una luce fioca.
Decise di alzarsi, dopo un'altra notte passata insonne, a causa degli incubi. Non trovava alcun senso nel suo stare a letto ormai completamente sveglia.
Si recò al bagno, cercando di non svegliare le sorelle così presto. Si lavò il viso con acqua fredda, per togliere la stanchezza che traspariva dal suo viso, e i denti. Indossò i suoi soliti abiti, ormai troppo vecchi e stretti. Negli ultimi tempi, per via del lavoro e del cibo razionato, aveva perso molto peso: le sue forme non si notavano prepotentemente.
Uscì dal bagno per entrare nella camera della madre. Le si avvicinò e le toccò la fronte, controllando che non avesse la febbre: negli ultimi tempi si ammalava più spesso di quanto si aspettasse. Avrebbe voluto darle un bacio, ma sapeva lo avrebbe rifiutato.
Lasciò amareggiata la stanza. Scese le scale, per recarsi in cucina. Aprì la dispensa: le uniche cose rimaste erano fiocchi d'avena. Annotò mentalmente che avrebbe dovuto comprare qualcosa, sempre tenendo conto che la tessera permetteva di prendere tutto in quantità razionate. Avrebbe dovuto prendere anche le medicine per la madre.
Preparò la polenta per colazione per tutte, dopodiché prese le chiavi e il cappotto, uscendo fuori di casa.
Nonostante si fosse nei primi di settembre, la mattina iniziava a essere molto più fresca. Le piaceva quel clima, e il modo in cui il vento le spostava i capelli, facendole venire la pelle d'oca.
Fortunatamente il locale di famiglia distava non molto dalla loro abitazione. Si avvicinò all'ingresso, prendendo il mazzo di chiavi che aveva nella borsa.
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Rosa e Crisantemo
Historical Fiction1945. Roma. Una giovane donna lavora all'interno di una organizzazione che si occupa di aiutare i bambini e i ragazzi sopravvissuti ai campi di sterminio. Attraverso le loro storie ricorda anche la sua storia di guerra, nel 1943, quando l'occupazion...