VIII

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Il sole aveva iniziato a oscurare la città, scendendo dietro le case: l'atmosfera nell'aria era carica di una tale tensione che la si poteva tagliare con un coltello. Anastasia aveva il cuore che batteva a mille mentre seguiva la sorella all’interno del pub.  

Era ancora stupita dall’incontro con quel tedesco, per via della sua sospetta gentilezza. Ma la cosa che le provocava più inquietudine era l’atteggiamento di Celeste. Dal padre non aveva ereditato solo la testardaggine, ma anche il senso dell’onore e della dignità. Celeste non si sarebbe mai sottomessa: voleva renderlo chiaro anche ai tedeschi.  

Anastasia l’aveva capito dagli occhi di sua sorella; sebbene fossero di un verde che rammentava la durezza e freddezza dello smeraldo - per questo a chiunque sembrava un'insensibile - vi si poteva scorgere un fuoco all'interno.  

Le sorprese non finirono lì perché, quando Anastasia entrò nel pub, vide che era stato messo tutto a soqquadro. Si allarmò: o a Celeste era venuto un raptus improvviso, oppure qualcuno era entrato durante la notte per rubare. Non sarebbe stata una novità: la guerra aveva messo in ginocchio molte persone e i furti in città erano all’ordine del giorno. La gente, quando si trovava in situazioni difficili come questa, compiva le azioni più disperate per sopravvivere. Senza contare poi che molti alimenti non si trovavano più in giro poiché venivano spediti al fronte per sfamare l'esercito, privandone la popolazione.  

Tutto era razionato, e così, per mantenere l'attività, ci volevano molti soldi. La pasta era un bene reperibile solo a chi poteva permetterselo, così come il sale e il pepe; il pane, di scarsa qualità, era lavorato con farine mischiate. Solo chi si trovava in campagna poteva contare sul proprio orticello per mangiare più dignitosamente.  

A Celeste bastò guardare in faccia la sorellina per leggere la sua paura. «I tedeschi» disse con voce atona. 

«I tedeschi?» ripeté Anastasia allibita. Provò a deglutire ma aveva la bocca secca. Sentiva troppo caldo. 

Celeste distolse lo sguardo da lei, e Anastasia sentì il nodo che le si era formato nello stomaco allentarsi.  

«Sì» rispose semplicemente la sorella, iniziando a spazzare. C’era della cenere di sigaretta per terra. Anastasia aveva la sensazione che di lì a poco avrebbe avuto una ramanzina che non si sarebbe scordata per i prossimi dieci anni. «Sono pericolosi, Anastasia!» sbottò Celeste, fissandola negli occhi. Anastasia vide chiaramente, da come aveva posato con troppa foga il barattolo di conserva sulla credenza, che la sorella era nervosa, ma anche che, con la sua espressione fredda, cercava di non darlo a vedere.  

«Si... lo so...» rispose Anastasia, abbassando gli occhi, non riuscendo a sostenere lo sguardo della sorella maggiore. Era mortificata: l’ultima cosa che voleva era deludere sua sorella.  

«Mi devi promettere che non interagirai con loro: a meno che non sia strettamente necessario, intendo». Il tono di Celeste non ammetteva assolutamente repliche da parte della sorellina.  

«Te lo prometto» la rassicurò Anastasia. Tuttavia, continuava a guardarsi la punta dei piedi. Alzò di scattò la testa solo quando sentì le parole successive di Celeste. 

«Il tenente Fischer… è stato lui a farci questo… e sa di nostro padre. Siamo al centro della sua attenzione». Le parole di Celeste portavano con sé il peso di un ricordo troppo doloroso, che provocò il magone anche nella più giovane. 

Anastasia riuscì finalmente a collegare i pezzi. Il modo in cui lui aveva pronunciato il suo nome, affermando di averlo già sentito. Aveva giocato con lei, in modo subdolo e traditore. Le si era avvicinato come per salvarla da una situazione che avrebbe imbarazzato persino la persona più spudorata sulla faccia della terra, le aveva chiesto se stava bene e le aveva sorriso: tutto per conquistare la sua fiducia. Che cosa pensava di scoprire? Che tutta la sua famiglia era traditrice del regime? 

Rosa e CrisantemoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora