Anastasia, quel lunedì mattina del dieci gennaio, si era svegliata alle sei, in seguito a uno strano sogno. La protagonista e causa di spavento era Madame Fleurie che le stringeva la mano, forse stipulando un qualche accordo con lei.
Era da quando sua sorella l'aveva portata in quel posto, la Maison Noire, che faceva sempre lo stesso sogno, ogni volta con un particolare diverso. A volte poteva cambiare la musica, che da un motivo di foxtrot passava al ritmo del Charleston; a volte cambiava il vestito che la ragazza indossava, che non era più quello elegante regalatole da Johann, ma risultava sempre essere un vestito che, con i suoi soldi, non poteva permettersi; a volte cambiava semplicemente l'espressione di Madame Fleurie, che poteva sorridere come se avesse concluso un affare che le avrebbe portato enorme vantaggio, o poteva osservarla da cima a fondo, come se temesse di essere tradita. L'unico aspetto che non cambiava mai era quella stretta di mano, alla quale si svegliava sempre nel panico.
Si chiedeva se fosse un segno: forse avrebbe dovuto accettare quel lavoro per dare una vita più vantaggiosa alla sua famiglia, o forse non avrebbe dovuto neanche metterci più piede, in quel locale, perché c'era qualche pericolo dietro l'angolo.
Non sapeva mai come rispondere a questo assillo che non le permetteva più di dormire. Quello che era certo era il suo dover prendere una decisione.
A tutto questo pensava mentre scendeva le scale, non emettendo alcun rumore. Di sotto c'era ancora Celeste che cercava tutto il necessario per quella giornata: la sua borsa, le chiavi, i suoi documenti - che giacevano sempre sul mobile affianco alla porta, nell'eventualità che qualcuno che li richiedeva bussasse - e il suo secondo cappotto, di colore nero. Anastasia pensava che Celeste con quel capo del vestiario sembrasse una diva del cinema, visto come le metteva in risalto il viso color della luna e gli occhi verdi.
Quando la vide uscire, completò la sua discesa delle scale, e fece colazione. Il pane di crusca che avevano comprato qualche giorno prima era già della consistenza della pietra. Ringraziava l'orticello che avevano messo su nel giardino per le carote con cui avevano fatto una crema la sera precedente, che ammorbidiva quel pane spacca-denti.
Poco dopo la raggiunse la gemella, che alla vista del pane disse: «Beh, almeno oggi non c'è il porridge». Dopo aver tentato di dare un morso, chiese alla sorella di passarle la crema di carote. «Avrei preferito il porridge!» ribatté. «Possibile che si debba mangiare così male, in questa casa?»
Anastasia guardò sua sorella come un cane rabbioso guarda un ladro che tenta di fuggire dalla casa del suo padrone. «Non ti viene da pensare che c'è chi è messo peggio?» Alle volte proprio non riusciva a capirla. Celeste faceva il massimo, e Cecilia non la ringraziava mai. «Mangia e ringrazia Celeste e Dio, perché almeno tu hai la pancia piena e non sei costretta a rubare». Nella sua testa aggiunse "Sciacallo!".
Cecilia guardò interdetta la sorella e, nel frattempo, si era spalmata la crema di carote su quella fetta di roccia. Quando diede un morso, affermò: «In fondo la crema non è così male», muovendo la testa in su e in giù e leccandosi leggermente le labbra sporche di crema. Poi, come se fosse una ricca ereditiera, si pulì gli angoli della bocca con il fazzoletto di stoffa.
Anastasia provò qualcosa dentro di sé che non riuscì a spiegarsi: per quanto l'atteggiamento della sorella potesse essere altezzoso, quasi riusciva a comprenderla, visto che era bella quanto, se non più, di Greta Garbo, la loro attrice preferita. Quelle poche volte in cui potevano permettersi i soldi per andare al cinema, sceglievano sempre i film in cui compariva nel cast il nome di quella "meravigliosa orchidea", come amava descriverla Anastasia.
Una volta finita la loro fetta di pane quotidiana, Anastasia e Cecilia andarono a lavarsi.
Cecilia disse di aver bisogno di una doccia, ma Anastasia le fece notare che, se l'avesse fatta, sarebbero arrivate in ritardo e sarebbero state punite dal signor Conti davanti a tutta la classe. Solamente tre volte erano arrivate in ritardo di pochissimi minuti, e la punizione era sempre stata molto severa: furono messe per l'intera lezione con le ginocchia sui ceci. La prima volta, Cecilia, una volta che poté alzarsi, disse che aveva i chiodi nelle gambe e che non riusciva a muoversi. Dovette essere sorretta da alcune sue compagne per andare al posto. Anastasia, invece, provò una tale vergogna che non ebbe neanche il coraggio di chiedere aiuto a qualcuno: con le gambe che formicolavano e con la sensazione tremenda della forma dei ceci nelle sue carni andò a sedersi a testa bassa accanto alla gemella.
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Rosa e Crisantemo
Historical Fiction1945. Roma. Una giovane donna lavora all'interno di una organizzazione che si occupa di aiutare i bambini e i ragazzi sopravvissuti ai campi di sterminio. Attraverso le loro storie ricorda anche la sua storia di guerra, nel 1943, quando l'occupazion...