•XVI•

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Erano passate due settimane dall'esecuzione di quel vecchio, e nella città di Roma le esecuzioni andarono pian piano aumentando, anche per le cose più futili: dall'avere del tabacco nascosto, fino all'avere dei maiali nella propria fattoria, visto che si sottraeva approvvigionamento ai soldati in battaglia.  

La famiglia Marchi temeva che, in qualche modo, il tempo sarebbe giunto anche per loro, a causa del loro cognome. 

Leonardo aveva detto a Celeste, verso la metà del mese di novembre, che si era unito a un gruppo di resistenza. Volevano tutti insieme scacciare quel nemico austero, un tempo alleato dell'Italia. 

Il gruppo era stato ideato da un amico in comune di Celeste e Leonardo: Stefano, un uomo sui trentacinque anni che non aveva potuto entrare nell'esercito a causa di problemi ai polmoni piuttosto gravi, dovuti alla sua continua esposizione al fumo, nelle miniere da cui estraeva carbone. 

Spesso, Stefano si stancava molto velocemente quando lavorava, a causa di una insufficienza respiratoria. E Celeste, vedendolo tornare a casa in quelle condizioni, gli diceva di saltare il lavoro per qualche giorno e di riposarsi, ma lui non l'ascoltava: era un lavoratore instancabile e testardo come un mulo. 

Leonardo l'aveva invitata più di una volta a unirsi al gruppo. «Non siamo ancora molto organizzati, ma considera che almeno ci stiamo provando a cacciarli. E poi ci sarà tutto il tempo di migliorarci». 

Celeste ci aveva pensato piuttosto a lungo. L'idea di combattere contro il nemico straniero in patria la allettava, ma dall'altra parte la spaventava anche molto. Se non erano ben organizzati, non si sarebbero saputi autogestire. E se non erano in grado di autogestirsi sarebbe stato un problema per tutti i membri del gruppo. 

Per questo, nonostante avrebbe voluto unirsi, anche per fare compagnia a Leonardo, rifiutò la proposta. 

— 

Era quasi finito il mese, quando alcuni dei partigiani erano stati scoperti e arrestati. Non erano stati in grado di capire chi li avesse traditi. Per questo, i pochi che non furono trascinati in carcere, decisero di tornare alle loro vite, senza pensare più alla resistenza. Il timore era che, quasi sicuramente, qualcuno fosse stato sorpreso a fare qualche graffito o ad affiggere qualche volantino e arrestato, e in prigione avesse cantato.

Nessuno più ci pensava, alla resistenza, tranne Leonardo. Aveva capito che qualcosa era andato storto. E soprattutto che per fare un gruppo di azione di guerriglia ci sarebbe voluta molta organizzazione, proprio perché si trattava di gruppi clandestini. 

Stefano, che era tra gli arrestati, non aveva minimamente preso in considerazione l'idea di mascherarsi per non farsi riconoscere, o di cambiare nomi, in modo che se qualcuno avesse parlato o denunciato, almeno non si sarebbero scoperti i partecipanti del gruppo. Perché quello era il timore maggiore di Leonardo: che qualcuno della polizia fascista fosse entrato per incastrarli.  

Leonardo rifletteva sul fatto che qualcuno potesse aver fatto anche il suo nome. Sperava, pregava che nessuno avesse parlato. 

Quando aveva scoperto di essere libero, aveva promesso, agli altri, che li avrebbe in qualche modo vendicati. I tedeschi non sarebbero rimasti impuniti per tutto quello che stavano facendo loro. 

Quello che non si aspettava, andando a trovare Stefano in prigione, era di ritrovarlo in uno stato pietoso. L'occhio era divenuto viola e gonfio e, per il dolore, non riusciva quasi a sedersi. 

«Che ti hanno fatto, amico?» 

«Mi hanno torturato per due giorni, come gli altri, per sapere chi fossero gli altri membri, ma non abbiamo parlato. Franco è morto sotto i pugni di quella bestia» disse, indicando con il capo una delle guardie tedesche che si trovavano a camminare nelle vicinanze. «Non fargli capire che stiamo parlando di questo» disse, indicando il suo viso. 

Rosa e CrisantemoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora